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6° Rapporto Consob: il covid ha cambiato gli investimenti degli italiani

Il covid ha inciso sul patrimonio delle famiglie italiane e ne ha cambiato le abitudini anche sul fronte degli investimenti. Dall’inizio della pandemia è diminuita la ricchezza delle famiglie che continuano però ad avere un basso livello di indebitamento nel confronto europeo mentre aumenta il risparmio a livello precauzionale e la propensione alla liquidità. In aumento la vulnerabilità finanziaria.   

E’ quanto emerge dal sesto rapporto Consob sulle scelte di investimento  delle famiglie italiane nel quale si sottolinea che il tasso di risparmio, dopo essersi attestato a un valore di poco superiore al 10% nel 2019, dovrebbe aumentare nell’anno in corso di oltre 6 punti percentuali a scopo  precauzionale. Nei maggiori Paesi europei si osserva una rinnovata  preferenza per la liquidità, a cui si accompagna un calo degli investimenti in azioni, obbligazioni e quote di fondi comuni, come evidenziato anche dai flussi finanziari nel primo trimestre 2020. In Italia, il dato conferma una tendenza, affermatasi nel corso dell’ultimo decennio, che ha visto diminuire il peso di azioni e obbligazioni e aumentare la quota di prodotti assicurativi e previdenziali e della liquidità. Le famiglie italiane, inoltre, si caratterizzano per investimenti finanziari pro capite inferiori a quelli riferibili alle famiglie francesi e tedesche.   

Per quanto riguarda l’evoluzione degli investimenti delle famiglie italiane, rispetto al 2010 si è assistito a ‘cambiamenti significativi’, per effetto del progressivo calo del peso delle obbligazioni emesse da intermediari finanziari e del contestuale incremento della quota riferita ai fondi comuni di investimento. Negli ultimi 10 anni, inoltre, è cresciuta la quota di titoli oggetto di consulenza, raggiungendo il 90% per derivati e quote di fondi comuni. Nello stesso periodo, è quasi raddoppiato l’ammontare di titoli oggetto di gestione patrimoniale su base individuale, nella maggior parte dei casi fornito da Sgr; a marzo 2020 il 33% del portafoglio risulta costituito da titoli di Stato domestici.

Con riferimento alle gestioni collettive, i fondi comuni aperti di diritto  italiano sono principalmente di tipo obbligazionario o flessibile, mentre le masse gestite da fondi monetari si sono quasi azzerate negli ultimi 10 anni. La composizione del patrimonio vede una netta prevalenza delle obbligazioni pubbliche e private (56%), a fronte del 18% e del 26% riferibili, rispettivamente, ad azioni e quote di fondi comuni.    

Durante le settimane di lockdown, in cui i mercati azionari registravano  picchi di volatilità legati alla diffusione del covid-19 (24 febbraio-3 aprile), l’attività degli investitori retail italiani su titoli domestici  ha mostrato una netta prevalenza degli acquisti sulle vendite, con un saldo pari complessivamente a 4,5 miliardi di euro. Il 2019 aveva visto una netta prevalenza di vendite rispetto agli acquisti, con vendite nette  settimanali pari a circa 100 milioni di euro.   

Il covid ha aumentato la vulnerabilità finanziaria delle famiglie italiane. Circa il 30% degli intervistati dichiara di non essere in grado di fronteggiare una spesa inattesa di mille euro e poco più del 30% dichiara di aver visto il proprio reddito ridursi (temporaneamente o permanentemente) nell’ultimo anno. Il 47% circa degli intervistati riferisce di aver contratto un debito, prevalentemente con istituzioni finanziarie, riferibile a un mutuo nel 24% dei casi e a un prestito per coprire spese correnti nel restante 22% dei casi. Con riferimento all’impatto della crisi economica indotta dalla pandemia di Covid-19, meno del 40% del campione afferma di aver ridotto le proprie spese, più del 10% di aver intaccato i propri risparmi, mentre il 45% circa non ha modificato le proprie abitudini rispetto al passato. Prevale tuttavia un diffuso pessimismo rispetto al futuro, con aspettative che, nella maggior parte dei casi, proiettano la ripresa dopo il 2022.   

Nella maggior parte dei casi le decisioni di tipo finanziario sono prese da uomini (73%) che condividono le proprie scelte con il partner nel 66% dei casi. Per quanto riguarda le attitudini psicologiche, continua a prevalere l’avversione al rischio e alle perdite. Sembra confermata la tendenza a seguire l’approccio tipico della contabilità mentale nella gestione delle finanze personali, che la maggior parte degli individui ritiene di poter effettuare potendo contare su capacità personali elevate. Tuttavia, più del 60% del campione si dichiara preoccupato per il mantenimento dell’attuale tenore di vita dopo il pensionamento, ammettendo al contempo di non avere una visione chiara degli elementi rilevanti per la quantificazione delle risorse a cui avrà accesso dopo l’uscita dal mondo del lavoro.   

La cultura finanziaria degli italiani resta contenuta sebbene in lieve  miglioramento, soprattutto nel sottocampione degli investitori, rispetto alle rilevazioni precedenti. In particolare, la quota di intervistati che risponde correttamente a domande su conoscenze finanziarie di base oscilla dal 38% (concetto di diversificazione) al 60% (rapporto rischio-rendimento). Il confronto tra conoscenze finanziarie effettive e percepite ex-ante (ossia prima della verifica puntuale delle nozioni prima menzionate) mostra che gli intervistati tendono soprattutto a sottostimare le proprie conoscenze (downward mismatch) piuttosto che a sovrastimarle (upward mismatch).   

La pianificazione e il controllo delle scelte finanziarie risultano poco  diffusi: solo il 40% circa degli intervistati dichiara di avere un piano  finanziario e quasi altrettanti di avere e rispettare un budget  costantemente o saltuariamente. La pianificazione finanziaria sembra ancor meno diffusa con riferimento agli obiettivi previdenziali. Meno del 20% degli intervistati dichiara infatti di sapere (precisamente o  approssimativamente) quanti anni dovrà lavorare prima di poter andare in  pensione, a quanto ammonterà la propria pensione mensile e quanto  dovrebbe risparmiare per mantenere l’attuale tenore di vita.     

Nel 2020 la partecipazione ai mercati finanziari da parte delle famiglie  italiane è lievemente aumentata rispetto all’anno precedente passando dal  30% al 34%. Dopo la liquidità, i fondi comuni d’investimento e i titoli di Stato risultano le attività più diffuse. Tra i fattori che disincentivano l’investimento indicati più di frequente dagli intervistati emergono la mancanza di risparmi da investire, la mancanza di fiducia e il basso livello di conoscenza finanziaria, sebbene il primo motivo sia di gran lunga prevalente rispetto agli altri.   

Nelle scelte di investimento ci si affida al supporto professionale  fornito dal consulente o dal gestore nel 41% dei casi (in crescita dal 30%  del 2019), mentre si decide autonomamente nel 29% dei casi (40% nella  precedente rilevazione). Poco meno del 60% del campione dichiara tuttavia  di consultare familiari e amici prima di effettuare una scelta  (percentuale in crescita dal 45% rilevato nel 2019).   

Uno dei fenomeni in forte accelerazione negli ultimi mesi è rappresentato dagli investimenti cosiddetti Esg, rivolti a progetti focalizzati sulla sostenibilità ambientale e sociale. Questa tendenza può essere osservata anche nelle emissioni di obbligazioni Esg censite da Borsa Italiana a partire dal 2017 che, dopo la lenta crescita osservata negli ultimi anni, hanno segnato una forte accelerazione nel 2020. Gli emittenti sono rappresentati principalmente da organismi sovranazionali, mentre il coinvolgimento del settore privato sembra ancora piuttosto limitato.

Quanto alla nazionalità, gli emittenti italiani, sebbene numerosi, sono poco rilevanti in termini di ammontare emesso. I titoli green e sustainable rappresentano il 95% del totale delle emissioni e nel 90% dei casi sono quotati sul Mot. La maggior parte dei bond Esg sono di tipo plain vanilla (89%) con un lotto minimo che nel 67% dei casi risulta superiore ai 1.000 euro. Gli investimenti sostenibili e socialmente  responsabili risultano ancora poco noti, sebbene sia in crescita la quota  di coloro che ne hanno almeno sentito parlare.   

Sul fronte della digitalizzazione dei servizi finanziari, l’utilizzo della rete internet per motivazioni attinenti a scelte economico-finanziarie oscilla dall’8% (consultazione di informazioni finanziarie) a oltre il 40% (online banking), mentre quello riferibile ad altre sfere di attività raggiunge valori massimi per l’acquisto di beni e servizi (poco più del 40% dei casi) e per l’accesso a social network  (più del 50%). L’attitudine verso la digitalizzazione è nel complesso positiva, poiché oltre il 70% degli intervistati la definisce un’opportunità in grado di migliorare la qualità della vita, anche se non mancano preoccupazioni in merito a una percepita complessità (46% dei casi) e a rischi di frode e attacchi informatici (59% dei casi) che possono generare disagio (48%).   

Con riguardo all’innovazione finanziaria, tra i potenziali driver di interesse emerge la possibilità di investire piccole somme mentre il timore di subire truffe e di non avere sufficienti competenze (anche digitali) agiscono da deterrente. Con riferimento a specifici ambiti dell’innovazione finanziaria concernenti le cripto-valute, il trading online e fenomeni quali il robo advice e il crowdfunding emerge un livello di attività molto contenuto: solo il 5% del campione, infatti, riferisce di avere effettuato trading online e le percentuali risultano inferiori negli altri casi.

La quota di individui che dichiarano di avere una conoscenza, seppur basilare, di servizi finanziari digitalizzati è più alta tra gli investitori, dove si passa dal 16% per robo advice e crowdfunding al 40% per il trading online e per le valute virtuali. Tra i fattori che potrebbero stimolare l’interesse emergono la possibilità di  investire piccole somme e, nel caso specifico delle valute virtuali, la  possibilità di guadagnare velocemente. Tra i deterrenti, invece, si citano più di frequente il timore di subire truffe e di non avere sufficienti competenze (anche digitali). 

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