Francesco Raimondi, Ceo di Value Target, ha partecipato come relatore al webinar organizzato dall’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia in collaborazione con Value Target, dal titolo “L’era dell’Agrifood 4.0: sostenibilità e digitalizzazione”. L’evento, moderato dal giornalista di TGCOM24, Dario Donato, ha visto tra gli ospiti Luisa Todini, imprenditrice e presidente della holding Todini Finanziaria; e Federico Sannella, direttore delle Relazioni Esterne di Birra Peroni. Riportiamo di seguito la trascrizione del suo intervento esclusivo.
Può spiegarci che ruolo avrà la finanza agevolata nello sviluppo, che non è di domani ma di oggi? Le aziende devono attuare questa transizione digitale ed energetica, e hanno necessità anche di sapere – credo che il problema sia questo – come sviluppare o sfruttare le leve messe a disposizione dalla normativa. Penso sia un problema di figure come la sua: lei entra in un’azienda e sa dire a un amministratore delegato di cosa può beneficiare per fare investimenti. Purtroppo quella figura all’interno delle aziende spesso manca, ma le possibilità sono tante.
«Le possibilità sono molte. L’agricoltura in passato ha sempre avuto – tramite altre codifiche – delle possibilità di avere agevolazioni, a livello europeo. Però erano legate a un’agricoltura tradizionale, quindi consentiva di mantenere uno status quo, ma sostanzialmente non andava verso il futuro».
«Mi riallaccio a industria 4.0, che è nata per il manifatturiero, ha sottovalutato nel 2017 il vantaggio o la possibilità di veicolarlo verso l’agricoltura. Tutta la filiera: dalle imprese agricole, alle società di trasformazione agricola, a chi commercia al dettaglio e all’ingrosso, fino alla ristorazione. Quindi ampliamo tutta la filiera, perché se ci fermiamo solo all’agricoltura quando parliamo di green, o comunque di agricoltura, dobbiamo parlare della filiera estesa».
«Come diceva la dottoressa Todini, il Pnrr ha stanziato miliardi per la digitalizzazione, per il green –transizione ecologica. Quindi il Pnrr ha uno stanziamento, al momento hanno definito delle mission, delle attività potenziali, ma non è ancora stato avviato nulla. Nel frattempo, diciamo, ci sono normative che sono già funzionanti ed è questo il contesto della finanza agevolata».
«Il contesto italiano è un contesto di imprenditori piccoli, micro, dove non c’è una cultura a programmare le attività e gli investimenti. Molto spesso, soprattutto le piccole imprese vanno day by day. Sono le grandi aziende che in questo elemento sono fondamentali. La grande azienda può supportare e aiutare le piccole a crescere, creando delle filiere».
«Una grande azienda ha le risorse anche proprie per fare certi investimenti. La microimpresa deve essere aiutata dalla finanzia agevolata. In sintesi, la finanza agevolata è un cofinanziamento a un progetto, a un’idea e a cambiare anche un paradigma rispetto al passato. Dobbiamo cambiare l’approccio degli agricoltori. Non è facile, perché è un problema anche culturale, quindi c’è da fare un’attività grossa. Ma spesso il piccolo imprenditore agricolo, o anche il medio imprenditore agricolo, viene spinto dalla grande a cambiare».
Immagino che sia l’estromissione dalla filiera stessa. Se uno non si adegua ci sono anche degli standard. Si parla sempre di sostenibilità – tema di cui si abusa, ma che è fondamentale. Quindi credo che queste piccole aziende della filiera debbano poi adattarsi agli standard.
«Nella manifatturiera, ma anche nell’automotive, dove spingendo sull’industria 4.0, sull’automazione dei processi produttivi, hanno costretto i fornitori ad adeguarsi. Fornitori anche micro, perché spesso le grandi aziende hanno fornitori piccoli. Quindi, adesso stiamo vedendo che l’industria 4.0 da uno o due anni è fautrice delle piccole e medie imprese, che cominciano ad acquisire robot».
«Lo stesso accadrà nell’agricoltura, perché se il cofinanziamento pubblico viene in parte bilanciato da quello dell’imprenditore, in parte con il supporto all’acquisto dei prodotti che hanno certe caratteristiche. Credo che questo possa essere un volano».
«Poi, ricordiamoci sempre, in italia siamo dei follower. Se vediamo il nostro vicino di campo che fa qualcosa io lo guardo e dico “perché lui sì e io no?”. E quindi, sostanzialmente dobbiamo creare una leva che dia il via e poi tutti gli altri per riflesso si porteranno dietro, anche quelli più riottosi».
A proposito di costi, in quale genere di benefici può incorrere un imprenditore che decide che di dare una spinta propulsiva verso l’Agrifood 4.0?
«Volevo portare un caso esemplificativo. Su certe microimprese è difficile, soprattutto, per i limiti di estensione dei terreni. Però gli incentivi in questo momento sono diversi. Ad esempio, parlavamo di tecnologie di precisione. Allora, sostanzialmente se questo progetto è innovativo, al momento attuale, in attesa del Pnrr, abbiamo sempre più crediti di imposta».
«Una distinzione – per far capire ai profani – i crediti di imposta e il fondo perduto sono due tematiche diverse. Il credito di imposta è un cash, lo incasso nel momento in cui sostengo io sostengo i costi, e nell’immediato – al massimo entro un anno solare. Il fondo perduto non è così. Il fondo perduto ha un iter particolare, che può durare anche due o tre anni, posso avere degli stadi di avanzamento lavoro».
«Le aziende, soprattutto piccole, hanno bisogno di credito di imposta, non di fondo perduto. Perché in realtà il credito di imposta, appena tu paghi le imposte lo vai a compensare. Quindi è un cash immediato».
«L’acquisto di tecnologie innovative da origine a quello che si chiama innovazione tecnologica. Io porto innovazione tecnologica alla mia azienda, non è trascendentale, non è ricerca e sviluppo. È un’altra cosa, introdotta nel 2020. L’innovazione tecnologica è qualcosa che io porto in più.
«Il credito di imposta per le società agricole è sparito il limite del reddito fondiario, perché c’era una problematica legata agli agricoltori, dal 2020 si è aperta questa possibilità di sfruttare il credito di imposta. Quindi al di là di questo bilancio che non dava possibilità di identificare le imposte».
«Poi abbiamo gli strumenti materiali, cioè i dispositivi che vado a caricare in field. Poi d’accordo o meno – io sono fortemente d’accordo, perché sono un tecnologo – i trattori intelligenti, i sistemi di irrigazione intelligenti. Poi sì, sul campo che non riceve, ma qui la normativa ha dato un via libera perché ha detto “non ho bisogno di un’informazione continua, di un segnale continuo” posso anche mandare e ricevere dati anche con latenze».
« Non c’è bisogno che io trattore sappia esattamente dove sono in quel momento i campi da arare, basta che mi arrivi il messaggio prima che parta e poi sappia in quale punto andare. O comunque fare quella che è l’agricoltura di precisione. Dato che io credo che dietro l’innovazione ci sia un altro punto dolente, ma non solo per l’agricoltura».
«Ho avuto la fortuna di seguire moltissime aziende – anche nelle aziende manifatturiere del Nord, come nel Centro, un po’ meno nel Sud – la digitalizzazione è una subcultura nei momenti in cui devo usare strumenti digitali. L’industria 4.0 ha incentivato questo, perché ti obbliga a creare sistemi informatici di connessione. Dobbiamo farlo anche per l’agricoltura».
«Noi abbiamo gestito magazzini di stoccaggio del formaggio e sono stati obbligati a censire la filiera. Capite, siamo nella zona del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano. Con il martelletto continueranno a fare, ma se io ho un sistema che mi dice in automatico quali sono le forme che sono sei mesi in stagionatura e mi permettono di andare a colpo sicuro e non di dovermele andare a cercare io. Capire che c’è un’efficienza di costi, un’efficienza nella qualità. E non avrò più problemi».
«Addirittura adesso ci sono strumenti per girare le forme in automatico, senza bisogno dell’intervento umano. La tecnologia guida. Quindi, a livello di benefici posso averne anche uno fiscale sulle licenze software. Implementazione che non a caso, dentro il Pnrr c’è tutto il concetto legato alla transizione 4.0, a cui sono dedicati – credo – 38 miliardi. La transizione 4.0 riguarda tutti i settori, non solo quello dell’agricoltura».
«Non sottovalutiamo la formazione, che ha un suo canale di finanziamento che arriva fino al 50% per le microimprese. Devo formare gli operai nel campo, li formo ottenendo quello che si chiama “mancato reddito”: il tempo che tu dedichi alla formazione – tu agricoltore, per cui ogni minuto è oro – ti restituisco il 50% del tempo che perdi per apprendere».
«Se io metto insieme queste quattro misure, mi aiutano a cofinanziare da un 15% a un 50% del panel di investimenti. Poi l’imprenditoria grande può aiutare a supportare il resto, non dico con un finanziamento, ma con la logica di garantirgli quella filiera che porterà i loro prodotti a essere trasformati».
La digitalizzazione dei processi. Un imprenditore della filiera, una piccola media azienda, in termini di digitalizzazione dei processi stessi cosa si può aspettare e quale genere di benefici può trovare rispetto al quadro normativo che si delinea oggi?
«La digitalizzazione è un altro asso portante del Pnrr, ma anche quello che è il piano transizione 4.0. Le tecnologie informatiche sono costose, soprattutto quelle di frontiera e non di massa. Ho una certa età, mi ricordo quando i primi personal computer, i primi cloud, avevano un costo esorbitante adesso invece hanno dei prezzi alla portata di tutti. Ormai tutti vanno in quella direzione. Sicuramente sì, la digitalizzazione ha dei benefici, molti altri li aspettiamo dal Pnrr, che include e ingloba al suo interno tutto quello che è la transizione 4.0 – quindi green, eco-sostenibilità, compresa l’economia circolare, digitalizzazione».
«Il problema sull’agricoltura è la massa critica di tante microimprese. Faccio un esempio: se io devo creare un’infrastruttura, adesso vanno tanto di moda i data analytics, l’IoT, che sono informazioni fondamentali. Però non lo può fare l’agricoltore, perché ha bisogno di un macrodato. Quindi in realtà, per portare queste tecnologie sono importantissime, perché ti dico, attraverso le misurazioni meteo qual è il momento migliore per le varie attività da svolgere (gli agricoltori ancora vanno a istinto)».
«Bisogna trovare una maniera diversa finanziare la digitalizzazione sulle imprese agroalimentari. Perché, lo ripeto: lo Stato e gli enti pubblici finanziano la grande impresa che in rete d’impresa va a finanziare, veicola i fondi che percepisce, anche agli altri – cosa che oggi non è consentita, perché quando presenti un progetto in filiera ognuno deve prendere la sua parte, però sostanzialmente devi spendere tu per il tuo».
«Invece, sarebbe più interessante che ci fosse un capocommessa, o capoprogetto, che fa l’investimento e va implementare queste tecnologie informatiche agli agricoltori per consentire di ricavare dei dati che poi vengono messi a fattor comune. Superando anche quella logica tutta italiana della gelosia “i dati li ho io e non li do a te”, “il mio campo è migliore del tuo”. Questa sarà dura da superare, perché tutti siamo invidiosi – l’erba del vicino è più verde e la vogliamo avere uguale. L’implementazione digitale in agricoltura può essere fatta sulle grandi estensioni, sui grandi agricoltori – anche gli allevatori stanno investendo molto sulla tecnologia digitale».
«Ho seguito in passato il made in Italy nel settore tessile-moda, che avevano inventato questo codice Qr sui capi d’abbigliamento. In realtà non ha portato un valore aggiunto al cliente. Il Qr dietro che identifica dove è stato fatto con che materiali non lo guarda quasi nessuno. Perché sostanzialmente non è stato mai più valorizzato, serve più all’azienda per le contraffazioni. La digitalizzazione va benissimo, i fondi ci sono».
Sono convenienti? Vale la pena chiamare un consulente come lei per farsi spiegare quante possibilità di investimento ci sono?
«Sì, nel senso che, gli strumenti a disposizione sono tantissimi – crediti d’imposta, incentivi automatici, bandi regionali, bandi camerali, PSR, piani per l’agricoltura, fondi europei – con tutta la burocrazia italiana e in Europa di più, però la certezza del diritto in Europa c’è, in Italia cambiano le cose. Il consulente può aiutare a districarti, ma soprattutto, questo è il nostro intento, dare il giusto strumento per la giusta azienda».
«È inutile che ti dico “tu prendi un trattore al 50% di beneficio sul trattore”, ma tu il trattore non saprai mai utilizzarlo perché il tuo campo non riesce a ospitare un trattore e a gestirne il processo, perché non gli invii le informazioni a un sistema informatico – perché magari non ce l’hai. Quindi magari proponi altri ambiti».
«Per me il consulente è quello che va a vestire su misura l’agevolazione per quel cliente, e non è che tutti sono uguali. Non esiste un’industrializzazione della consulenza. Se fosse così, con prodotti in serie. La finanzia agevolata è talmente un panel, un mix di strumenti, che devi trovare quelli che vanno a vestire per l’imprenditore o per gli intermediari dell’agricoltura».
Qual è il messaggio che ci portiamo a casa?
«Incentivare sempre di più. Già quello che c’è è interessante, ma non è sufficiente. Incentivare vuol dire dare maggiori sostegni, in maniera veloce, all’agricoltura. Questo è un messaggio più politico che tecnico. Dall’altra parte, lo vedo nel mio piccolo, quando implementiamo un nuovo software diventano tutti matti. Per sei mesi c’è il delirio, dopo sei mesi dicono “lavoro meglio di prima”. Quindi, cultura della formazione. Formare queste persone, le CNA, tutte le confederazioni dell’agricoltura. Formare gli agricoltori non con la formazione teorica – mi permetta, quando facevo il docente io facevo formazione applicativa – ma farla sul campo. Gli fai vedere gli strumenti, i vantaggi. Quindi portare una formazione diffusa, soprattutto delle micro e piccole imprese, che hanno più necessità. Perché le medie e le grandi hanno anche fondi proprie e una modalità diversa».
«Poi sfruttare le agevolazioni fiscali, perché, ripeto, mai come oggi dal 2021 in avanti sono state così intense. Una volontà chiaramente europea e italiana di riconversione e ripresa. Però non siamo con gli occhi bendati, perché queste agevolazioni non è detto che andranno avanti con questa intensità. Quindi, cogli l’attimo, carpe diem. Il treno passa, si ferma due minuti, lo prendi o non lo prendi. Questo è il messaggio che voglio dare».
«La finanza agevolata è un cofinanziamento, chiaramente devo investire io personalmente, ma usciamo dalla logica del day by day – so che è difficilissimo per gli italiani pensare da qui a un anno, a due anni. Se poi non ha la liquidità per fare il finanziamento, ci sono altri sistemi. Il sistema bancario non ti finanzia se non hai certe caratteristiche. Però ci sono anche finanziamenti a tasso agevolato. Alla fine ci può essere un mix di incentivi, tra fondo perduto, credito di imposte, tasso agevolato, che può dare una mano ad avviare questa attività».