In Italia come in Europa, continua a rimanere alta l’inflazione, se pur molto diminuita rispetto al picco dell’anno scorso. Segno che i sistemi economici non hanno terminato di trasferire a valle i rincari subìti a monte con l’aumento del prezzo dell’energia. Questa resistenza dell’inflazione sembra giustificare i timori della Banca centrale europea e la sua determinazione a continuare ad aumentare il costo del denaro. Ma è la soluzione migliore? In realtà, l’inflazione non è solo uno squilibrio tra domanda ed offerta, da curare con una politica monetaria che riconduca il livello della domanda a quello dell’offerta.
L’inflazione è anche un gioco tra gli attori economici, volto a modificare a loro vantaggio la distribuzione del reddito. Negli anni lunghi della deflazione, i paesi importatori di materie prime ed energia hanno aumentato la loro quota di reddito e le imprese hanno fatto profitti rilevanti. Con il Covid e poi la guerra in Ucraina, le materie prime e l’energia hanno recuperato reddito, ma a scapito essenzialmente dei consumatori e dei bilanci pubblici, perché le imprese hanno riversato i maggiori costi dell’energia sui prezzi dei loro prodotti.
Ora è la volta dei lavoratori e delle imprese marginali, che devono recuperare parte del loro reddito e anche degli Stati che hanno aumentato la spesa pubblica (o ridotto le tasse) per allentare la morsa dell’inflazione sui redditi dei meno abbienti. Bloccare ora l’inflazione a tutti i costi con dosi massicce di restrizioni monetarie, potrebbe lasciare scoperti i redditi dei più deboli che ancora devono recuperare le loro quote. E c’è da domandarsi se sia giusto e utile farlo.