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Marcello Messori (economista): «Ecco perché la BCE non riesce a frenare l’inflazione»

L’Europa sta attraversando un periodo di crisi, economica ed energetica, e, nonostante i numerosi tentativi, non sembra in grado di frenare la corsa dell’inflazione. A parlarne è l’economista Marcello Messori. «È fatto scontato che la politica monetaria restrittiva, avviata dalla Bce nello scorso giugno, non abbia ancora frenato la crescita dell’inflazione nell’eurozona», dice.

«Depurati dal tasso medio di crescita dei prezzi, i tassi di interesse di policy sono rimasti ampiamente negativi; e, in genere, vi è un significativo divario temporale fra restrizione monetaria e riduzione della dinamica inflazionistica. Nel caso in esame, vi sono tuttavia tre fattori specifici e interconnessi che indeboliscono o – almeno – ritardano l’efficacia delle decisioni della Bce: il prevalere dei vincoli di offerta, il carente coordinamento fra nuova intonazione della politica monetaria e politiche fiscali nazionali, il mancato ricorso alla terza componente del policy mix affermatosi in risposta alla pandemia», scrive sul magazine online InPiù.net.

«Il primo fattore implica che, nell’eurozona, l’efficacia della restrizione monetaria è indiretta, nel senso che può assorbire gli impatti inflazionistici, indotti dalla caduta dell’offerta aggregata, solo aggiustando verso il basso la domanda aggregata. Come ha di recente lasciato intendere il governatore Visco, il mero controllo monetario dell’inflazione rischia così di condannare l’economia europea a una nuova e forte recessione. Questo risultato è aggravato dalle politiche fiscali nazionali specie dei paesi ad alto debito pubblico, che si trovano stretti fra i crescenti vincoli di bilancio indotti dalle stesse decisioni della Bce e l’esigenza economico-sociale di calmierare gli impatti negativi dei picchi inflazionistici sulla capacità produttiva delle imprese e sul potere di acquisto delle famiglie».

«Pertanto, come ha rilevato il capo-economista della Bce Philip Lane in forma solo all’apparenza irrituale, il secondo fattore contrasta con le scelte monetarie centralizzate, in quanto le politiche fiscali nazionali finiscono per proteggere la domanda aggregata, che la Bce mira a ridurre, e per alimentare gli squilibri macroeconomici. Il terzo fattore, che è costituito dalla capacità fiscale centrale (Cfc), potrebbe risolvere tali frizioni e gli impatti recessivi della politica monetaria, ma è il grande assente nella risposta alla crisi attuale».

«Se combinasse la realizzazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza con un’innovativa produzione di beni pubblici europei, la Cfc indurrebbe rialzi dell’offerta aggregata in grado di assorbire le tensioni inflazionistiche e lascerebbe spazio a politiche monetarie moderatamente restrittive senza impatti recessivi. L’incapacità europea di trovare un accordo sul drammatico tema dell’energia mostra che si è smarrito il metodo alla base della risposta pandemica. Nella diversa ma altrettanto grave situazione corrente, si tratta di ritrovare quel metodo per costruire un efficiente policy mix».

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