Nella giornata del 25 novembre, Michele Crisci, Presidente Volvo Car Italia e Presidente UNRAE, ha dialogato con Gian Luca Pellegrini, Direttore di Quattroruote, durante il panel “Made in Italy e innovazione tecnologica: il caso dell’automotive”, nel corso degli Stati Generali della Ripartenza organizzati a Bologna dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia.
Gian Luca Pellegrini introduce l’intervento di Michele Crisci chiedendogli se secondo lui la data del 2035 resterà tale o meno. Anche in considerazione del fatto che i costruttori ormai hanno fatto i piani per il 2035, e Crisci esprime il suo pensiero: “Buongiorno a tutti anche da parte mia. Il 2035 credo rimarrà, anche perché poi il 2035 è legato al 2050, no? C’è il discorso della definizione della data perché poi bisogna arrivare alla neutralità totale. Credo rimarrà, credo anche che i costruttori si siano mossi. Giustamente tu hai citato i vari cicli omologativi, no? Forse è giusto ricordare che l’automotive da sempre è stata l’avanguardia dal punto di vista della riduzione degli impatti. Delle emissioni clima-alteranti, se parliamo di CO2, ma anche delle emissioni inquinanti. E questi sono i vari cicli omologativi. Si è arrivati fino all’Euro 6, adesso c’è la discussione sull’Euro 7. Giustamente, per rendere semplice il discorso, si è detto, ma se dobbiamo tutti andare a CO2 zero su motori diversi della combustione interna, perché insistere ad avere miglioramenti particolarmente costosi sull’Euro 7? Credo che il Parlamento europeo, in qualche maniera, abbia recepito questa istanza, si parla di un rinvio, si parla di una possibile revisione dei contenuti, però è fuori di dubbio che le case automobilistiche si stanno preparando, hanno scelto, al momento, quello che è il futuro della motorizzazione e della motorizzazione elettrica, anche se c’è chi sta investendo in altre tecnologie, bisognerà verificare”.
E poi aggiunge: “Il 2035, naturalmente, da oggi dista 11 anni, vuol dire due cicli, 2,5 cicli industriali, chiaramente è un tema importante capire, dal nostro punto di vista costruttori, non tanto il 2035, ma come pensiamo di accompagnare l’industria e quindi i nostri clienti e i nostri fornitori, fino al 2035, perché il punto che noi spesso sollecitiamo, anche quando parliamo col Governo, è che, fissata una data, bisogna fissare gli step intermedi per raggiungere una situazione che metta insieme la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale. Perché è vero che noi rappresentiamo i costruttori esteri, ma costruttori esteri che lavorano in Italia. Quindi a noi, ovviamente, il sistema Paese interessa moltissimo, considerando quello che hai citato tu, ossia la forza in termini di PIL, la forza in termini di gettito fiscale, che non dobbiamo mai dimenticare, dal momento che il modello automotive esprime quasi 80 miliardi di euro all’anno di gettito fiscale. Quindi c’è una pianificazione da fare, una pianificazione che riporti l’Italia ad essere competitiva, e poi chiaramente c’è il tema geopolitico che nasce anche dal fatto che il mondo asiatico, segnatamente i cinesi che, dopo l’esportazione del nostro business in Cina, hanno iniziato a investire in nuove tecnologie molto prima di quello che fece l’Europa. E oggi la Cina si distingue molto bene tramite società joint venture con europee e americane o società native, che ormai sono in grado di produrre auto elettriche di ottima qualità a prezzi a cui, al momento, l’industria europea non riesce a competere”.
“Però, come dici giustamente tu, – continua Michele Crisci – questo è un tema, ma il tema dell’automotive non può essere solamente relegato alle motorizzazioni, perché ci sono temi fondamentali come la connettività, i software, tutto legato a quello che sarà anche il concetto di sicurezza della mobilità nel futuro, che sta cambiando paradigma, cioè si passa a una mobilità non più di proprietà, ma una mobilità di utilizzo, dal minuto alla settimana, alla giornata, ai tre mesi, quindi anche per chi commercializza le auto cambia il sistema di commercializzazione delle auto e questo naturalmente può avvenire solamente su auto che sono connesse, che sono condivisibili, che sono dei software viaggianti. Quindi, tutto questo sta portando l’industria che noi rappresentiamo, per quanto riguarda la produzione straniera, ad essere veramente un continuo perfezionamento tecnologico e naturalmente vanno fatti i conti con i costi. Perché è chiaro che poi alla fine si rischia di produrre vetture che comunque hanno dei costi e quindi l’adozione delle nuove tecnologie deve fare il conto con la capacità che poi hanno i clienti di affrontare questi costi”.
Pellegrini fa notare la discrepanza esistente tra il nostro mercato italiano delle auto elettriche rispetto alla media europea e Michele Crisci replica: “Allora, sì, noi siamo al 4%, 3,8%… Diciamo che, oltre al fatto di essere sicuramente i più bassi, siamo anche quelli più stagnanti perché c’è da dire che gli altri crescono al 15, 16, 17, 18 ma in maniera molto graduale, anno su anno, l’Italia invece stagna. Io penso che ci siano state molte ragioni in passato legate a reali problemi, io lo dico sempre, il costo delle vetture, la mancanza di trovare le infrastrutture di ricarica, il fatto che non ci fossero magari le percorrenze delle auto, sicuramente la morfologia del nostro paese è una morfologia un po’ particolare, quindi ci sono stati dei problemi reali. Oggi questi problemi sono continuativamente narrati ma iniziano a somigliare molto di più a dei cliché o a dei luoghi comuni perché la vera verità è che le colonnine di ricarica iniziano ad esserci, anche quelle fast charge. Magari occorrerebbe un piano di coordinamento, per esempio sulla rete autostradale, cioè in modo tale da avere, come dire, un coordinamento circa dove fare e dove trovare questi impianti di fast charge. Ci sono delle situazioni di grande concentrazione e poi per centinaia di km non c’è più niente. Il problema è che a un certo punto nessuno voleva mettere gli impianti di ricarica in autostrada, perché le gare andavano deserte e poi c’è un discorso anche di ritorno economico. Un impianto di fast charge può costare, a seconda delle infrastrutture, dai 100.000 ai 300.000 euro ed a 90 centesimi al chilowatt si fa fatica a trovare un ritorno”.
Però, a prescindere da questo, – prosegue Michele Crisci – ci sono tutta una serie di blocchi, ci sono degli incentivi che non funzionano, perché dobbiamo dire anche questo, incentivi che sono partiti nel periodo del Covid, più o meno. Dobbiamo ricordare che Francia e Germania hanno iniziato a incentivare l’elettrico 15 anni fa. Quindi hanno un vantaggio in termini temporali ed io credo che l’Italia dovrà colmare questo gap, dovrà perlomeno iniziare a salire. Non nascondo da produttore estero che è molto importante l’atteggiamento del produttore italiano. Perché è chiaro che nel momento in cui Stellantis sarà in grado di produrre e di commercializzare vetture elettriche, mi pare che stiamo arrivando. Perché insomma, questo sarà anche fondamentale per convincere gli italiani ad abbracciare questo tipo di vettura. Io dico che l’auto elettrica non sia solamente un cambio di motore. È un cambio anche di qualità tecnologica. Nel senso che comunque, da un punto di vista tecnologico, l’auto elettrica è un cambio di valore e, nel corso degli anni, diventerà sempre più superiore rispetto all’auto a combustione interna.
“Chiaramente noi, come italiani, – conclude Michele Crisci – siamo anche legati molto a dei cliché di passione, che sono legati ai rumori dei motori, che sono legati ai cavalli, all’accelerazione… Resta il fatto che, se guardiamo l’Europa, è proprio divisa in tre. Nel senso che la parte del nord Europa ha già accolto queste tecnologie, e si stanno sviluppando con percentuali altissime oltre al 70%. Il centro Europa, che poi rappresenta i due mercati principali, Francia e Germania, ma non dimentichiamo UK, Italia e Spagna, che sono i cinque major markets, è intorno tra il 15%, il 18% e il 20%, poi c’è il sud Europa, Spagna, Italia, Grecia e Turchia, che invece è ferma al 4-5%. La Spagna ci ha superato e questa è un’altra considerazione che dobbiamo tenere. Io penso che la chiave sia capire che accogliere nuove tecnologie non significa necessariamente diffonderle per tutti. Perché noi abbiamo un parco auto circolante in Italia che è il più vecchio e il più inquinante, probabilmente, d’Europa. Ecco, io credo che bisogna agire a tenaglia. Bisogna pulirlo sotto. Per sotto intendo Euro 2, Euro 3, Euro 4. E qui bisognerebbe avere una campagna di rottamazione, dando la possibilità di acquistare anche gli usati. E dalla parte sopra, invece, bisogna favorire l’accoglimento delle tecnologie. E sicuramente le aziende che hanno la possibilità economica, la possibilità di ricaricare e che cambiano auto con una certa frequenza ogni 2 o 3 anni e quindi che possono poi mettere sul mercato auto usate, sono il volano perfetto. Quindi agendo in due modi, da sotto sul ricambio del piano circolante, e da sopra sull’accoglimento dell’elettrico, o delle nuove tecnologie. Io penso che l’Italia possa in 2-3 anni colmare il gap con il resto d’Europa. Ci vuole la volontà di farlo e ci vogliono i budget”.