Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

Silvia Venturini Fendi (Fendi): «La moda ha vissuto un grande cambiamento in questi anni, ora vogliamo entrare nelle case»

Per i Fendi è una questione di casa. A Design Miami, dove a casa ci si sentono, perché sono stati tra i pionieri del mondo del lusso a entrare nell’arena dei pezzi unici. A Roma, città natale della fashion house di Lvmh, dove si è appena festeggiato un anno del nuovo corso artistico con le nomine di Kim Jones e Delfina Delettrez accanto a Silvia Venturini Fendi.

Poi Fendi casa che partirà ufficialmente a gennaio con la new entry, FF DesignFashion furniture design, joint venture con la partecipazione di Design holding. E al sole della Florida presentano il progetto Kompa, realizzato insieme al brand Mabeo del Botswana e al suo fondatore Peter Mabeo. Che hanno messo insieme tecniche e punti di vista artigianali da tutto il paese africano.

«Da un mio punto di vista personale, ero molto interessato a collaborare con un design studio basato in Botswana perché da piccolo ho vissuto molto lì, quando viaggiavo con mio padre idrogeologo», ha spiegato a MFF lo stesso Kim Jones, direttore creativo del prêt-à-porter femminile e delle collezioni couture, «sono cresciuto in Africa, è un passato di cui sono fiero. E sono stato attratto dall’approccio dello studio di Peter, tra forma e funzione con materiali e tecniche artigianali specifici nel loro environment». Nell’allestimento candido spuntano anche immagini che riprendono il making of. Aprendo anche mentalmente una nuova dimensione. «Non vogliamo essere nei musei, ma entrare nelle case», ha spiegato a MFF Silvia Venturini Fendi in una lunga intervista dove racconta di questo anno speciale, del futuro, del ritorno a una sfilata fisica dell’uomo a gennaio. E di Virgil Abloh, appena scomparso. «Rappresenta il grande cambiamento che la moda ha effettuato in questi anni»

Quest’anno i progetti di Design Miami hanno una nuova dimensione.

Volevamo veramente mostrare quello che sta succedendo all’interno dell’azienda. E volevamo un progetto più collettivo, che fosse legato al design ma che fosse pensato anche insieme a Kim (Jones, ndr). Mi piaceva che ci fosse il suo punto di vista. Infatti la scelta, non a caso, è ricaduta su Peter Mabeo che lavora in Botswana, un Paese che Kim conosce bene. Sappiamo il suo amore per l’Africa, basta seguire il suo Instagram per renderci conto di quanto ami quei posti, la natura e anche l’artigianato, immagino, di quei luoghi.

Quindi è un progetto collettivo, la famiglia si è allargata?

Mi piace molto e questo è molto in linea con il momento, la famiglia si è arricchita.

Fendi 4.0? essendo il marchio giunto alla quarta generazione della vostra famiglia, con sua figlia Delfina Delettrez.

Mi piace avere questa cosa della famiglia di elezione, non soltanto la famiglia nel senso di legami di sangue.

Questo progetto collettivo, pensato da tutti voi, battezza anche la nuova dimensione di Fendi casa.

Finalmente, dopo tanto tempo, si chiude il cerchio del progetto. Significa anche dare veramente sostegno, non vogliamo vedere le cose solo nei musei, ma anche nelle case.

E quindi, in questo senso, Miami cosa rappresenta? Una specie di laboratorio tra design e realtà?

È come l’alta moda, per l’industria dell’abbigliamento. Può sembrare che sia una palestra, dove tu puoi sperimentare, e poi chiaramente da lì partono delle idee che, con il tempo, vengono sviluppate e industrializzate. Ed è quello che stiamo facendo con Mabeo, perché avremo il tempo di presentare poi le cose industrializzate o, se non identiche, ispirate a queste, in occasione del Salone del mobile.

Come si sente in questa nuova dimensione Fendi?

Molto felice, perché, secondo me, io sono abituata a uno scambio.

Lei aveva 4 anni quando conobbe Karl Lagerfeld.

Ho cominciato a «frequentarlo» a quell’età, ero testimone di cosa avveniva intorno a quel tavolo.

I racconti delle sorelle.

Sono tanti. Quando si cresce con una mamma che lavora, alla fine si cresce anche in azienda. E quindi è molto stimolante il colloquio, il dialogo, perché a volte arrivi allo stesso punto, ma da un punto di vista diverso. E se credi veramente in una cosa, la porti avanti con convinzione, perché cerchi di convincere magari anche gli altri della tua visione. Però il punto è comune, alla fine si deve arrivare a un punto e quindi uno deve convincere l’altro. Oppure, a volte, tutti hanno immediatamente la stessa idea e, in quel caso, sono anche delle conferme.

Qual è una delle prime cose che lei e Kim vi siete detti? Vi siete guardati e avete pensato: «Adesso si inizia»?

Era un detto-non-detto da tempo, quindi, appena è arrivato, è stato come se ci fosse da sempre. Anche lui si è sentito subito a casa.

E vi ha citato subito, fin dalla prima collezione, quando ha parlato delle donne di Fendi, di queste figure potenti che lavoravano.

Il primo giorno che è arrivato, l’ho aspettato sulle scale del Palazzo della civiltà italiana (sede di Fendi a Roma, ndr). Ci siamo sentiti subito pronti, poi in questa professione non hai tempo per conoscerti. Ma noi ci conoscevamo già da tempo.

Dove vi siete conosciuti?

A Roma, durante una convention di un giornale internazionale. Eravamo entrambi relatori e tutti e due ci sentivamo un po’ spaesati, perché sia io che lui siamo un po’ timidi, alla fine. E quindi ci siamo dati forza in quell’occasione. E da quel momento è nata un’amicizia, ci siamo sentiti, ci siamo rivisti, mi ha invitato spesso alle sue sfilate.

A lei piace andare ogni tanto agli show degli amici?

Se ho degli amici li sostengo, mi piace, sono abituata a questo senso di community.

E sempre a Palazzo Fendi è stata scattata quella foto un po’ profetica con Kim Kardashian, Donatella Versace e Kim Jones.

Già in quel momento aveva scatenato l’attenzione. Qualche domanda qualcuno se la sarà fatta, no?

La Kompa collection by Mabeo Studio per Fendi Casa

È diventata una foto iconica. Si è divertita a fare Fendace?

Molto, poi con Donatella come ci si può non divertire? È una donna dalle tante sfaccettature, con cui puoi parlare di moda, ma poi, umanamente, anche di tante cose che ci sono comuni, cioè cosa vuol dire essere donna, madre. Abbiamo tanti punti di vista e tante cose da dirci. Delfina e Allegra (Versace, figlia di Donatella) hanno più o meno la stessa età, sono coetanee. Quindi è una bella storia familiare.

Una quindicina di anni fa in un vostro evento a Tokyo, da Nigo, c’era Kanye West che cantava con la doppia F intagliata sui capelli.

E in quell’occasione, scherzando e ridendo, Kanye mi aveva detto: «Vorrei fare uno stage». Io non pensavo che l’avrebbe fatto sul serio, poi un bel giorno è arrivato.

Uno stage da voi con Virgil Abloh.

Che all’epoca lavorava con lui. Ma non solo lavoravano insieme, erano anche molto, molto amici.

Che ricorda di Virgil Abloh? L’abbiamo vista alla sfilata commemorativa.

Come ha detto Michael (Burke, presidente e ceo di Louis Vuitton), molto silenzioso, perché diciamo che stava più sulle retrovie. Era un osservatore, ma soprattutto una persona molto gentile, molto pacata. Kanye è più un turbine, invece lui era, direi, un po’ l’opposto, forse.

Cosa pensa che abbia lasciato alla moda?

Sicuramente Virgil rappresenta il grande cambiamento che la moda ha effettuato in questi anni. Una persona che spazia. Non si può più parlare di designer, perché la definizione di designer è forse anche riduttiva. Una creatività applicata in tantissimi campi, perché ormai il mondo è iperconnesso, quindi lui rappresentava proprio una persona totalmente poliedrica. E poi una grandissima energia, però allo stesso tempo, ti dava un senso di calma, perché quest’energia non ti metteva in agitazione. Lui faceva tutto e sembrava che facesse tutto in maniera facile.

Ma in quello stage, West e Abloh cosa facevano?

Più che altro erano due ragazzi che adoravano la moda e che volevano capire se potevano trovare uno spazio all’interno della moda e del lusso. E quindi erano più osservatori che stagisti, però fingevamo che fossero degli stagisti e quindi a volte mi dicevano: «Ah, oggi andiamo via prima». Perché? «Dobbiamo andare in Corea». E io: «Quando tornate?», e loro: «Non ti preoccupare, domani siamo già qua, andiamo a fare un concerto in Corea e torniamo». E quindi diciamo che mi veniva un po’ da ridere, però erano seriamente interessati al processo e avevano tantissime idee. Certo, da Fendi all’epoca non potevano metterle in pratica, però sicuramente quest’esperienza è stata per loro una forma di studio.

Un anno dall’arrivo di Kim Kones. Un primo bilancio?

Mi sento felice, e lo abbiamo dimostrato facendoci quella foto dove si vede che siamo felici a Times square, si vede proprio la meraviglia, che siamo contenti, soddisfatti. È un momento buonissimo, lavoriamo con tanta passione, tanta energia e tanto entusiasmo.

A gennaio tornerà a sfilare con l’uomo Fendi, in forma fisica.

Sperando di poter avere più pubblico possibile, ma dipenderà dalle nuove regole.

Quanto è importante una sfilata fisica?

E’ comunque un rituale. Io ho amato molto anche avere come challenge quella di coinvolgere le persone attraverso uno schermo, ho cercato in tutti i modi di metterci l’anima e di dare delle sensazioni di emozione. Credo che l’emozione sia riuscita ad arrivare, però, certo, il fatto di essere lì tutti insieme, sentire e vedere tutti, nello stesso momento, la stessa cosa e potersi lanciare anche solo uno sguardo, capire che cosa pensa chi è accanto è tutta un’altra cosa, è importante.

Sua figlia Delfina ha avuto una nomina importante, quella di direttore creativo della gioielleria di Fendi.

Importantissima, è un settore a cui stiamo dando tanto sviluppo, quindi sono molto contenta.

La Kompa collection by Mabeo Studio per Fendi Casa

Cosa le ha detto, da madre e da collega?

Ho detto: «Finalmente!», sono stata molto contenta. Da mamma, sono stata contentissima e da collega, sono stata sicura che Delfina sarebbe stata un elemento valido all’interno del nostro gruppo. Non avrei mai pensato di farla io questa proposta al gruppo, perché sono anche molto orgogliosa e quindi non è venuta da me, non ho fatto mai nessun tipo di pressione. Lei ha dimostrato di essere una ragazza in gamba facendo la sua piccola linea che ormai ha successo da dieci anni, che si è creata da sola. Quindi, bene, siamo molto contenti e io sono molto soddisfatta che la storia continui, che ci sia questo sguardo. Crescere in una casa come Fendi è un po’ come andare all’università, quando nasci in queste famiglie non si tratta di nepotismo. Noi «figli di» viviamo sempre questo preconcetto un po’ ridicolo.

Lei dice sempre che il cognome non evita il fatto che tu sia considerato per quello che fai, se non vendi vieni messo a casa.

Io sono ormai libera, infatti quando abbiamo venduto l’azienda ho detto «Finalmente posso valere per quello che faccio e non per chi sono». Perché non era detto, non era scritto da nessuna parte che il signor Arnault (Bernard Arnault, patron di Lvmh, ndr) dovesse avere per forza una donna Fendi dentro. Ci sono altre aziende che hanno il nome di una famiglia e che non hanno più alcun membro della famiglia stessa al loro interno. Quindi se sono qua è perché i risultati ci sono.

Lei era la più piccola, aveva sua madre e quattro zie. E ora è lei che fa da madre a Delfina.

Ma anche a tutto il mio team, non solo a Delfina.

C’è un consiglio che ha dato a loro o a Kim Jones?

No, penso di aver dato sempre un esempio. Non penso di dover dare dei consigli, più che mai è stata Delfina a dirmi: «Certo che è un impegno enorme». Lei si rende conto e forse, a volte, non se ne poteva rendere così tanto conto, dall’esterno, di quanto questo lavoro sia impegnativo.

E a Kim Jones ha dato consigli? Lui le ha chiesto qualcosa?

Lui è una persona che chiede, chiede, chiede sempre. Quello che mi piace di Kim è che ti chiede un parere, mi chiede se mi piace, se me lo metterei. Abbiamo un bellissimo dialogo, lui ha dichiarato che si ispira molto alle donne che lo circondano, quindi alle sue amiche, alle persone che incontra. Adesso abbiamo addirittura una giacca che si chiama Silvia, in collezione, uno dei bestseller.

È orgogliosa della Silvia jacket?

Certo, perché dice: «Questo è per Silvia». E poi uno dei bestseller.

SCARICA IL PDF DELL'ARTICOLO

[bws_pdfprint display=’pdf’]

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.