Tappeto rosso e parata militare in piazza Tienanmen, abbracci e complicità nelle segrete stanze di Zhongnanhai, il quartier generale del Partito comunista.
La tv di stato cinese racconta per immagini l’accoglienza riservata al presidente russo Vladimir Putin in Cina.
Un “buon vicino” e “buon amico (hao lingju, hao pengyou)”, ma anche un partner strategico con cui “salvaguardare l’equità e la giustizia internazionale (weihu guoji gongping zheng yi)”.
Più ancora che nel centro politico di Pechino, il legame speciale con Mosca è evidente lungo il confine condiviso.
Più precisamente a Harbin, città del nordest della Cina con una forte influenza culturale russa e che il governo cinese vuole trasformare in un polo tecnologico nazionale.
Qui venerdì 17 Putin ha auspicato maggiori sinergie “nel settore spaziale, nucleare, e dell’intelligenza artificiale”.
Un’allusione velata alle forniture cinesi di materiale dual use tanto criticate dall’Occidente? Domanda lecita, non solo perché nel 2018 l’Harbin Institute of Technology ha destinato il 30% del budget per la ricerca alla difesa.
Rilasciata solo il giorno prima, la “dichiarazione congiunta sull’approfondimento del partenariato strategico globale”, citando lo “stato della sicurezza internazionale” e i “crescenti conflitti”, impegna Pechino e Mosca ad “approfondire la cooperazione militare e la portata delle esercitazioni congiunte”.
Messaggio edulcorato dalla condanna “all’abuso delle armi atomiche”.
Un punto su cui la Cina insiste da tempo a dimostrazione di come, davanti alle minacce nucleari di Putin, “l’amicizia senza limiti” con la Russia qualche limite in realtà ce l’ha.
È invece totale il supporto di Pechino nel “garantire sicurezza e stabilità, sviluppo nazionale e prosperità, sovranità e integrità territoriale”.
Non vale solo davanti all’avanzata della Nato nell’orbita ex sovietica, ma anche quando in gioco c’è la sovranità cinese su Taiwan.
Più esplicitamente, “le due parti si oppongono ai tentativi egemonici degli Stati Uniti di cambiare gli equilibri di potere nell’Asia nordorientale con blocchi militari”.
Più passa il tempo, più Cina e Russia sembrano perfettamente unite nel perseguire un ordine internazionale più in linea con le esigenze del Sud globale.
Da qui l’appello corale per “una soluzione urgente al conflitto israelo-palestinese”, ritardata dai presunti “doppi standard” di Washington.
Può suonare quindi strano che mentre Xi Jinping accoglieva Putin, Cina e Stati Uniti tenessero il primo colloquio tra i vertici regionali delle forze armate dal 2019.
Senza contare la visita in Europa del presidente cinese solo pochi giorni prima.
Quasi a voler rassicurare i padroni di casa e riposizionare la Cina al centro dei negoziati; se non con l’obiettivo della pace, quantomeno con l’intento di raggiungere la tregua olimpica tanto auspicata dal presidente francese Emmanuel Macron.
Soprattutto per placare Bruxelles, che all’ambiguità cinese in Ucraina ha risposto con il de-risking economico.
D’altronde gli scambi commerciali col blocco dei 27 valgono 850 miliardi di dollari; quelli con la Russia, raggiunti i 240 miliardi, permettono di velocizzare l’internazionalizzazione dello yuan e smaltire i veicoli elettrici che l’Occidente non vuole più.
Ma cominciano a declinare verso il basso, ostacolati dalle sanzioni americane.
Anche l’impegno a rafforzare la cooperazione sino-russa nel settore energetico cambia poco senza una conferma dell’atteso gasdotto Power of Siberia 2.
Intervistato da Xinhua, il capo del Cremlino si è detto “sempre aperto al dialogo con l’Ucraina”, purché vengano tutelati gli interessi di tutti i Paesi.
Se Mosca ha bisogno di rassicurazioni, questo è proprio quanto Pechino sembra voler cercare di darle.
Lo conferma a Milano Finanza l’autorevole analista Wang Yiwei ricordando come la Cina, che Putin ha definito “obiettiva e imparziale”, lo ha detto chiaramente: parteciperà alla conferenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky in Svizzera solo se ci sarà anche Putin.
“Zaori (il prima possibile)”: esternando una certa insofferenza, Xi ha utilizzato pubblicamente l’inusuale espressione per chiedere una rapida risoluzione del conflitto.