Alla vigilia delle elezioni europee, il mondo della finanza sostenibile si prepara ad avanzare le proprie richieste alla politica comunitaria.
Tre punti chiave, condensati in otto pagine, rappresentano l’ossatura di un manifesto sottoscritto da 6 organizzazioni attive tra Italia, Belgio, Francia, Paesi Bassi e Spagna.
Obiettivo: portare a un trilione di euro il valore europeo dell’Impact investing, quelle attività di investimento in imprese, organizzazioni e fondi che operano con l’intento di generare un impatto sociale e ambientale misurabile, oltre che compatibile con un rendimento economico.
Il primo obiettivo, si legge su Affari&Finanza di Repubblica, è mettere l’impatto al centro delle politiche dell’Ue.
Come?
Promulgando regolamenti che aprano le porte agli investitori a impatto retail; garantendo che le considerazioni sociali e ambientali siano al centro della transizione; promuovendo appalti pubblici strategici e l’engagement delle aziende con le imprese sociali; e raddoppiando il budget per l’impatto sociale nel prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE.
La seconda proposta si fonda sull’idea di una Unione che dia per prima l’esempio.
“Chiediamo che tutti i fondi pubblici dell’Ue abbiano un impatto intenzionale – scrivono le organizzazioni – e che venga creato un quadro di valutazione che esamini l’impatto creato dall’impiego del capitale pubblico”.
Ultimo ma non ultimo, il manifesto vorrebbe un rinnovato impegno della politica comunitaria per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, prevedendo l’istituzione di un intergruppo per gli investimenti a impatto nel prossimo Parlamento europeo, il cui ruolo sarebbe quello di monitorare i progressi.
Le richieste avanzate dalle associazioni si fondano sui dati non proprio incoraggianti rispetto allo stato di avanzamento dell’Agenda 2030.
Il programma, approvato dall’Assemblea generale dell’Onu a fine 2015, ha messo in fila 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che anche i Paesi Ue si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.
Tuttavia, dopo nove anni dalla loro introduzione, solo il 15% di tali obiettivi risulta essere stato pianificato secondo le analisi della Social impact agenda per l’Italia – nodo nazionale della cabina di regia mondiale degli impact investors Gsg (Global steering group for impact investment).
Nel frattempo, gli eventi naturali estremi legati al cambiamento climatico aumentano sempre più.
Uno studio dell’Agenzia europea per l’ambiente ha recentemente quantificato in 90 miliardi di euro i danni cumulati solo dall’Italia fra il 1980 e il 2020 in conseguenza di questi fenomeni.
Uno scenario complesso, a tratti drammatico, che da qualche anno sta vedendo un sempre maggior coinvolgimento del sistema finanziario europeo, nell’ottica di accelerare ancor più il percorso verso la transizione green.
“Perché se non si riorienta il mercato dei grandi capitali privati – interviene l’ex ministra Giovanna Melandri, che oggi presiede la Social impact agenda per l’Italia – il fabbisogno non potrà mai essere raggiunto.
La sola finanza pubblica non è sufficiente.
Il Pnrr poteva essere una grande occasione per promuovere questa cultura, ma non è stata colta e bisogna pensare a nuove strategie”.
La sabbia dentro la clessidra scorre rapidamente e per centrare tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 servono 4.000 miliardi di investimenti globali annui, di cui 1.000 miliardi in Europa.
Si arriva così al ruolo degli investitori a impatto, che stando al manifesto “hanno il potere di mobilitare risorse per risolvere tali sfide”.
All’interno del panorama finanziario la loro crescita è stata repentina, avendo trovato il favore di fondi, fondazioni, aziende, finanziatori pubblici, fondi pensione, compagnie di assicurazione, banche e altre istituzioni finanziarie.
Il livello delle masse gestite dai veicoli d’investimento ha attualmente superato i 2,5 trilioni di dollari nel mondo ed è arrivato a lambire i 300 miliardi in Europa, di cui 9,3 in Italia.
“Se riusciamo a mantenere questo ritmo di crescita – sostiene Melandri – l’Impact investing può raggiungere i mille miliardi in Europa entro il 2034”.
Un obiettivo ambizioso, il cui esito dipende però da un quadro politico favorevole.
L’impianto normativo ha fatto la sua parte in questi anni, approvando la Sustainable finance disclosure regulation e introducendo un sistema di classificazione che sancisce un elenco di attività economiche ecosostenibili, “ma non basta”, chiosa Melandri.
Nazioni come la Francia e i Paesi Bassi hanno già oggi democratizzato l’accesso a queste tipologie di investimenti, mobilitando risorse significative da parte degli investitori retail.
Ora si punta a uno sforzo comunitario.