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Un patto per il payback, non è più sostenibile | L’intervista a Marcello Cattani, presidente Farmindustria

Il conto salatissimo del payback per le aziende farmaceutiche nel giro di cinque anni è più che raddoppiato, passando dagli 1,195 miliardi del 2021 ai quasi 2,5 miliardi attesi per quest’anno, per poi salire ancora sfiorando i 2,8 miliardi nel 2026.

“Sono cifre assolutamente non più sostenibili per le imprese che cinque anni fa impattavano sull’1% del fatturato e il prossimo anno arriveranno a incidere sul 19%: in questo modo le facciamo fuggire e con loro andrà via l’innovazione dal Paese” avverte Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, in un’intervista a Il Sole 24 Ore, che giustifica come “un atto dovuto” i ricorsi al Tar partiti recentemente da una ventina di aziende contro il payback del 2023, che cuba 1,8 miliardi.

Il noto meccanismo prevede che le imprese ripianino metà dello sfondamento del tetto della spesa farmaceutica diretta a carico del Ssn (quella ospedaliera), che ogni anno sfonda sempre di più un tetto che non riesce già da diversi anni ad arginare una domanda di farmaci sempre più inarrestabile.

Ma Cattani non chiude la porta e al Governo “con cui collaboriamo bene” avanza la proposta di “un patto di legislatura in modo che dal 2027 il payback sia superato definitivamente e resti solo un brutto ricordo”.

I ricorsi, appoggiandosi a quanto detto dalla Consulta per i dispositivi medici, denunciano la sproporzione delle somme.

“Qualcuno lo chiama contributo di solidarietà, ma qui non parliamo di una liberalità. Quello che paghiamo dopo aver già versato le tasse vuol dire strozzare le imprese. È un ricatto” prosegue Cattani, “che pesa sulla possibilità di creare sviluppo e occupazione qualificata nel nostro Paese”.

Cosa chiede al Governo?

“Di lavorare con una prospettiva più ampia che guardi a quello che accade nel mondo. La stessa Europa ci dà un gancio con lo European Competitiveness Compass, che richiama l’esigenza di una strategia sulla life sciences, aggiunge.

Perché è così importante? “L’Europa sta provando a definire una strategia di difesa comune. Ecco, la salute dovrebbe essere parte centrale di questa strategia, come abbiamo compreso tutti durante il Covid. La stessa premier Meloni ha parlato di un concetto ampio di difesa strategica del Paese”.

E quindi?

“Serve un patto di legislatura con il Governo in cui l’investimento in salute sia considerato per il valore che genera, con possibili effetti sul patto di stabilità e sui vincoli di bilancio. Come fare? Serve una gittata pluriennale, perché sappiamo che non si può superare in un colpo solo il meccanismo del payback e rivedere la governance. Innanzitutto, bisogna far sì che la crescita del payback si arresti e non cresca più dai livelli del 2023, intervenendo anche su quello legato alla spesa convenzionata. Bisogna tirare una riga per poi ridurlo e infine cancellarlo”.

E poi?

“Va studiato un meccanismo che guardi al valore generato dai farmaci. Che non è solo un beneficio clinico, ma comporta anche la riduzione di costi diretti e indiretti, oltre a una riduzione degli oneri sociali. Se valutiamo ogni farmaco per il contributo che dà in queste dimensioni, riusciremo davvero a cambiare”, risponde Cattani.

E se non si interviene?

“L’Italia rischia di perdere l’incredibile contributo dell’industria farmaceutica” avverte, “che tra multinazionali e imprese nazionali nel 2024 ha raggiunto il record di export di 54 miliardi, con una crescita del 9% rispetto al 2023. Tra il 2022 e il 2024 il Pil italiano è cresciuto dell’1,5%, mentre la farmaceutica è cresciuta del 17,7%. Sono numeri impensabili solo cinque anni fa. Oggi si parla tanto di automotive, ma con tutto il rispetto il mondo è cambiato, così come i bisogni dei consumatori, e noi intercettiamo quello fondamentale della salute”.

Quali sono le altre sfide?

“Ridurre i tempi di accesso ai farmaci, a partire da quelli innovativi da garantire presto. La ricerca si sta polarizzando in Cina e Usa, e l’Europa invece è in ritardo. Per questo non dobbiamo avere paura di utilizzare i dati sanitari, che, ben protetti e centralizzati, devono essere accessibili dagli algoritmi”, conclude Cattani.

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