Secondo i dati raccolti da I-Aer, un’ampia maggioranza delle pmi italiane si dichiara contraria all’introduzione del salario minimo, citando come principali motivi l’elevato costo del lavoro e la bassa produttività che già affliggono il settore.
Il 68% degli intervistati ritiene che l’introduzione del salario minimo aumenterebbe ulteriormente i costi aziendali, mentre il 54% sottolinea la scarsa produttività come un problema critico che non verrebbe risolto, ma anzi aggravato, da un aumento dei salari imposti per legge.
Le pmi costituiscono il cuore pulsante dell’economia italiana: rappresentano oltre il 99% del totale delle imprese e generano una parte significativa del Pil del Paese.
Tuttavia, queste aziende operano spesso in contesti di margini ridotti, dove ogni aumento dei costi può avere un impatto significativo sulla sostenibilità economica.
Infatti, la preoccupazione maggiore nasce da quei settori dove il costo del personale rappresenta una parte importante del bilancio, in particolare: attività manifatturiere, commercio all’ingrosso e al dettaglio e attività dei servizi di alloggio e ristorazione dove il costo del personale può superare anche il 50% dei ricavi.
Sono quattro i temi maggiormente segnalati dagli imprenditori.
1) Riduzione delle assunzioni: per il 45% degli imprenditori, l’obbligo di pagare un salario minimo più elevato potrebbe rendere più difficile l’assunzione di nuovo personale.
Di fronte all’aumento dei costi, alcuni potrebbero essere costretti a ridurre il numero di dipendenti o a limitare le nuove assunzioni, per mantenere la redditività dell’azienda.
2) Maggiori pressioni sui guadagni dell’azienda: per il 68% degli imprenditori, un aumento del salario minimo può ridurre i margini di profitto dell’impresa, soprattutto in settori con bassa marginalità come commercio, manifatturiero.
Questo potrebbe obbligarli a rivedere i prezzi dei prodotti o dei servizi offerti, con il rischio di perdere competitività nel mercato.
3) Incentivo al lavoro nero: alcuni imprenditori (33%) potrebbero sentirsi spinti a ricorrere al lavoro nero o a pratiche non regolari per evitare di sostenere i costi più elevati associati al salario minimo, soprattutto in contesti dove questa pratica è già diffusa.
Questo potrebbe comportare rischi legali e reputazionali.
4) Difficoltà a competere in mercati regionali: gli imprenditori operanti in regioni o settori meno prosperi potrebbero trovare particolarmente difficile adeguarsi a un salario minimo uniforme, che non tiene conto delle differenze locali nei costi della vita e nei livelli di produttività.
Questo potrebbe mettere ulteriormente a rischio la sopravvivenza di molte attività imprenditoriali in queste aree.
Inoltre, l’introduzione del salario minimo non incide solo sui bilanci delle imprese, ma ha anche un impatto significativo sul morale e sulla motivazione degli imprenditori.
Infatti, il 74% degli imprenditori italiani segnala un aumento dello stress legato alla gestione aziendale a seguito di normative che incrementano i costi operativi, come potrebbe essere il caso di un salario minimo obbligatorio.
Questi imprenditori spesso affrontano margini di profitto già ridotti, con più del 90% delle piccole imprese che operano con margini netti inferiori al 5%.
L’aumento dei costi del personale potrebbe spingere molti a rivedere i piani di espansione o di investimento.
Queste pressioni possono alimentare un clima di frustrazione e demotivazione, riducendo la capacità di prendere decisioni strategiche e di mantenere un ambiente di lavoro positivo e produttivo.
Il salario minimo in Italia comporta una serie di difficoltà, che variano significativamente tra le diverse regioni del Paese.
Infatti, prendendo in esame i bilanci delle imprese in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, regioni caratterizzate da un alto livello di industrializzazione e produttività, il costo del lavoro rappresenta circa il 30-35% dei ricavi aziendali, un livello gestibile per molte pmi.
Tuttavia, in regioni come la Calabria, la Sicilia e la Campania, dove il tasso di disoccupazione supera il 15% e il Pil pro-capite è inferiore del 40% rispetto alla media nazionale, il costo del lavoro può arrivare a rappresentare fino al 50-60% dei ricavi aziendali.
Questa disparità suggerisce che l’introduzione di un salario minimo uniforme potrebbe aggravare le difficoltà economiche nelle regioni meridionali, aumentando il rischio di chiusura delle pmi meno competitive e accentuando il divario economico tra Nord e Sud.
In Europa, il salario minimo è già una realtà consolidata in molti Paesi, ma gli effetti della sua introduzione variano notevolmente a seconda delle condizioni economiche locali.
Attualmente, circa 21 dei 27 Stati membri dell’Unione Europea hanno un salario minimo nazionale.
Tuttavia, l’introduzione di questa misura non è priva di conseguenze negative, che potrebbero essere accentuate nel contesto economico italiano.
In Germania, l’introduzione del salario minimo nel 2015 è stata accolta con preoccupazione, specialmente nelle regioni dell’ex Germania Est, caratterizzate da una minore produttività e da un mercato del lavoro più fragile.
L’aumento del salario minimo a 12 euro nel 2022 ha ulteriormente accentuato queste preoccupazioni, causando un incremento dei costi operativi per le imprese e portando a una riduzione del 5% delle ore lavorate in alcuni settori a bassa produttività.
Questo dimostra che l’introduzione di un salario minimo può aggravare le disparità regionali, un rischio particolarmente rilevante per l’Italia, dove il divario economico tra Nord e Sud è molto marcato.
In Francia, dove il salario minimo è fissato a 11,27 euro l’ora, si è riscontrata una maggiore rigidità del mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione che si è stabilizzato a un livello relativamente alto (8-9%).
Questo effetto è stato amplificato dalla difficoltà delle pmi nel fronteggiare l’aumento dei costi, soprattutto in settori come l’agricoltura e il commercio al dettaglio.
Il risultato è stato un rallentamento della crescita economica e un aumento delle chiusure aziendali.
In Italia, dove oltre il 99% delle imprese sono piccole e medie e operano con margini di profitto molto ridotti, l’introduzione di un salario minimo potrebbe generare effetti simili, con un rischio concreto di aumentare la disoccupazione e ridurre la competitività internazionale delle pmi italiane.
In Spagna, l’aumento del salario minimo del +22% nel 2019, fino a 900 euro al mese, ha avuto un impatto significativo sull’occupazione.
Secondo uno studio della Banca di Spagna, questo aumento ha contribuito a una perdita di circa 100.000 posti di lavoro, colpendo particolarmente i giovani e i lavoratori meno qualificati.
Questo scenario potrebbe replicarsi in Italia, dove la struttura occupazionale è caratterizzata da un’elevata presenza di contratti a tempo determinato e part-time, e dove l’introduzione di un salario minimo potrebbe scoraggiare le assunzioni e favorire il ricorso al lavoro nero.
In sintesi, l’applicazione di un salario minimo rischierebbe di accentuare le disparità regionali, aumentare la disoccupazione e ridurre la competitività delle pmi, specialmente in un contesto economico già fragile.
È essenziale considerare attentamente queste implicazioni prima di adottare una simile misura, potenzialmente destabilizzante per il tessuto produttivo italiano.
In Italia, l’eventuale introduzione di un salario minimo coinvolgerebbe circa 3,5 milioni di lavoratori (circa il 13% della forza lavoro), secondo le stime del Ministero del Lavoro.
Questi lavoratori, prevalentemente impiegati in settori come l’agricoltura, i servizi di ristorazione, il commercio al dettaglio e il settore domestico, attualmente percepiscono salari che in alcuni casi sono inferiori del 20-30% rispetto alla soglia proposta.
L’incremento salariale rappresenterebbe un miglioramento significativo delle condizioni economiche per questi lavoratori, riducendo il rischio di povertà lavorativa per circa il 15% della forza lavoro italiana.
Tuttavia, le pmi, che operano con margini di profitto già ridotti (spesso inferiori al 5%), potrebbero subire un impatto negativo, con un rischio di perdita di circa 250.000 posti di lavoro nei prossimi 2-3 anni.
Questo scenario evidenzia la necessità di accompagnare l’introduzione del salario minimo con misure di sostegno alle pmi, come incentivi fiscali e programmi di formazione professionale, per mitigare l’impatto economico e promuovere la competitività del tessuto imprenditoriale italiano.
Il problema non è tanto il salario minimo, ma piuttosto la combinazione di fattori che rendono difficile per le pmi essere competitive nel mercato globale, come afferma il Fabio Papa, fondatore di I-Aer: “Invece di concentrarsi su un salario minimo obbligatorio, dovremmo considerare altre soluzioni come l’incentivazione fiscale, la formazione professionale mirata, e la digitalizzazione delle imprese”.
Per Papa, “la vera sfida per le pmi è quella di aumentare la produttività e l’innovazione.
Questo potrebbe essere fatto, ad esempio, attraverso l’adozione di nuove tecnologie o l’accesso a finanziamenti agevolati per la formazione dei dipendenti.
Misure di questo tipo avrebbero un impatto più significativo e duraturo sull’economia italiana rispetto all’introduzione di un salario minimo, che rischia invece di penalizzare le imprese più piccole”.
La ricerca dell’I-Aer, inoltre, evidenzia anche come l’introduzione del salario minimo potrebbe portare a conseguenze negative in termini di occupazione nel lungo periodo.
Il 45% dei datori di lavoro intervistati teme che un aumento obbligatorio dei salari possa tradursi in una riduzione del personale o in un blocco delle assunzioni, con effetti a cascata sulla crescita economica e sul benessere sociale.
In conclusione, mentre il dibattito sul salario minimo continua ad animare il panorama politico italiano, le piccole e medie imprese rimangono preoccupate per l’impatto che una tale misura potrebbe avere sulla loro competitività.
Gli esperti, come Fabio Papa, suggeriscono di esplorare alternative che possano migliorare la produttività e la competitività delle imprese, piuttosto che imporre ulteriori vincoli in un contesto già caratterizzato da numerose difficoltà economiche.