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Baravalle (Lavazza): «La crisi è dura ma siamo solidi. Non chiederemo soldi allo Stato»

Antonio Baravalle, ex manager Fiat e Mondadori, dal 2011  è l’amministratore delegato di Lavazza, azienda di caffè celebre in tutto il mondo, totalmente controllata dall’omonima famiglia torinese (ormai giunta alla quarta generazione).

E che nel 2019 ha fatto segnare un  bilancio in forte crescita con ricavi in rialzo del 18% a 2,2 miliardi e utile in progresso del 45% a 127,4 milioni.

Con lui MF-Milano Finanza ha fatto il punto su come uno dei simboli più solidi del Made in Italy abbia reagito al Covid.  

Che impatto ha avuto la pandemia su un’impresa come Lavazza che  è attiva a livello mondiale sia in termini di approvvigionamento di  materie prime sia di vendite (il 70% del fatturato e’ ottenuto all’estero)? 

«Il contraccolpo, è innegabile, c’è stato. E noi siamo un’azienda che in virtù del fatto di essere player alimentare ha sempre potuto rimanere aperta anche nei momenti più stringenti delle regole sul lockdown. Inoltre abbiamo avuto la fortuna/bravura di avere avuto su un totale di oltre 4mila addetti nel mondo meno di dieci casi di positività,  che poi per fortuna si sono risolti per il meglio. Quindi se siamo stati colpiti noi, può immaginarsi le imprese che hanno dovuto tenere le serrande abbassate».  

Perché ha detto fortuna/bravura? 

«Perché non appena la pandemia è esplosa in Italia, abbiamo adottato tutte le precauzioni anche per gli impianti in Francia, Gran Bretagna e  Usa. All’inizio il nostro management locale era stupito ma, quando poi il virus è arrivato anche in quei Paesi, l’aver giocato d’anticipo è stato fondamentale per contenere i rischi nei nostri stabilimenti».    

Eppure, diceva, il contraccolpo c’e’ stato

«Noi facciamo circa il 60% del fatturato nel retail. E il restante 40%  tra bar, ristoranti, hotellerie, vending machine e uffici. In questo quadro, nei primi mesi del 2020, quelli pre Covid, le cose stavano andando molto bene. Nel retail i ricavi nei primi quattro mesi sono superiori del 10% in Italia e del 15% a livello globale rispetto al periodo corrispondente di un già ottimo 2019. Con il lockdown però tutto è cambiato nel canale fuori casa. Con lo smart working e l’impossibilità di uscire, le entrate nel segmento uffici, hotel, ristoranti si sono praticamente fermate nei mesi più duri del Covid».    

Avete già delle stime sull’esercizio 2020? 

«Puntiamo a contenere la flessione dei ricavi a fine anno, che sarà  sicuramente a doppia cifra tra 10 e 15%. Ma è presto per fare previsioni.  Poi dipenderà anche da quando ci sarà la vera ripartenza e su questo ci  sono ancora molte variabili».    

Molte aziende vogliono incentivare il lavoro da casa anche quando  l’emergenza sara’ conclusa. In questo senso va rivista la validità strategica del settore uffici? 

«Credo che ci sia ancora poca visibilità per una riflessione del genere. Certamente non bisogna tenere conto solo della gente che andrà meno in ufficio, ma anche del calo del business legato ad aeroporti, stazioni, metropolitane. Anche se le persone in smart working continueranno a bere il caffe’ da casa, per noi produttori il conto non sarà lo stesso. Per contro l’e-commerce sta diventando un canale sempre più interessante, se non strategico».    

Avete cercato di ottenere un supporto statale? 

«No, siamo solidi e abbiamo cassa a sufficienza per rispondere alla  crisi con le nostre forze. Il presidente Alberto Lavazza mi ha solo detto  di guardare al lungo termine con tre parole d’ordine: salute dei  lavoratori, preservare i posti di lavoro e prolungare di altri 125 anni la  storia di Lavazza».

Da ex manager Fiat, cosa pensa del prestito con garanzie pubbliche al  Lingotto? 

«Le regole per quei finanziamenti sono state fatte dallo Stato, non  dalle aziende. E quindi se Fca Italy ha i requisiti per ottenerli -come ha- sarebbe stato sbagliato non chiederli. Parliamo di un’azienda che in Italia dà lavoro a circa 50mila persone senza contare un immenso indotto.  Poi se vuole si può discutere sul perché i Paesi Bassi sono sempre ai primi posti delle classifiche sulla semplificazione normativa e la facilità di fare business e l’Italia normalmente agli ultimi».    

Lavazza è cresciuta molto anche con acquisizioni. In teoria un’azienda florida potrebbe approfittare del post covid per spuntare prezzi più bassi. Avete in mente altri deal? 

«In questo momento c’è poca visibilità su dove andrà il mondo ed è  difficile capire su quali settori puntare. Come si diceva: quale sarà l’evoluzione del settore uffici nel medio termine? Quale quella del comparto bar e ristoranti? Sono interrogativi cui ora è quasi impossibile rispondere. Non guardiamo al mercato in ottica speculativa, se si presentano opportunità le valuteremo».  

Il vicepresidente Giuseppe Lavazza ha detto più volte che la famiglia non è preconcettualmente contraria alla borsa. Ma che rappresenta una extrema ratio per alimentare la crescita. La pandemia ha cambiato questa idea? 

«E’ una questione che dovrebbe essere rivolta agli azionisti, direi pero’ che in questo momento un’ipo – per quanto abbiamo tutte le carte in regola per farla – non è all’ordine del giorno. Mi lasci concludere con un sorriso: da ceo in questo momento sono contento di guidare una società con una solida famiglia alle spalle e non dover rispondere alle logiche di breve termine della borsa».

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