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[Lo scenario] La recessione ci travolgerà. Ecco perché la transizione energetica è l’unica arma che abbiamo per fermarla

I mercati temono le conseguenze della crisi del gas e rialzano i prezzi: i future sul gas europeo sono più che raddoppiati da inizio anno. Questo soprattutto dopo che la Russia ha scelto di chiudere il gasdotto Nord Stream 1. La decisione di Mosca segue i tentativi del G7 di creare un tetto al prezzo del petrolio russo a partire da dicembre.

Lo afferma Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs Gwm in Italia, puntualizzando che a pochi giorni di distanza, dopo una correzione dei prezzi del greggio di oltre il 20% per via dei timori di recessione, l’Opec+ ha tagliato la produzione, seppur di un ammontare simbolico.

È un segnale chiaro: i produttori di petrolio vogliono difenderne il prezzo anche in caso di rallentamento della crescita economica mondiale e protratte tensioni geopolitiche.

Ovviamente le tensioni con la Russia oggi sono il fattore dominante, ma la crisi energetica va messa nella prospettiva di quanto avvenuto negli ultimi anni: secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, gli investimenti nelle fonti fossili si sono dimezzati tra il 2014 e il 2020. Da allora c’è stata una ripresa, ma il livello degli investimenti rimane molto al di sotto di quello pre-Covid.

Anche se un razionamento del gas sarà forse evitato (sia l’Italia sia la Germania hanno raggiunto un livello delle riserve di circa l’80%), per alcuni settori particolarmente energivori l’elevato costo dell’energia potrebbe portare a un rallentamento dell’attività, con potenziali ricadute sull’occupazione.

Non sarà più, quindi, solo un tema di margini aziendali in riduzione, ma si trasformerà anche in un freno per il Pil. Per questo ci si può aspettare una recessione nei prossimi trimestri, in particolar modo tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, puntualizza Ramenghi. In alcuni casi il petrolio può compensare la mancanza di gas, per esempio nella produzione di elettricità, e per questo «non ci aspettiamo una diminuzione della domanda nonostante l’atteso rallentamento economico. Anche il carbone, malgrado le pesanti conseguenze ambientali, viene utilizzato per ridurre il consumo di gas; per esempio, in Germania il 31% dell’elettricità prodotta oggi viene da centrali a carbone», spiega l’esperto.

Spesso si tralascia di menzionare quanto l’industria della plastica contribuisca al consumo di petrolio e alla produzione di emissioni. A livello mondiale, la plastica rappresenta infatti il 6% del consumo di petrolio mondiale e il 4% delle emissioni durante il suo ciclo di vita: per intenderci, il doppio del traffico aereo. L’Europa ha fatto progressi in questo campo e i tassi di riciclo sono passati dal 16% del 2006 al 25% del 2020, ma il resto del mondo resta indietro, Stati Uniti compresi (gli Usa raggiungono solo l’8% di riutilizzo).

In caso di interruzione alla fornitura di gas da parte della Russia, occorrerà prendere in considerazione razionamento, riduzione dei consumi, sussidi per le famiglie e finanziamenti per le società del settore che si trovano in difficoltà. Alcuni governi sono già andati in questa direzione, per esempio la Germania ha stanziato un pacchetto che vale l’1,8% del proprio Pil.

«Nei piani energetici dei principali Paesi europei troviamo misure d’emergenza come un maggior ricorso al nucleare e al carbone, probabilmente la fonte energetica più inquinante, oltre alla ricerca di nuovi fornitori e giacimenti. Del resto, il G7 ha fatto un passo indietro rispetto agli impegni di cessare qualsiasi supporto pubblico ai combustibili fossili. Si tratta di piani pensati per gestire l’emergenza, ma restiamo dell’idea che a lungo termine l’unica risposta sostenibile sia l’accelerazione della transizione energetica», precisa Ramenghi.

Per gli Stati Uniti non si può parlare di crisi energetica, essendo sostanzialmente indipendenti; tuttavia, tra le iniziative approvate nell’Inflation Reduction Act sono inclusi ingenti investimenti nelle energie rinnovabili. Nel prossimo decennio gli Stati Uniti intendono investire in iniziative legate al clima e all’energia pulita il triplo rispetto all’ultimo decennio. Varare progetti di questa portata per l’Europa richiederebbe un nuovo fondo comune (con una struttura di finanziamento simile a quella del Recovery Fund), ma per ora non sembra essersi formato un consenso sufficiente per mettere in cantiere un’iniziativa di questo tipo.

Anche se i tempi di messa in funzione sono lunghi, l’aumento dei prezzi dell’energia rende più competitive e redditizie le fonti rinnovabili. I prezzi attuali dell’energia creano un incentivo di medio termine per il ricorso all’energia pulita che, tra l’altro, consente di migliorare la sicurezza energetica e diminuire l’impatto sull’ambiente. Più ad ampio raggio, la difficoltà di reperire risorse continuerà ad aumentare per via della crescita demografica e del diffondersi di stili di vita agiati: l’economia circolare sarà determinante, conclude Ramenghi.

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