La crisi provocata dallo scoppio della guerra in Ucraina ha costretto il governo italiano a «correggere significativamente la stima del Pil per il 2022 al 3,1 per cento. Un ottimismo necessario e forse esagerato». Lo sostiene l’economista Veronica De Romanis, che sottolinea «la recessione, purtroppo, non è da escludere».
«In caso di conflitto duraturo, con embargo totale delle importazioni di gas dalla Russia, Banca d’Italia stima un crollo del prodotto interno lordo di mezzo punto percentuale. Un quadro preoccupante. Ma (ancora) ben distante dai numeri registrati durante la pandemia quando l’economia italiana perse quasi nove punti di ricchezza. Rispetto al 2020, tuttavia, bisogna fare i conti con una variabile nuova: l’inflazione».
L’inflazione è una tassa
«A marzo il tasso di variazione dei prezzi ha raggiunto il 6,8 per cento. Un anno fa, in piena pandemia, i prezzi era praticamente fermi: 0,6 per cento. L’inflazione è una tassa. E della peggiore specie. È nascosta. Non la si paga direttamente come gli altri tributi ma attraverso una riduzione del potere d’acquisto. Colpisce, in particolare, chi ha un reddito fisso. A cominciare dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. Attualmente, l’inflazione deriva – principalmente – dall’incremento dei prezzi dei beni energetici. Ossia di beni importati. Questo tipo d’inflazione è, se possibile, ancor più inquietante», spiega la De Romanis nella sua consueta analisi dalle colonne del quotidiano La Stampa.
Travolte le fasce deboli
«Perché penalizza i ceti più deboli. In base ai dati Istat, un’inflazione media del 6 per cento si traduce in un incremento effettivo dell’8,3 per cento per le famiglie povere e del 4,9 per cento per quelle ricche. Il motivo è presto detto. Nel carrello della spesa dei nuclei meno abbienti, i beni ove i prezzi sono aumentati – come quelli degli alimentari – pesano in proporzione maggiore».
La stretta sui tassi danneggerà le imprese
«Se l’inflazione dovesse persistere potrebbero cominciare i primi rialzi dei tassi di interesse. La presidente Lagarde ha precisato che verrà effettuato un monitoraggio dell’evoluzione del carovita, e in particolare della componente relativa ai salari. Nell’eventualità di una spirale prezzi-salari, la Bce sarebbe, infatti, costretta a inasprire la sua stretta. Ciò avrebbe un impatto fortemente negativo sull’attività economica. Per evitare questo avvitamento ci vuole il contributo di tutti: delle istituzioni europee, dei governi nazionali, dei singoli cittadini. In particolare, per un’economia come la nostra che, a causa delle sue fragilità strutturali e della sua forte dipendenza dal gas russo si ritrova in una situazione di maggiore vulnerabilità», spiega la De Romanis.
Serve un nuovo patto sociale
«È necessario predisporre un “patto sociale”, per usare la definizione del premier Draghi, riprendendo il “patto per la politica dei redditi e lo sviluppo” lanciato nel 1993 da Carlo Azeglio Ciampi, diventato Presidente del Consiglio dopo la crisi del 1992. Ognuno dovrebbe fare la propria parte fino in fondo. Ci aspettano mesi, probabilmente anni, difficili. Il Paese è chiamato a uno sforzo collettivo. Il successo dipende dall’insieme dei comportamenti di tutti. Proprio come durante la pandemia. Forse, Draghi dovrebbe cominciare a spiegarlo» conclude la De Romanis.