La presenza in Germania del capo dello Stato Sergio Mattarella, anche senza parlare dell’operazione Unicredit, potrà senz’altro aiutare a creare un clima più disteso.
Finora si sono registrate reazioni sindacali e di una parte del governo tedesco nettamente contrarie all’operazione.
Il cancelliere Olaf Schölz ha manifestato l’avversità a un progetto di acquisizione.
Il caso dell’operazione Unicredit-Commerzbank, con la banca di piazza Gae Aulenti che può accrescere la partecipazione al 21% e ha chiesto di essere autorizzata dalla Bce ad acquisire fino al 29,9% del secondo istituto tedesco, può essere esaminato da molte angolature, ma la principale ci conferma degli effetti dei ritardi nella realizzazione di una vera Unione bancaria della quale è stato realizzato solo il primo pilastro, quello della Vigilanza unica, ma non gli altri due: la normativa sulla risoluzione delle banche in crisi, con l’irrisolto problema del Mes, e l’assicurazione europea dei depositi.
Di là da venire, di questo passo, è poi l’Unione dei mercati dei capitali invocata, al pari della prima, dai report di Mario Draghi e di Enrico Letta.
La Vigilanza della Bce sostiene da non breve tempo l’importanza di aggregazioni transfrontaliere, ma non appena si verifica l’iniziativa dell’Unicredit si constata che sono parole al vento, quanto meno nei confronti del governo tedesco che, in una larga parte, si oppone all’operazione e giudica ostile la scalata al 29 per cento, mentre l’Unicredit ha ribadito che comunque non intende compiere alcuna ostilità.
Non si è udita fino a lunedì scorso la Commissione Ue, certo ora a fine mandato, ma sempre però pronta a intervenire in nome della concorrenza e del libero mercato, a volte anche a sproposito, mentre per il passato occorre osservare che il governo tedesco, che a suo tempo ha concorso al salvataggio della Commerz, ne è ora il primo azionista e nessuno lo sollecita ad uscire dall’azionariato.
Tutt’altro comportamento Bruxelles ha tenuto a proposito del Montepaschi e del partecipante Tesoro, arrivando anche a lasciare intravedere la necessità di alienare la partecipazione al capitale della Banca d’Italia per osservare le intese sulle dismissioni.
Un istituto come Unicredit che, dotato ampiamente dei mezzi necessari, imbocca una strada coerente con le sue strategie non dell’ultima ora e in armonia con le spinte generali dell’autorità di supervisione dovrebbe attendersi un «level playing field», un contesto omogeneo e giusto entro il quale competere.
E invece trova pregiudizialmente una serie di ostacoli e la discesa in campo del governo – anche sotto la spinta delle più generali vicende politiche tedesche e almeno per ora senza avere attivato una sorta di golden power – pronto a sbarrare la strada.
Certamente l’amministratore delegato Andrea Orcel, che nel ramo delle aggregazioni o delle diverse combinazioni ha una grande esperienza, saprà muoversi nel modo migliore.
Ma qui vi è l’esigenza, pur nella mancanza delle Unioni di cui si è detto e nella confusione normativa esistente, che la Vigilanza unica, presieduta dalla tedesca Claudia Buch che è chiamata a dar prova della sua imparzialità, e la Commissione europea, anche in fase di transizione e con provvedimenti formali, facciano sentire la propria voce.
Poi vi è la competenza finale del Consiglio direttivo della Bce.
È necessario un «livellamento del campo».
Poi sarà Unicredit, agendo ad armi pari, a dimostrare le sue capacità.
Se questa condizione di «par condicio» si realizza, allora si dà un contributo anche al percorso per completare l’Unione bancaria e avviare quella dei capitali.
Naturalmente, si deve sempre aver presente che le aggregazioni si debbono fare non per accrescere meramente le dimensioni fine a sé stesso, ma per meglio corrispondere alla ragion d’essere di una banca, quella cioè di fare meglio il credito a famiglie e imprese.
E ciò ovviamente parla anche alle nostre autorità monetarie e al governo che è immaginabile stiano doverosamente seguendo gli sviluppi dell’iniziativa.