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[L’intevento esclusivo] Marco Caprai (Ad Azienda Agricola Arnaldo Caprai): «La tecnologia deve aiutare la viticoltura a mitigare gli effetti del Climate Change»

“Laudato si’, mi’ Signore” non è solo il bel cantico di San Francesco d’Assisi che loda “la nostra casa comune con la quale condividiamo l’esistenza”, ma è anche la famosa enciclica in cui papa Francesco relazione la crisi ambientale della Terra con la crisi sociale dell’umanità nell’ottica della cossiddetta “ecologia integrale”. Papa Francesco ha precisato che “non si tratta di un’enciclica verde ma di un’enciclica sociale”. In quest’ottica anche il manifesto di Assisi (per un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica) evidenzia il coraggio con cui le nazioni devono affrontare la crisi climatica non solo come impegno morale, ma soprattutto come grande occasione per rendere l’economia e la società più a misura d’uomo e per questo “più capace di futuro”.

Il recente convegno svoltosi al Museo francescano di Montefalco (PG) in occasione dei 50 anni della cantina Arnaldo Caprai ha posto l’attenzione sui grandi temi presenti nell’agenda incompiuta di COP26. Il bilancio di sostenibilità aziendale, il primo redatto e presentato dall’azienda Caprai, è il documento che apre un dialogo sulla terra e sul territorio – parole simili ma significativamente molto differenti -, sul fare impresa in epoca di green economy e green society, sull’importanza di arte e turismo per un distretto culturalmente avanzato.

Il bilancio di sostenibilità si qualifica, quindi, come il collettore ideale per grandi temi di attualità che fino a pochi anni fa non venivano coniugati e posti in relazione tra loro. Il punto di partenza resta tuttavia l’analisi dei numeri che descrivono la realtà con cui è necessario confrontarsi per un cambio di paradigma produttivo. Le più recenti osservazioni sui cambiamenti climatici evidenziano come in Europa settentrionale il clima sia diventato più umido e influenzato da fenomeni atipici come le inondazioni invernali; nell’Europa centrale, in quella meridionale e nell’area mediterranea, sono frequenti ondate di calore che rendono tali zone più esposte a gravi situazioni di siccità.

Questi eventi climatici estremi hanno effetti negativi sul settore agricolo e lo hanno esposto, per le sue peculiarità, alla variabilità climatica. Cresce perciò la necessità di adattamento anche della viticoltura a nuovi areali di coltivazione e a straordinari sforzi di trasferimento tecnologico per mitigare gli effetti del “climate change” e della produzione sostenibile. Negli ultimi decenni, infatti, lo sviluppo dell’agricoltura, se da un lato ha risposto alla necessità di assicurare a una popolazione in continua crescita l’accesso ai beni alimentari, dall’altro ha inciso negativamente sullo sfruttamento dei suoli, delle risorse idriche e della biodiversità, nonché sulle emissioni di gas serra, finendo per contribuire alle cause del cambiamento climatico, in un rapporto di drammatica consequenzialità.

I danni ambientali si trasformano velocemente in problemi di orgine economica e sociale. Tra le colture, quelle arboree agrarie che rientrano in disciplinari di produzione di qualità (es. vite e olivo) subiscono in maggiore misura la perdita di valore della superficie coltivata, perché caratterizzate da diminuzioni qualitative e quantitative delle produzioni. Da uno studio del dipartimento di Economia agraria dell’Università degli studi di Firenze è stato stimato che i danni patrimoniali nel periodo 2007-2099 potrebbero ammontare, solo per quanto concerne il settore vitivinicolo toscano, a circa 490 milioni di euro.

IL CASO MONTEFALCO

L’Umbria, il cuore verde d’Italia, “dove l’Italia è più Italia”, per citare le parole del sociologo Aldo Bonomi, è il luogo dove può trovare terreno fertile quella conversione ecologica ormai non più procrastinabile che rimanda quasi alla spiritualità francescana. È necessario coniugare in sé la sapienza antica di fare agricoltura, che a Montefalco vuol dire soprattutto fare vino da un vitigno remoto come il Sagrantino, facendo della ricerca e della tecnologia non il fine, bensì lo strumento per realizzare totalmente la sostenibilità e vincere così la sfida che l’Expo di Milano ha lanciato: come nutrire il pianeta, quale energia per la vita.

Proprio la “parabola del Sagrantino” può servire per raccontare il percorso di successo da intraprendere. Una varietà autoctona italiana quasi ignota, antica e potente ma capace di diventare contemporanea, che oggi rivendica totalmente la propria identità in un’idea di vitivinicoltura che è esaltazione massima del valore territorio. Il percorso inizia nel 1989 quando assumo le redini dell’azienda vitivinicola nata nel ’71, fondata da mio padre Arnaldo, imprenditore del tessile, con l’intento di dare seguito alla storia d’impresa. La sfida nasce fin da subito: puntare tutto sulla valorizzazione del vitigno del territorio, il Sagrantino appunto, fino a quel momento resistito ai secoli solo come varietà residuale e priva di ogni connotazione economica.

Condivido immediatamente il rapporto con la ricerca, l’università di Milano, che procede prima alla selezione dei cloni migliori e poi allo sviluppo delle tecniche agronomiche che permettono di valorizzare il potenziale qualitativo delle uve. Tecniche di vinificazioni moderne e capacità gestionali permettono al vino di sagrantino di entrare in brevissimo tempo nel gota dell’enologia mondiale. Con il passare degli anni cambiano gli obiettivi strategici della produzione, ma non l’importanza del rapporto tra l’impresa e il mondo della ricerca. Dalla fine degli anni 2000 la sostenibilità diventa il focus principale su cui insistono i progetti sperimentali che portano alla validazione del primo protocollo italiano territoriale di produzione sostenibile certificato del settore vitivnicolo, il programma “new green revolution”.

Nel contempo il distretto del Sagrantino cresce e, insieme ai successi internazionali del vino, Montefalco diviene da piccolo borgo medievale sconosciuto a importante meta turistica, sugellando quel forte legame tra impresa e territorio così contemporaneo nella nuova idea di sviluppo rurale. L’impresa diviene custode del territorio, fonte di reddito e di sviluppo, e per questo tutela la terra e la comunità che vi lavora.

Il bilancio di sostenibilità ha l’ambizione di misurare questo legame sociale, che è anche economico e di tutela ambientale, valorizzando l’impegno dell’impresa per ridurre gli sprechi, abbattere l’utilizzo di fitofarmaci, coinvolgere le comunità con tutte le problematiche e le contraddizioni del tempo. Se è vero quanto sostenuto da Robert Putman che “l’economia non predice l’impegno civico, ma è l’impegno civico a predire l’economia e anche meglio dell’economia stessa”, a Montefalco si è assistito a uno straordinario processo di sviluppo rurale dove le virtù civiche, la coscienza dei luoghi, l’agricoltura, ridisegnano la civiltà materiali definiscono una green society in grado di contaminare le retoriche della green economy.

I PROSSIMI 50 ANNI

Un distretto agricolo continuerà ad avere sempre più bisogno di reti di saperi come quella creata con l’università di Agraria di Milano per la selezione dei genotipi di Sagrantino. Ma i nuovi scenari globali rimandano sempre più alla crisi ecologica. Dall’impatto con le migrazioni e il rapporto con la Caritas di Foligno, che a Montefalco ha generato le vigne dell’integrazione per l’assunzione di braccianti agricoli in attesa di permesso di soggiorno, alla sfida della formazione continua e competitiva che l’azienda Caprai ha concretizzato nel corso ITS agroalimentare dell’Umbria premiato nel 2021 come progetto educativo di eccellenza.

Ma soprattutto la straordinaria sfida dell’agricoltura 4.0 che si identifica come l’unica chiave di successo per poter mantenere una produzione di qualità nel solco della competitività internazionale. Una sfida che richiede continuamente neo diplomati, capaci di relazionarsi con i nuovi strumenti di lavoro, e ricercatori sul campo, che implementano le tecnologie, in un circolo virtuoso in grado di autoalimentarsi.

Il cambiamento climatico comporterà delle variazioni nelle pratiche colturali, la modifica delle tempistiche delle operazioni in campo e, in particolare, un diverso uso dell’acqua. La possibile crescita del deficit idrico e degli eventi estremi meteorologici potrà causare rese inferiori e maggiore variabilità nei raccolti. I modelli climatici previsionali relativi a temperatura e piovosità mettono in primo piano gli effetti sulla fenologia e sulla disponibilità idrica.

È  ormai previsto che la coltivazione della vite diventerà più rischiosa e dispendiosa e che assumeranno primaria importanza le tecniche colturali in grado di gestire al meglio le risorse idriche. Per far fronte a questa esigenza ormai pressante, anche a Montefalco sono in corso di realizzazione progetti che mirano a strutturare sistemi sperimentali di irrigazione a rateo variabile dei vigneti capaci, in relazione a mappe di prescrizione dei suoli derivate da indagini satellitari, di calibrare la quantità di acqua da rilasciare in ogni singola area del campo in base alle esigenze della vite.

Anche la difesa dei germogli dalle gelate tardive primaverili, sempre più frequenti, sta portando allo studio di sistemi in grado di attivare delle procedure di alert collegati con impianti sperimentali di contrasto al danno da freddo ad attivazione automatica. Le conseguenze negative sulla produzione si evidenziano, inoltre, sull’aumento nella distribuzione e nell’intensità di parassiti e malattie, causato da temperature e umidità più elevate in determinati periodi dell’anno. Anche l’anticipo dei periodi di fioritura, l’allungamento della stagione di crescita delle viti e cambiamenti in altri cicli naturali delle piante sono fenomeni ormai comunemente noti.

Per questo ambito di lavoro è in corso di sviluppo una rete agrometeorologica territoriale collegata a software DSS (Decision Support System) per la modellizzazione delle malattie e per la redazione e la pubblicazione di bollettini fitosanitari di dettaglio con informazioni sito-specifiche. Il progetto prevede anche la distribuzione di fitofarmaci a rateo variabile attraverso mappe di prescrizione ricavate da informazioni satellitari e l’implementazione di applicativi mobili di gestione capaci di trasferire le informazioni dei bollettini alle macchine operatrici.

Infine, la robotica applicata agli strumenti dell’agricoltura di precisione è l’ultima frontiera della ricerca scientifica e tecnologica al servizio dell’agricoltura. D’altra parte lo sviluppo e la produzione di robot per l’agricoltura è considerato un importante asset per il mantenimento della leadership dell’industria meccanica dell’UE. Montefalco Robotic Harvest è l’ultimo progetto in corso di definizione finalizzato a sviluppare un prototipo di robot mobile autonomo (AMR), in grado di muoversi liberamente tra i filari, sia seguendo i percorsi delle mappe dei vigneti interessati dall’intervento e precedentemente installati sul dispositivo, sia costruendo percorsi autonomamente in loco.

L’implementazione di questa innovativa attrezzatura applicata, per esempio, alla vendemmia manuale assolverebbe a tutte e tre le dimensioni dello sviluppo sostenibile: a quella sociale, nella misura in cui il robot, andando a svolgere il trasporto delle casse piene di uva ridurrebbe al minimo lo sforzo umano, rendendo al contempo più concentrato l’operatore per il taglio del grappolo e riducendo, oltretutto, il rischio di incidenti sul lavoro dovuti allo stress fisico; alla dimensione ambientale, dato che il robot non solo sarebbe alimentato esclusivamente da energia elettrica, ma grazie al peso ridotto di carico e all’utilizzo di pneumatici di ultima generazione sarebbe in grado di esercitare sul suolo solo una pressione soffice evitando in questo modo il compattamento del terreno; alla dimensione economica, perché l’innovativa attrezzatura permetterebbe un abbattimento dei costi di vendemmia, finora caratterizzata da elevati impieghi di manodopera, e un miglioramento della qualità delle uve raccolte.

L’evoluzione deve quindi guardare alla modernità senza mai dimenticare la terra come bene comune dove impatta la crisi ecologica. In questa logica di progresso torneranno forse in uso modelli di sviluppo del passato rivisitati per le nuove esigenze produttive. Un esempio sono le comunanze agrarie, antiche forme di proprietà collettiva nate nel Medioevo in alcune zone delle Alpi e degli Appennini per la gestione del territorio. Per secoli, hanno permesso agli abitanti di determinate aree montuose dell’Italia di gestire collettivamente i boschi, i pascoli e le risorse dell’intero territorio nel quale abitavano, in un’ottica solidale che desse a ciascuno il necessario per una vita dignitosa.

L’esigenza di nuovi straordinari investimenti che si prospettano all’orizzonte per compiere la trasformazione ecologica grazie all’innovazione e alle nuove tecnologie potrebbe, forse, trovare compimento in nuove forme di comunanze agrarie capaci di creare piattaforme comuni per lo sviluppo. Comunanze energetiche per le rinnovabili, comunanze agronomiche per l’implementazione su larga scala di modelli viticoli complessi ma efficienti e a basso impatto ambientale, comunanze per l’integrazione turistica evoluta in un rapporto diretto con gli agricoltori che sono, e saranno, i depositari della gestione dei territori rurali di oggi e del futuro.

In quest’ottica ritengo che gli enti di bacino possano rappresentare un elemento chiave in cui far convogliare la gestione idrica e geologica nonché l’economia circolare degli scarti di tutto il mondo agricolo, contribuendo così non solo alla sostenibilità, ma anche alla riforestazione e alla biodiversità. Questo, a mio avviso, è il nuovo ruolo dell’impresa nell’Italia che riparte: farsi territorio, attraverso il rapporto con le scuole, le università, le banche, le reti commerciali e gli opinion leader, e promotrice di progetti che vanno ben oltre la sua area di business, in prima linea per sopperire alle mancanze del sistema a causa dell’enorme impoverimento della macchina burocratica.

La sostenibilità, in questo nuovo concept, è l’architrave di un patto con i consumatori e con le nostre famiglie, per cui ci sentiamo custodi di un territorio da rinnovare per dargli un futuro. Un futuro che si baserà in primis su un forte patto con il consumatore: saranno le sue esigenze e la sua sempre più crescente cultura sul prodotto a cambiare i modelli di business e produzione. È con lui, quindi, oggi più che mai, che dobbiamo prendere un impegno concreto e, però, anche reciproco, finalizzato a garantire sostenibilità, salubrità e qualità delle produzioni che dalla nostra terra arrivano sulle tavole di tutti. Questo, in ultimo ma non per ultimo, ci consente anche di poter svolgere l’insostituibile ruolo di salvaguardia del territorio e dell’ambiente.

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