Luisa Todini, imprenditrice e presidente della holding Todini Finanziaria, è intervenuta al webinar organizzato dall’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia in collaborazione con Value Target, dal titolo “L’era dell’Agrifood 4.0: sostenibilità e digitalizzazione”. L’evento, moderato dal giornalista di TGCOM24, Dario Donato, ha visto tra gli ospiti anche Francesco Raimondi, CEO di Value Target; e Federico Sannella, direttore delle Relazioni Esterne di Birra Peroni.
Presidente Todini, certo che parlare di agricoltura pensare al digitale, alla digitalizzazione, alla blockchain, ai droni, piuttosto che a tutto quello che si può fare in un pezzo importantissimo del prodotto interno italiano, è un po’ contro-intuitivo, però ci siamo.
«Contro-intuitivo, sì, ci siamo. In ogni caso, c’è un mix di genere crea profitto. Anche qui, old economy, new economy o economy of the future, intelligenza artificiale, ora più che mai devono andare d’accordo».
«Faccio un esempio recentissimo nella mia tenuta in Umbria. Come tanti di noi italiani che poi hanno fatto anche altre attività di impresa, ma che nascono e crescono nelle agricolture. Io in particolare ho avuto la fortuna di nascere nelle belle colline umbre di Todi».
«Ecco, noi da oltre 30 anni diamo borse di studio intitolate a mio padre. E come ogni anno, una parte della vendemmia cerchiamo di condividerla con alcuni di questi studenti. Quando arrivano tra i filari armati di forbici, si bagnano, si sporcano. Sono ragazzi che studiano con tutte le tecnologie del previsto, ma il contatto con la natura è bellissimo».
«Ho un’emozione particolare quando arrivo in Umbria e metto i piedi per terra. Poi c’è chi si emoziona più per il mare, per la montagna o quant’altro. Ma l’80% dell’Italia è rurale. Anche se poi nel giro di una generazione abbiamo perso circa il 28% delle terre coltivabili, e qui l’intelligenza artificiale e tutto quello che è l’agricoltura 4.0, ci può sicuramente aiutare ad usare al meglio quelle che sono rimaste coltivabili e a sfruttare al meglio quelli che in qualche modo abbiamo perduto».
«Anche qui volevo raccontare un piccolo aneddoto, capitato qualche anno fa quando il presidente Barack Obama venne in Italia al termine del suo mandato. Era primavera e venne proprio in occasione di un evento legato all’agricoltura che veniva organizzato a Milano, e io ebbi l’onore di partecipare a un dinner ristretto con il presidente Obama e alcuni imprenditori».
«Nel chiedere a tutti “di che cosa ti occupi”, come tanti imprenditori ho spiegato “mi occupo di green, di energia, vengo dalle costruzioni, ma fondamentalmente di agricoltura”. E rimase colpito che tutti gli imprenditori intorno al tavolo – grandi nomi della moda, della siderurgia e quant’altro – tutti in qualche modo erano legati all’agricoltura».
«Obama chiese proprio a me “perché tutti legati all’agricoltura?”. Ecco, questa è una riflessione che io ho fatto nel tempo. Ogni imprenditore piccolo, medio o grande che sia in Italia, o è nato nell’agricoltura ed è cresciuto, o ha ampliato l’attività di famiglia, o avendo “fatto fortuna” poi ha deciso di comprare una terra per fare il proprio vino, il proprio olio e quindi raccontare il lifestyle».
«Il mondo del green, dell’agricoltura in generale, della trasformazione agricola e della produzione agricola, è fortemente insito nella nostra natura e cultura. Credo sia tipico dell’Italia, forse della Spagna o una parte della Francia del Sud. Non credo ci siano molti altri Paesi al mondo così legati all’agricoltura anche se poi hanno avuto vocazioni e fortuna in altri settori industriali. Questa è una grande forza ed è un patrimonio anche culturale fondamentale, che dobbiamo poi trasformare in patrimonio e profitto effettivo».
«Dicevo prima che il 28% delle terre coltivabili in una generazione sono andate perdute, magari perché le campagne non sono state coltivate nel modo giusto, non sono state utilizzate nel modo opportuno. Siccome non ci può essere una sovranità alimentare, bisogna anche scegliere laddove possiamo coltivare».
«L’agricoltura è un bene comune, in Italia più che mai, per i motivi che dicevo prima. Quello che noi oggi leggiamo nel Pnrr, ormai noto, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Io non perdo occasione per dire che se togliessero la parola resilienza sarebbe meglio, perché la resilienza non mi piace».
In qualsiasi contesto io abbia preso parte, qualsiasi termine che diventa moda e di cui si abusa andrebbe cancellato.
«Ovunque posso lancio l’appello: presidente Draghi, rimanga con noi tutta la vita, ma togliamo la resilienza. Diamo due numeri anche per regolarità, su quello che c’è nell’agroalimentare. Su circa 7 miliardi, che non sono pochi 800 milioni per la logistica, 1 miliardo e mezzo per il cosidetto l’agrisolare – in cui possiamo definire e declinare meglio il solare. 500 milioni per l’ammodernamento delle macchine agricole con tutto quello che comporta la possibilità di defiscalizzare, per ammodernare il nostro parco macchine e renderlo sempre più famoso insieme a quello dell’intelligenza artificiale».
«1,2 milione per i contratti di filiera, fondamentali in tutta Italia. Perché anche qui ci sono tre o quattro “Italie” nel settore agricolo. Io vivo nell’Italia centrale del nord, che è già diversa dal Lazio. Decisamente diverso è il Piemonte, decisamente diverse alcune zone del Sud».
«2 miliardi per lo sviluppo delle produzione delle tecnologie inerenti il biogas e il biometano. Oggi io parlo dalla sede di Green Arrow, un sgr che presiedo, fortemente innovativa e investita nel green – molto negli investimenti in biometano. 880 milioni per i sistemi irrigui. Sembrano tanti, ma sono troppo pochi per quelli che sono i problemi. Ho voluto dare due numeri, che magari possono servire per alimentare il dibattito».
Dottoressa Todini, come Agronetwork – il think tank che lei presiede, attivo da ormai da qualche hanno – promuovete lo sviluppo della competitività, delle aziende affinché si trasformino e vadano anche in direzione del digitale. C’è bisogno di uno switch culturale, in un Paese fatto di microaziende, microproduttori agricoli. Si può fare in tempi rapidi o oltre che formazione serve conoscenza, serve divulgazione?
«C’è il desiderio, c’è la preparazione culturale – per altro anche grazie ai tanti finanziamenti arrivati in Italia, non nel post pandemia, ma prima da parte della Bei. Tanti giovani universitari si sono agricoltura e quindi con una cultura decisamente più propensa a quello che l’utilizzo dell’agricoltura di precisione».
Secondo lei arriveremo al momento in cui un ragazzo dirà, “lo sai che c’è, faccio il contadino”? Ma non il contadino che faceva mio nonno, classe 1911. Intendo contadino, che con il computer e gli strumenti riesce a rendere l’agricoltura sostenibile, sa dove innaffiare. Non dimentichiamoci che come gli spostamenti, l’agricoltura inquina moltissimo se fatta nella maniera in cui non va fatta.
«Nell’ultimo decennio – anche per sopperire a quel 28% che in una generazione si è perduto di terreno non coltivato, trasformato, non utilizzato o sprecato – c’è stato tanto investimento da parte della Bei di fondi strutturali – che poi sono nostri fondi. E tanti giovani si sono riavvicinati»
Fondi che non usiamo quasi mai. Per la verità non siamo capacissimi di farlo.
«Oppure sono usati male, c’è difficoltà nella burocrazia italiana, che è un mare magnum complicato. Quella europea non le dico – ne so qualcosa da tanti punti di vista. È ancora più difficile districarsi nella burocrazia europea, però poi c’è certezza. In quella italiana non c’è neanche certezza che chi si mette a nuotare nel mare della burocrazia poi si riesca ad arrivare a riva».
«A parte questa considerazione, tanti giovani si sono avvicinati e hanno iniziato a fare attività agricole. E non di seconda o terza generazione, ma proprio di prima generazione. Quindi c’è l’humus culturale. C’è la voglia di utilizzare al meglio quelli che sono gli strumenti più innovativi».
«Il tema della conoscenza e divulgazione è fondamentale. Quindi, anche aziende come Value Target e questi webinar, anche chi utilizza questi strumenti fa veramente un servizio al bene pubblico. E riesce a far si che l’agricoltore o il contadino – una bellissima parola – non sia più soltanto colui che è legato alla produzione alimentare o enogastronomica, ma sia anche un interprete o un interlocutore per la tutela dell’ambiente e della produzione dell’energia».
«Perché poi tutta la filiera ci porta a quella che è la tutela dell’ambiente e produzione dell’energia. E io dico, perché questo faccio in Umbria – oltre al vino e alle produzioni agricole – anche ospitality, quindi raccontare un lifestyle territoriale con quello che ormai viene chiamato “turismo esperienziale”, che attira molto italiani e non. Ma soprattutto racconta l’eccellenza italiana».
«Voglio toccare un punto, su cui noi spesso ci siamo interrogati, soprattutto dopo il Recovery Plan: fondo perduto e credito di imposta. Noi imprenditori di solito festeggiamo quando un debito lo estinguiamo, non quando lo contraiamo. Questi 240 miliardi sono infiniti, ma sono debito di varia natura. Anche il fondo perduto va a favore di quelle imprese che hanno già le spalle abbastanza larghe, quindi possono permettersi di anticipare. O ci devono essere gli strumenti bancari, assicurativi, ti altri istituti finanziari che possano permettere di creare un anticipo soprattutto sulle piccole aziende».
«Il credito di imposta è lo strumento effettivo per dare il cash ai piccoli imprenditori. Quindi c’è debito e debito. Il fondo perduto per un periodo di tempo pesa sulle tasche dell’imprenditore stesso, e non tutti se lo possono permettere».
«Noi con Agronetwork siamo nati da circa tre anni, siamo neonati. I nostri amici e cugini di Coldiretti hanno creato filiere. Sono due think tank che cercano di raccontare al meglio come far lavorare questa squadra che poi crea la famosa economia circolare, che è una realtà effettiva – non sono due parole unite insieme per raccontare un’utopia. L’economia circolare è quella che crea oggi un valore aggiunto».
«Vorrei toccare il tema dell’utilizzo delle risorse idriche, per esempio dell’idroponico. Per la prima volta ho sentito parlare di idroponico tanti anni fa in Africa, oppure quando ho avuto la fortuna di andare alle Maldive. Oggi è un tema fortemente presente anche in culture come le nostre, per l’utilizzo migliore delle acque. Il racconto della creazione di ottimi cibi con un utilizzo intelligente delle acque. Quando qualche anno fa ho avuto la fortuna di andare in Islanda ho visitato una delle serre di pomodori più belle, che non avevo mai visto in nessuna parte di Italia e ho assaggiato un sugo di una pizza margherita – forse perché ero in Islanda – ma buonissima».
«C’è la possibilità di fare uno storytelling che rende competitivi anche gli islandesi su quelli che sono i nostri valori aggiunti. Questo deve farci capire come sfruttare al meglio le risorse che abbiamo».
Dottoressa Todini, nella sua holding ha anche delle partecipazioni finanziarie, il tema della sostenibilità che genere di driver è rispetto alle scelte di investimento?
«Beh, è un driver fondamentale. Sono nata e cresciuta nell’agricoltura come tanti di noi, poi la mia famiglia ha investito fortemente in grandi infrastrutture. Mio padre è scomparso da vent’anni, poi la legacy l’ho avuta io. E ho deciso, fortunatamente, di uscire dal settore delle costruzioni, quando non era tutti in crisi, e investire in un altro settore. Ho iniziato ha investire subito nel settore green, insieme alla parte industriale – nella sperimentazione di pannelli fotovoltaici, di elettricità sostenibile e quant’altro».
«Oggi il fondo Green Arrow Sgr abbiamo circa 500MW di energia pulita in gestione in tutta Europa. Mi lasci raccontare una cosa che è tutta italiana, che racconta proprio quanto l’economia circolare e l’energia pulita deve essere davvero tale. Abbiamo creato e lanciato circa un anno fa E-Gap, che la colonnina mobile quindi non una colonnina fissa di ricarica elettrica che ricarica con energia totalmente green – che prendiamo dal solare, nei campi agricoli, sui tetti dei capannoni e dal biometano – che portiamo a domicilio».
«Questa ricarica supera quelli che sono i problemi di grandi infrastrutture elettriche di elettrificazione e di infrastrutturazione per la ricarica delle macchine elettriche. Che è poi il motivo per cui non ci si avvicina alla macchina elettrica. Quindi sostenibilità anche in senso orizzontale, anche con delle innovazioni che sono per il momento con una declinazione su tutte quelle sono le nostre attività».
«Per altro, i fondi che noi proponiamo e gli investitori che si avvicinano a noi, ormai si avvicinano, anche quando si parla di agrifood, soltanto se si è ESG. Questo come Pnrr. È un acronimo che è diventato quotidiano. Ormai anche quanto stiamo a tavola dico a mia figlia devi mangiare ESG (Environmental, Social, and Governance)».
«Questo non è ormai, anche declinato nell’agrifood, soltanto un “politicamente corretto”. Si è creato un circolo virtuoso per cui chi offre finanza alle imprese, che attrae finanza, investe soltanto dove si è veramente ESG con un’attenzione. Noi imprenditori dobbiamo essere fare autocritica, essere pronti a gestire al meglio e a essere trasparenti. Prenda il settore dell’ho.re.ca., che è molto legato a quello dell’agrifood, ed è stato ovviamente penalizzato dalla pandemia. E quindi si è penalizzata tutta la filiera. Io faccio anche ospitati, ristorazione, nel massimo della trasparenza».
«Ma quanti imprenditori che invocano sostegni, benefici, crediti di imposta e poi dopo fanno in nero. Dobbiamo essere pronti a essere trasparenti. Quindi fiscalità di vantaggio, diminuiamo sempre di più quelle che sono le tasse sul lavoro, cerchiamo di non parlare di licenziamenti – e questo sarà l’autunno caldo, perché noi imprenditori nasciamo per assumer, non per licenziare, però permetteteci di tenere in vita le nostre imprese. Anche noi imprenditori dobbiamo fare la nostra parte, utilizzando al meglio questi strumenti senza fare i furbi. Questo lo dico perché c’è un pezzo di categoria che ancora non l’ha capito».