Su Avvenire, Luca Bellaspiga sottolinea come per un anziano un anno di vita perso abbia un peso superiore rispetto a un ventenne o un cinquantenne.
«Perdere un anno (e più) di vita quando necessariamente si sa che il tempo è poco, è inaccettabile. Ma non è stata colpa di nessuno: una pandemia richiede isolamento. Oggi, tuttavia, che abbiamo i vaccini e iniziamo a riorganizzare quella che chiamavamo “una vita sociale”, l’urgenza massima va data agli anziani, i più colpiti prima per numero di vittime, oggi per una solitudine che richiede immediati rimedi».
«I vaccini mettono al riparo non tanto dal contagio ma certamente da un Covid grave, e per questo il governo ha sempre indicato come priorità la protezione dei più anziani: messi in sicurezza loro, avremmo visto svuotarsi le terapie intensive e calare i decessi. Oggi nelle regioni virtuose i numeri sono confortanti e raccontano di over 80 che non si ammalano più».
«È giustificabile allora protrarre ancora il disperato isolamento cui, per il loro bene, li abbiamo costretti, ora che a ucciderli rischia di essere la solitudine molto più che il virus? Anche senza una pandemia le ore in una Rsa non passano mai, ma almeno a tenere acceso il lumicino della speranza c’è sempre quell’attesa del “giorno di visita”. Ieri Sandra Zampa, consulente del ministro della Salute, ha annunciato “un’ordinanza che riaprirà le Rsa ai familiari ed entrerà in vigore immediatamente”».
«È da dicembre, ha sottolineato, “che il Ministero ha invitato a riprendere le visite in presenza nel rispetto dei protocolli, ma per i direttori sanitari delle strutture è più facile restare chiusi che prendersi la responsabilità di aprire”. Peccato però che il vero rischio, semmai, si annidi all’interno delle Rsa, cioè in quella minoranza di operatori che hanno rifiutato il vaccino e in un paio di casi recenti hanno contagiato gli ospiti già vaccinati (per questo infettati ma non ammalati)».