Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, durante una conferenza stampa oggi a Bruxelles, ha sottolineato il rischio che le normative e gli obiettivi del Green Deal, voluto negli anni scorsi dalla Commissione europea uscente, comporti una deindustrializzazione dell’Italia e dell’Ue, una desertificazione industriale.
“Credo che la linea tra la decarbonizzazione e la deindustrializzazione sia molto sottile, e non possiamo permetterci – ha sottolineato – di perdere filiere importanti del nostro paese”.
Riguardo al rapporto Draghi sul futuro della competitività europea, Orsini ha osservato: “La diagnosi è chiara: non possiamo pensare a una deindustrializzazione dell’Europa e del nostro paese; però adesso serve la cura. E per la cura ci sono importanti temi: quello del tempo e quello della finanza”, ovvero dei rinvii che servirebbero per l’attuazione delle normative del Green Deal, e dei finanziamenti per gli ingenti investimenti necessari per portare a termine la transizione verde, che Mario Draghi ha calcolato in 800 miliardi di euro all’anno.
Ma Orsini ha dedicato gran parte della conferenza stampa soprattutto alle critiche contro il regolamento Ue sulle emissioni delle auto, che impone l’obiettivo di immettere sule mercato europeo solo auto a zero emissioni dal 2035.
“Stamattina – ha riferito – ho incontrato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Abbiamo incominciato a parlare di responsabilità sociale. Servono alcuni principi chiari: c’è un tema di competitività e di concorrenza.
In materia di automotive, noi siamo stati molto netti: il 2026″ come data prevista per la revisione del regolamento sulle emissioni dei veicoli “è troppo tardi, servono risposte molto prima”, ha affermato.
E “al centro” della revisione del regolamento, ha continuato Orsini, “va messo il principio della neutralità tecnologica, per salvaguardare il ‘know-how’ dei paesi. È un tema anche di altri settori, come la ceramica o la nautica”.
In Italia “sull’automotive abbiamo una filiera di 70.000 persone, riconosciuta come una filiera di eccellenza; non possiamo pensare di perderla su scelte strategiche che sono, ora lo possiamo dire, sbagliate.
Vediamo la Volkswagen che vuole chiudere due stabilimenti, vediamo i numeri di Stellantis, che non sono quelli che erano stati promessi, di tre milioni di pezzi: arriveremo a 500.000 veicoli, compresi i veicoli commerciali, credo che sia un numero molto basso”.
Inoltre, ha aggiunto il presidente di Confindustria, “è ovvio che qui dobbiamo anche fare dei ragionamenti di capacità di spesa dei cittadini italiani: abbiamo un parco macchine vetusto, lo sappiamo, perché, su circa 42 milioni di veicoli” circolanti in Italia, “solo 7 milioni sono Euro6 o Euro7 (gli standard Ue più recenti e più rigorosi per la riduzione delle emissioni, ndr).
Quindi, quello che stiamo dicendo è: concentriamoci nel cambiare il nostro parco veicoli, per poter cambiare anche solo 10-12 milioni di veicoli, portandoli dall’Euro3 all’Euro6. Io credo che sia veramente importante”, così si potrebbe fare “un pezzo di compiti a casa, con l’abbattimento delle polveri che le nuove generazioni di motore endotermico possono dare”.
A un giornalista che chiedeva se l’industria italiana pensi davvero che i biocarburanti siano un’alternativa all’elettrificazione dei veicoli, e se non sarebbe il caso di spingere semmai sull’uso diretto dell’idrogeno come carburante per alimentare i motori a combustione interna, salvando così la filiera italiana dell’indotto, Orsini ha risposto: “Mi auguro che nell’Ue la discussione sui biofuel non sia finita, onestamente.
Noi siamo tra i più grandi produttori di biocarburanti, e perdere una opportunità del genere, che comunque andrebbe ad abbattere le emissioni… Credo che oggi serva un mix di energie”.
Quanto all’idrogeno, “abbiamo parlato – ha riferito il presidente di Confindustria – anche con alcune case automobilistiche.
Oggi l’unica casa che ha spinto sul motore a idrogeno è Bmw auto. Altre case automobilistiche non hanno spinto su questa tecnologia.
In un momento come questo, in cui serve certezza su cosa sarà il futuro, credo che inserire una terza tecnologia sarà difficile.
Per chi parla di stoccaggio e di produzione di idrogeno, e in Italia noi abbiamo Eni, uno dei più importanti produttori di idrogeno, non si nega il fatto della difficoltà nello stoccarlo e nel trasportarlo.
Credo che questi siano temi fondamentati che ancora non si sono liberati. Quindi, purtroppo, credo che tra tutte le tecnologie l’idrogeno sia quella più indietro”, ha osservato.
A chi chiedeva poi perché le case automobilistiche non domandino esplicitamente all’Ue di rinviare l’obiettivo del 2035, Orsini ha replicato: “Io credo che non chiedano il rinvio per un motivo di mercato, e per gli investimenti già fatti” nell’elettrico.
“Sappiamo benissimo che gli investimenti fatti sulle nuove tecnologie sono pari a 60 miliardi, e quindi io credo che tornare indietro nell’ammettere forse che le tecnologie utilizzate…”.
“Più che altro, poi, c’è il tema del costo. Sappiamo benissimo – ha spiegato il presidente di Confindustria – che c’è una questione per i cittadini riguardo alla possibilità di acquistare un’auto elettrica.
Abbiamo mappato con il nostro centro studi la capacità di acquisto per un italiano, e oggi mediamente è di circa 20.000 euro: è ovvio che se il costo di un’auto elettrica non riesce a raggiungere un obiettivo del genere, si farà fatica. E sappiamo benissimo che le materie prime, il litio, sono in mano ai cinesi, e il 10% in mano agli Stati Uniti”.
Inoltre, secondo Orsini, le case automobilistiche non avanzano la richiesta di un rinvio per “non riconoscere un errore che nasce ovviamente da un senso di colpa, dovuto al ‘DieselGate'” lo scandalo delle auto che montavano dispositivi concepiti alla fabbricazione per falsare e minimizzare i dati reali sulle emissioni.
E poi, “sotto la spinta molto forte di Frans Timmermanns (l’ex vicepresidente esecutivo della Commissione responsabile del Green Deal, ndr), abbiamo fatto scelte sbagliate allora”.
Comunque, ha puntualizzato Orsini, “noi non è che siamo contro l’auto elettrica, o l’auto ibrida: noi stiamo dicendo che è una questione di tempi.
Basta guardare i dati di Milano: a luglio e agosto Milano è andata in blackout per l’utilizzo dei condizionatori d’aria della città”.
“Noi oggi – ha avvertito il presidente di Confindustria – non siamo pronti dal punto di vista strutturale, parlo dell’Italia ovviamente, per poter accogliere una tecnologia del genere”.
Inoltre, le tecnologie non vanno sostituite solo con l’imposizione di norme.
“Pensiamo al telefono a gettone: non è stato sostituito per una norma, ma è stato sostituito da una tecnologia che era accessibile a tutti, e che era molto più rapida e veloce della tecnologia che lo precedeva”.
“Quindi il tema vero è: siamo pronti noi oggi a una tecnologia totalmente elettrica in tutto il Paese, per sostituire 42 milioni di veicoli?
Siamo pronti a dare un prezzo equilibrato ai cittadini italiani per poter cambiare l’auto e fare in modo che quell’auto rientri nella loro capacità di spesa di 20.000 euro?
No! Non abbiamo la tecnologia. Purtroppo, in modo miope, abbiamo fatto spesso scelte sbagliate nel passato. Ma oggi non siamo pronti.
Quindi il tema vero – ha concluso Orsini – è che serve altro tempo per poterci arrivare; e questa credo che sia la via”.