Greta Thunberg, con il suo “bla, bla, bla”, ha lanciato una denuncia: «il rigetto di un codice, la rottura di un patto, il rifiuto di una lettura condivisa della realtà, e infine la fuoruscita da una storia comune». Lo dichiara Ezio Mauro, che parla della rottura generazionale avvenuta durante la Cop26. E specifico come non si tratti di «un gesto di contestazione e neppure un atto d’opposizione».
«In quel momento Greta ha cambiato status e ruolo, passando da costruzione mediatica a soggetto politico, da propaggine pop del circo globale a rappresentante di un’intera generazione. Che separandosi dal “bla, bla, bla” si mette in proprio, autonomizzando i suoi interessi, rivendicando i suoi diritti, divaricando i suoi programmi. E cominciando intanto a chiedere conto agli adulti dei criteri di governo, dei ritardi negli impegni».
«È l’atto d’accusa più grave» sostiene Mauro «che può essere rivolto alla generazione eterna dei baby boomer, che lasciano in eredità un mondo sciupato, meno sicuro di quello che hanno ricevuto dai loro genitori e certamente molto più malato. I ragazzi hanno deciso che non possono più aspettare, perché il ritmo e il rito del meccanismo decisionale e politico sono finiti fuori sincrono rispetto alle attese e ai bisogni della loro vita reale. La denuncia del “bla, bla, bla” significa il rifiuto della condivisione di un metodo improduttivo, la separazione degli obiettivi, l’inizio dell’attribuzione della colpa: la distinzione.
«Per la seconda volta in cinquant’anni, contando il ’68, la leva dei figli acquista coscienza generazionale e separa la sua vicenda da quella delle madri e dei padri. Allora era una ribellione contro l’autoritarismo in famiglia, a scuola, nella società: dunque una questione di libertà. Oggi è una protesta contro l’incuria dell’ambiente, l’investimento in un futuro sostenibile: quindi un problema di responsabilità».
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