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[L’intervento esclusivo] Elisa Palazzi (climatologa università di Torino): «Possiamo rimediare ai nostri errori. La scienza ci dice che ci sono ancora spazi di manovra per mitigare i cambiamenti climatici, ognuno è chiamato a fare la propria parte»

I RELATORI

Elisa Palazzi, climatologa e docente all’Università del Torino, ha rilasciato un intervento in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia in occasione del webinar dal titolo “Dalle Alpi al Mediterraneo, come impatta il cambiamento climatico”. L’evento è stato moderato da Carlo Cacciamani, direttore dell’agenzia ItaliaMeteo, e ha visto come ospite anche Piero Lionello, climatologo e docente all’Università del Salento, e Antonello Pasini, climatologo e ricercatore per il CNR.

Il surriscaldamento globale

Vorrei fare una panoramica di quello che sta succedendo su tutta la terra, e la rappresentazione è molto chiara. Vediamo il surriscaldamento globale in un anno specifico, nel 2006. Il riscaldamento sicuramente è globale, e sappiamo dalla letteratura pubblicata che il surriscaldamento interessa circo il 98 per cento della superficie del nostro pianeta. Inoltre il riscaldamento non è omogeneo su tutto il globo, ma ci sono delle regioni che si sono scaldate in maniera differente, e in particolare alcune lo hanno fatto più di altre.

Ad esempio, in tutti i decenni recenti l’artico emerge come una regione sentinella, come un hotspot climatico, come lo è anche l’area del Mediterraneo, sia dal punto di vista del mare che delle terre che lo circandano. Lo stesso vale anche per le montagne, di cui vi parlerò oggi.

L’importanza degli ecosistemi montani

Proprio le montagne sono le sentinelle del surriscaldamento globale, in generale le terre alte. Pur essendo diverse le montagne che troviamo nelle varie parti del mondo – e una specificità è data dal fatto che le montagne sono sparpagliate a tutte le latitudini – ci sono delle caratteristiche che accomunano tutte le regioni montuose del nostro pianeta. Una di queste caratteristiche è la loro alta sensibilità ai cambiamenti climatici e ambientali, in principal modo indotti dall’uomo.

Non pensiamo infatti solo al cambiamento climatico, ma anche a tutta un’altra serie di stress antropici che in montagna si fanno sentire in maniera piuttosto marcata e che vanno a incidere su tutta quella serie incredibile di benefici o di servizi che le montagne, così come tanti altri ecosistemi sulla terra, offrono non solo a coloro che vivono nelle terre alte, ma anche a tutto il resto della popolazione che è poi la gran parte.

Quindi servizi di approviggionamento, come l’acqua, come l’aria pura, come il legname, come le materie prime, ma anche servizi di regolazione come l’argimentazione dei fiumi, la componente montana del ciclo idrologico, la protezione rispetto alle calamità naturali, e anche servizi estetici e ricreativi che ci fanno stare così bene quando andiamo in montagna.

Il monitoraggio dei cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici ed ambientali impattano in particolar modo sull’acqua, sia in termini di qualità che di qualità, così come sulla produzione di cibo e sulla crescita economica. Si tratta di cambiamenti che non restano confinati nelle terre alte ma che si propagano a valle.

Questo rende necessaria un’analisi, un monitoraggio e uno studio anche di quelli che potrebbero essere i cambiamenti futuri che riguardano queste terre. E in particolare tutte quelle componenti della montagna che possono trasformarsi – e lo stanno facendo anche in maniera sorprendentemente rapida – come la criosfera, che è l’insieme di tutte quelle parti in cui l’acqua è presente allo stato solido, l’atmosfera che in montagna si vede soprattutto su come la precipitazione sta cambiando in relazione a quanto piove di più rispetto al passato in proporzione a quanto nevica o anche alla ricorrenza di eventi estremi.

Altro problema è la diminuzione della biodiversità soprattutto nelle montagne che sono sempre state uno scrigno di biodiversità, misura e indice della salute dell’ecosistema, che vediamo oggi diminuire drasticamente. Ci sono anche altri cambiamenti nell’ecosistema montano che corrispondono agli sfasamenti.

Il rapporto dell’IPCC e il capitolo dedicato alle montagne

L’IPCC nel 2019 in uno dei tre rapporti speciali che sono stati pubblicati tra il penultimo rapporto di valutazione e l’ultimo uscito tra il 2021 e il 2022, ha pubblicato questo rapporto dedicato in maniera specifica agli Oceani e alla Criosfera in un clima che cambia. Per la prima volta nella storia della IPCC c’è stato un capitolo esclusivamente dedicato alle montagne, il capitolo numero 2 a cui ho contribuito.

Di questo capitolo vi mostro solo una figura, che non è semplice da leggere ma per la quale voglio lanciare solo un messaggio finale. Il messaggio finale ci racconta di quanto velocemente negli ultimi decenni la temperatura sia aumentata nelle regioni di alta quota. Il tasso medio del riscaldamento delle terre alte globalmente è stato di 0,3 gradi centigradi ogni 10 anni, che andrebbe confrontato con il tasso di riscaldamento medio globale, che è di 0,2 gradi centigradi ogni 10 anni.

Da questo capiamo che le montagne effettivamente si sono scaldate più in fretta di quanto non lo abbia fatto il globo a livello medio e questo è il primo messaggio importante.

L’amplificazione del surriscaldamento

Questo ragionamento ci porta a chiederci il perché questo sia avvenuto. Le cause sono molte e si intrecciano, ma una in particolare è quella dell’amplificazione del riscaldamento indotto da una forzante iniziale, che è quella dominante oggi ed è l’emissione di gas serra che derivano da diverse attività. Queste emissioni hanno generato un riscaldamento che però in montagna si amplifica, per un meccanismo che coinvolge l’assenza di neve e di ghiaccio.

Man mano che il mondo si scalda, le zone in montagna ricoperte da neve e ghiaccio diminuiscono. Questa diminuzione delle aree bianche fa assorbire maggiormente la luce solare da parte del terreno. Il terreno si scalda, scalda ancora di più l’atmosfera soprastante, e quindi qui c’è già un’amplificazione del surriscaldamento. Questo surriscaldamento fonde ancora di più neve e ghiaccio, che liberano ancora di più porzioni di suolo che fanno scaldare ancora di più e via dicendo.

E’ un ciclo che si ripete indefinitamente, detta una retroazione positiva nel senso che ogni volta che questo giro si compie, si somma al giro precedente. Questo è uno dei meccanismi che concorrono al meccanismo di surriscaldamento montano, ma ce ne sono anche altre.

I ghiacciai in ritiro

Questo meccanismo che si verifica sulle nostre montagne è lo stesso meccanismo che si verifica nel circolo polare artico, dove sta causando la cosiddetta amplificazione artica.

Parlando di montagna dobbiamo pensare alle riserve di acqua e particolarmente dell’acqua stoccata in formato solido. Neve e ghiacciai sono in fortissima sofferenza. Se facciamo un richiamo all’attualità, l’inverno che ci siamo lasciati alle spalle è stato estremamente secco, moltissime risorse stanno già sostanzialmente esaurendo, la neve che è caduta è sostanzialmente già fusa. Ci aspetta quindi una stagione dove avremo problemi di approvvigionamento di risorsa idrica.

Basta guardare le foto dei ghiacciai resi in anni diversi, e non c’è bisogno di alcun commento, le immagini parlano da sole.

Gli effetti del surriscaldamento in montagna

Altri effetti del surriscaldamento in montagna sono sicuramente quelli sulla neve al suolo, c’è una forte diminuzione sia nell’estensione dell’area coperta da neve, sia nella profondità del manto nevoso, sia nella durata dello stesso. Si accorcia così la stagione della neve, che inizia più tardi, in autunno più inoltrato, e termina prima, perché la fusione incomincia prima.

Questo comporta dei rischi, sia per le popolazioni animali, sia per noi utilizzatori dell’acqua a valle, che rischiamo che l’acqua da scongelamento della neve sia terminata quando ne abbiamo più bisogno nella stagione estiva sempre più calda e secca. Altro problema poi si ha per i suoli, perché i suoli quando sono protetti dal manto nevoso non si congelano, altrimenti si congelano con delle rispercussioni negative su tutto il ciclo dei nutrienti che sono importanti poi nella fase di disgelo.

Sono quindi molte le conseguenze negative della mancanza di neve al suolo.

Lo scongelamento del permafrost

Altro effetto negativo è lo scongelamento del permafrost. Il permafrost è il suolo congelato “perennemente” per almeno 2 anni di fila, che alle alte latitudini è molto presente e anche lì dà luogo a importanti retroazioni positive legate soprattutto alle emissioni di metano, altro gas a effetto serra molto potente, anche più della CO2, una trentina di volte più della CO2. Anche nelle nostre Alpi, sopra i 2500-2600 metri la presenza del permafrost è importante perché tiene saldo il terreno. Il suo scongelamento genera frane, smottamenti, crolli di roccia, come purtroppo ce ne sono stati recentemente.

Altro effetto negativo poco noto ai più è la formazione di laghi glaciali con la loro possibile esondazione. Si tratta di laghi che si formano in maniera incredibilmente rapida per l’altrettanto rapida fusione dei ghiacciai che hanno delle arginature incredibilmente fragili, moreniche, e che molto facilmente possono esondare rappresentando un rischio per le popolazioni a valle.

Gli estremi di precipitazione

Forte è il rischio legato agli estremi di precipitazione e a come si manifestano in montagna; in qualche modo, la montagna estremizza. Le siccità sono gravi nelle regioni di alta quota e in Italia quasi tutti i boschi sono presenti nelle regioni di montagna. Una siccità di un suolo particolarmente secco per la mancanza di pioggia per tempi prolungati rende molto più facile la propagazione delle fiamme quando un incendio viene innescato.

Allo stesso modo però l’acqua è pericolosa quando ce n’è troppa e tutta insieme. Si verificano in montagna delle alluvioni lampo che possono generare rischi se il terreno è vulnerabile e se c’è una certa esposizione.

Perdita di biodiversità e sfasamento degli ecosistemi

Ci sono altri effetti che riguardano meno gli aspetti fisici della montagna e più gli ecosistemi che vi abitano. Tre sono gli effetti principali che si registrano. Il primo sono le migrazioni con lo spostamento degli animali e delle piante verso le alte quote. C’è proprio questa tendenza di cose che vanno verso l’alto in montagna. Gli animali si spostano per cercare un habitat che sia più favorevole rispetto a quello a cui erano abituati; le piante si spostano, ovviamente in maniera diversa, attraverso i semi e l’abbandono dei pascoli in quota.

Alcuni dicono che questo spostamento verso l’alto di flora e fauna “banalizza” le montagne, ne riduce il tasso di biodiversità perché le specie si mischiano, perché man mano che si sale in quota l’area reale che le specie hanno a disposizione diminuisce perchè la montagna si restringe. Inoltre le specie che stanno già in vetta si stanno di fatto già estinguendo, perché non hanno un posto dove andare più in alto.

Infine, lo sfasamento degli ecosistemi avviene quando non tutte le componenti di un ecosistema reagiscono simultaneamente a una perturbazione esterna. Basti fare un esempio che è significativo e facile da ricordare, quello della pernice bianca, che non è sempre bianca, vive nelle praterie alpine e ha questa caratteristica definita nei suoi geni, di cambiare il proprio manto a seconda della stagione per mimetizzarsi, perché è un modo per assicurarsi la sopravvivenza. Quindi è bianca come la neve d’inverno ed è grigia come le rocce in estate. Purtroppo accade che per l’orologio biologico della pernice bianca è tempo di cambiare manto diventando bianca prima che la neve effettivamente cada e si accumuli sul terreno. La pernice diventa bianca cangiante quando l’ambiente intorno ancora non lo è.

Questo sfasamento rappresenta per la pernice bianca un pericolo di vita perchè è un animale predato dagli uccelli rapaci.

Cosa ci attende in montagna nell’immediato futuro?

Prediamo a riferimento il rapporto IPCC del 2019 che citavo prima perché ci racconta una storia uguale purtroppo in tutto il mondo: i ghiacciai di tutto il mondo si prevede che continueranno questa tendenza di ritiro anche nei decenni a venire, in modo diverso in base agli scenari di emissione e di sviluppo delle società che ci attendono.

Anche in quelli più ottimistici continueremo ad avere una diminuzione della massa dei ghiacciai anche perché i ghiacciai hanno una componente di risposta un po’ più lenta, e gli effetti dei decenni futuri sono legati a quello che abbiamo fatto nei decenni passati. Per questo serve un’azione immediata, per limitare questi impatti negativi.

Innalzamento della linea di equilibrio dei ghiacciai

Importante è ricordare come si stia spostando verso l’alto la linea di equilibrio dei ghiacciai secondo uno studio italiano che ha analizzato 200 anni di dati, 100 nel passato e 100 nel futuro. La linea di equilibrio separa in un ghiacciaio la zona in cui cresce, cioè la zona di accumulo, dove cade la neve d’inverno, dalla zona di ablazione, cioè la zona dove il ghiaccio e la neve fondono. Tutto ciò che sta sopra questa linea è la zona in cui questo ghiacciaio può sopravvivere.

Con il riscaldamento questa linea si è alzata e ci si aspetta che si innalzerà ancora nel futuro tra un minimo di un centinaio di metri, nello scenario pi ottimistico e mitigato, e un massimo di settecento metri.

Questo si traduce in un numero e una percentuale di sopravvivenza dei ghiacciai. Quello che scopriamo è che anche nello scenario più ottimistico di massima mitigazione avremo una percentuale di sopravvivenza dei ghiacciai sulle nostre alpi pari al 31%. Nello scenario più pessimistico pari all’8%.

Il futuro noi non lo possiamo sapere con certezza, ma una delle incertezze principali deriva dal non sapere quale percorso la nostra società prenderà per limitare le emissioni. Siamo noi che possiamo sceglierlo.

La responsabilità dell’uomo

Proviamo a pensarci come attori di un cambiamento positivo, anziché negativo. Spesso ci colpevolizziamo e a ragione. Ma il cambiamento fa paura solo fino a che non si comincia a cambiare. Poichè la scienza ci dice che c’è ancora un piccolo spazio di manovra, fidiamoci della scienza e facciamo quello di cui c’è bisogno, senza pensare che un cambiamento comporti sacrificio, rinuncia, che sia per forza detrattivo. Io credo che non sia così. In questo caso il cambiamento implica un cambiamento positivo, e non un sacrificio.

Iniziamo il cambiamento dalle città in cui viviamo, cooperiamo con gli amministratori per chiedere che le nostre città siano più sostenibili, a basse emissioni, e questo ci permetterà di sicuro di vivere meglio. Proviamo a fare le cose che rendono migliore l’ambiente in cui viviamo e sicuramente staremo meglio anche noi.

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