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Perché ora è davvero necessario ripassare qualche regola sui metodi di gestione delle crisi

Perché le organizzazioni complesse – Stati, aziende, comunità – spesso non sono in grado di affrontare, gestire e risolvere una crisi in modi, atteggiamenti e tempi adeguati? Semplicemente perché quasi sempre i decisori ai vertici di queste strutture, coloro che detengono il potere esecutivo, ovvero il potere di rendere operativa e concreta una volontà ideale e astratta, non sono consapevoli di aver varcato il confine che separa la terra della normalità da quella dell’eccezione. Non sanno di essere dentro la crisi. Non possono gestirla in modo adeguato, perché banalmente non sanno di doverla gestire. Non hanno consapevolezza che le regole e gli strumenti che continuano ad usare, quelli della terra della normalità, non sono adeguati e utili per affrontare la somma di evenienze nuove e drammatiche che vanno accumulandosi rapidamente sui loro desk decisionali.

La crisi è dunque un evento che si pone al di fuori dello schema ordinario degli avvenimenti dell’organizzazione. Altre volte è un evento che se pur previsto all’interno di un processo di particolare complessità produce comunque effetti imprevisti e dannosi. La crisi pone in pericolo le risorse economiche e umane dell’organizzazione e richiede un’immediata attenzione e reazione, poiché essa è una fonte di danno grave, derivando da una situazione su cui si ha un’influenza e un controllo limitati.

Come ogni patologia, ovvero come qualsiasi alterazione dello stato di benessere, essa prima di essere diagnosticata è già presente nella struttura e produce i suoi effetti nefasti, indisturbata ben oltre il momento della sua dichiarazione. Per ufficializzare una crisi occorre prima riconoscere la presenza dei sintomi e poi predisporsi alla diagnosi. La dichiarazione di crisi è l’atto che la rende pubblica, condivisa, dunque reale. Solo da questo momento si ha la possibilità di usare strumenti altri da quelli ordinari. Più è grande lo iato fra insorgere del sintomo e dichiarazione della diagnosi, più è probabile che la crisi non avrà soluzione.

Spesso chi detiene l’informazione dell’anomalia in atto, i vertici dell’organizzazione, preferisce sottacerla, non dichiararla, convinto che si potrà gestire con strumenti ordinari senza renderla pubblica. Molti leader hanno la convinzione che la dichiarazione di crisi debba essere data solo nel momento stesso in cui si possa offrire all’opinione pubblica una risposta adeguata e rassicurante. L’esperienza insegna invece che “non si può comunicare solo quando si può rassicurare.” Di fatto chi pensa che il compito delle organizzazioni sia rassicurare non riuscirà mai ad aprire uno stato di crisi o peggio se lo aprisse non riuscirebbe comunque a comunicare nulla finché la crisi non divenisse patologica, producendo i suoi effetti drammatici.

Questo limbo fra la consapevolezza da parte dei vertici dell’organizzazione dell’anomalia sopraggiunta e la loro decisione di dichiarare la crisi rendendola pubblica è il cosiddetto stato di pre-crisi. Esso va gestito avendo la consapevolezza che tutto presuppone che la crisi a breve dovrà essere aperta, utilizzando tre criteri guida. Per prima cosa occorre che i leader dimostrino serietà: chi è responsabile del processo si deve ergere a referente di tutti gli interlocutori e predisporre, dichiarare e attuare le procedure necessarie alla risoluzione.

Il leader deve avere la forza di riconoscere per primo il problema e deve  avere la disposizione di considerare tutti i problemi che altri ritengono tali. Il leader deve essere consapevole che non potrà mai dire “non ci sono problemi” se referenti esterni indicano l’esistenza, a loro avviso, di un problema. Il leader deve riconoscere tutti gli interlocutori: chiunque è coinvolto realmente o si sente coinvolto dalla crisi non può essere ignorato.

Per attuare questi tre principi è necessario che i leader siano in possesso di specifici valori. La responsabilità, ovvero farsi carico della sicurezza dell’intera collettività. L’apertura, ovvero farsi carico di condividere tutte le informazioni a disposizione con l’opinione pubblica. La solidarietà, ovvero farsi carico delle conseguenze economiche e sociali della crisi. La creatività, ovvero saper dare risposte adeguate a livello di difficoltà, senza apparire scontati o banali. La legittimazione del proprio gruppo di lavoro, ovvero le persone chiave – vertici, responsabili, portavoce – dell’organizzazione devono essere pienamente legittimate dai referenti esterni e interni; senza questa condizione ci sarà una mancanza di volontà interpretata come autorizzazione di esonero data a ciascuno elemento dell’organizzazione.

Queste semplici riflessioni di metodo, reperibile sui manuali di crisis management, utili in tempi di normalità per predisporre le organizzazioni al meglio per gestire un’ipotetica crisi futura, diventano ancora più necessarie quando si è dentro una crisi, perché la complessità del momento produce un caos tale da far dimenticare tutto quello che sarebbe giusto e necessario fare per gestirla al meglio.

Per queste ragioni la crisi economica dell’organizzazione denominata Italia va dichiarata ora.

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