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[L’intervento] Carlo Cacciamani (Agenzia ItaliaMeteo): «Sarà il Mediterraneo la prima vittima del cambiamento climatico. Prepariamoci»

Il clima del pianeta sta cambiando in modo estremamente rapido. La temperatura media della terra è cresciuta quasi ovunque, e di più nelle aree polari, sia nei valori medi che negli estremi. In tale contesto globale l’area del Mediterraneo rappresenta un “hot spot”, dal momento che manifesta un segnale di cambiamento climatico anche più ampio di quello medio sull’intero pianeta.

Non solo le temperature mostrano un cambiamento rilevante (trend in crescita), ma si evidenzia una modifica importante anche nei regimi di precipitazione: sull’intero bacino del Mediterraneo le piogge sono in diminuzione, e specialmente nei periodi estivi, ma allo stesso tempo i valori estremi delle stesse stanno aumentando, sia come frequenza di occorrenza sia per modalità ed intensità. In sostanza, usando uno slogan, si potrebbe dire che “in generale piove di meno, ma quando piove,…piove di più, e in tempi rapidissimi.

Il primo impatto di questa modifica di regime è rappresentato dall’aumento delle condizioni di rischio idro-geologico-idraulico; al contrario la diminuzione delle piogge estive causa l’aumento dei periodi di siccità, con conseguenze che potrebbero risultare drammatiche per quanto concerne la disponibilità di acqua. In aggiunta, temperature molto elevate d’estate potranno susseguirsi, più di quanto accada già ora, per giorni e giorni, con ciò causando un aumento della frequenza delle ondate di calore, con gravi impatti sulla salute delle persone, soprattutto quelle più vulnerabili, e sugli animali, una  crescita dei consumi di energia per rinfrescare le abitazioni e impatti sugli ecosistemi, la biodiversità, l’agricoltura, la produzione di cibo.

Per ridurre tali effetti negativi degli impatti del cambiamento climatico è urgente, e assolutamente non più dilazionabile nel tempo, attuare politiche di adattamento, nei vari settori e alle varie scale spaziali, e allo stesso tempo agire con grande rapidità sulle cause del cambiamento climatico, e cioè sulla mitigazione, che si attua attraverso una rapida e decisa azione di riduzione delle emissioni di gas climalteranti.    

Il cambiamento climatico osservato e futuro a scala globale e la necessità delle azioni di adattamento

Nel recente sesto report (febbraio 2022, vedi link) del Working Group II dell’IPCC (the Intergovernmental Panel on Climate Change) vengono valutati: a) gli impatti dei cambiamenti climatici, sia a scala globale che regionale, sugli ecosistemi, la società, le infrastrutture, i settori produttivi, le culture e le città; b) la vulnerabilità e i rischi futuri sulla base di differenti scenari di sviluppo socioeconomico (gli Shared Socioeconomic Pathways – SSP); c) le diverse azioni di adattamento sia già in atto, sia quelle da porre in essere in futuro con un’analisi della relativa efficacia, fattibilità e delle limitazioni; d) il successo dell’adattamento in relazione all’indispensabile capacità di mitigazione, da attuarsi attraverso la rapida riduzione delle cause che determinano un così rapido cambiamento climatico, ovvero le emissioni di gas climalteranti in atmosfera, che in questi ultimi decenni hanno raggiunto valori mai così elevati negli ultimi ottocentomila anni.

Se si confronta questo ultimo report dell’IPCC con i precedenti, si evince il grande sforzo compiuto per integrare diversi ambiti di conoscenza e di problematiche, in una sintesi necessaria a comprendere in maniera esaustiva il problema dell’emergenza climatica, anche sottolineando il grandissimo tema della giustizia sociale, delle conoscenze delle popolazioni e delle comunità locali, e giungendo alla conclusione, espressa in modo ancora più chiaro forse che in passato, di quanto sia assolutamente improcrastinabile un’azione immediata e urgente. Urgenza anche legata all’evidenza che in molti casi le capacità di adattamento sono già state attenuate o comunque intaccate, e se l’aumento della temperatura rispetto ai valori dell’epoca preindustriale supererà 1,5°C, queste capacità di adattamento saranno ancora più limitate e di ridotta efficacia. 

Più in dettaglio, dal “sommario per i politici” (vedi link) di tale report emergono alcuni aspetti che possiamo riassumere in una breve lista, rimandando per gli approfondimenti alla documentazione citata:

  • Il cambiamento climatico indotto dall’uomo, inclusi gli eventi estremi più frequenti e intensi, ha causato impatti avversi diffusi, e quindi relative perdite e danni alla natura e alle persone, che si sommano a quelli addebitabili alla naturale variabilità climatica. Pur essendo visibili alcuni risultati ottenuti dalle attività di adattamento già in atto e che hanno ridotto in diversi  ambiti la vulnerabilità, tuttavia l’aumento delle condizioni meteorologiche e climatiche estreme ha già purtroppo causato alcuni impatti irreversibili, e che purtroppo vanno oltre le capacità di adattamento delle società e degli ecosistemi;
  • La vulnerabilità degli ecosistemi e delle persone al cambiamento climatico varia sostanzialmente da punto a punto della Terra e anche all’interno delle stesse regioni, a causa dei diversi modelli di sviluppo socio-economico, dell’uso spesso insostenibile delle risorse dei mari e del suolo, la presenza di iniquità sociali, di fenomeni di emarginazione e di indigenza in cui intere popolazioni vivono. Si stima con “alta fiducia” che più di 3 miliardi di persone vivano in contesti altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. In definitiva in molti casi gli attuali modelli di sviluppo appaiono insostenibili e fanno crescere l’esposizione al rischio climatico degli ecosistemi e delle persone.
  • Il riscaldamento globale, che potrebbe raggiungere la soglia di 1,5°C già nei prossimi vicini decenni e non a fine secolo qualora non si mettessero in campo azioni di drastica riduzione delle emissioni, provocherebbe, con altissima confidenza, inevitabili incrementi di rischi climatici multipli, sia per gli ecosistemi che per gli esseri umani. Azioni a breve termine che limitino il riscaldamento globale potrebbero ridurre sostanzialmente i danni, anche se non è possibile eliminarli tutti.
  • Oltre il 2040 e con gradualità differenziata in relazione ai diversi scenari di riscaldamento globale, i cambiamenti climatici comunque avranno gravi impatti sui sistemi naturali e sulle popolazioni. Nel report viene addirittura sottolineato che, con alta confidenza e per 127 rischi chiave identificati, gli impatti valutati a medio e lungo termine potranno risultare molte volte superiori a quelli attualmente osservati, con entità dei danni che dipendono fortemente dal buon esito delle azioni di mitigazione e adattamento attuati nel breve termine. Si deve anche sottolineare la complessità e la difficoltà di gestione di tali rischi e che questi potrebbero interagire con quelli di altra natura e non addebitabili al cambiamento climatico, determinando effetti a cascata gravi per i diversi  settori e aree territoriali.

Da quanto emerge dai punti precedentemente descritti, visto che gli scenari di rischio sono già evidenti e  potranno crescere ulteriormente, se ne deduce che le azioni di adattamento da porre in atto sono assolutamente non eludibili e da attuare con decisione e a partire da subito. Il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, a commento della pubblicazione del sesto report IPCC che abbiamo discusso in precedenza (vedi la traduzione del suo intervento estratta dal blog Climalteranti.it, qui il link), ha usato parole molto forti, sottolineando come il rapporto dell’IPCC rappresenti una reale “…mappa della sofferenza umana e un’accusa schiacciante al fallimento della leadership climatica”.

Guterres sottolinea come quasi la metà dell’umanità viva nella zona di pericolo e che è assolutamente essenziale raggiungere l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi. Per ottenere questo obiettivo è imperativo ridurre le emissioni da combustibili fossili.  Parallelamente, Guterres afferma come gli investimenti nell’adattamento sono già risultati vantaggiosi, laddove le azioni sono già state intraprese, e quindi tale linea di intervento va assolutamente rafforzata e potenziata, superando le difficoltà e le cautele, non più giustificabili. Adattamento e mitigazione devono essere perseguiti con forza e urgenza, per evitare danni incalcolabili per la società e gli ecosistemi.

Il tema è quindi quali siano dunque i problemi da affrontare per far crescere e rendere efficaci le azioni di adattamento. Un dato di fatto che emerge dall’analisi dell’IPCC è che sia ancora troppo non uniforme il progresso dell’adattamento, esistendo grandi divari da zona a zona. Esistono opzioni di adattamento fattibili ed efficaci che possono ridurre i rischi per le persone e la natura e per di più le soluzioni integrate e multisettoriali, rivolte alla diminuzione delle disuguaglianze sociali, fanno crescere l’efficacia dell’adattamento.  

Per rendere efficaci le azioni di adattamento si rende necessario superare vincoli, sia finanziari che di governance, istituzionali e/o politici, che non appaiono compatibili con l’emergenza climatica in atto e con gli scenari di danno connessi al cambiamento climatico. Vanno anche evitate le azioni di cattivo adattamento che purtroppo sono in molti casi già state attuate in diversi settori e regioni, azioni che possono addirittura far crescere la vulnerabilità, anziché ridurla. Il cattivo adattamento può essere evitato da un processo di pianificazione che sia flessibile, multisettoriale, inclusivo e pensato su tempi anche lunghi, creando benefici per molti settori e sistemi.

Infine nel report per i decisori politici viene sottolineato come lo sviluppo futuro debba sempre più tener conto ed essere resiliente al clima, e che le azioni di sviluppo debbano dare priorità alla riduzione del rischio, all’equità e alla giustizia. A tal proposito forse sarebbe utile anche rivedere un po’ l’idea consolidata che il Prodotto Interno Lordo da accrescere sempre e comunque sia più o meno l’unico karma da seguire. Nello stesso volume dell’IPCC viene fatta menzione, ad esempio, e per la prima volta e per ben 15 volte, del concetto di decrescita (vedi link ad un articolo di Timothee Parrique), intesa anche come possibile alternativa allo sviluppo sostenibile, e tenuto conto anche che alcuni scenari di sviluppo appaiono oggi del tutto inconsistenti con quell’idea di sostenibilità che magari si immaginava potessero possedere. Non intendo approfondire in questo post il tema, lo lascio però come suggestione ulteriore da investigare e approfondire anche nell’immediato futuro, vista la criticità che si sta vivendo e quella che potrà crescere anche nel prossimo futuro.

L’Europa e il “punto caldo” del Mediterraneo: lo stato del clima attuale e futuro, gli impatti e le azioni di adattamento da mettere in campo per limitare i danni

Già i precedenti report dell’IPCC hanno evidenziato, e questo ultimo ha confermato e rafforzato, come l’Area dell’Europa Meridionale e il Mediterraneo siano un hot spot climatico, nella quale  le criticità evidenti a scala globale addirittura si rafforzano. Dall’abbondante letteratura scientifica incentrata sul Mediterraneo, che poi l’IPCC utilizza per redigere i suoi report, è possibile identificare alcune categorie prioritarie di rischio per tale area europea, che si aggravano a causa del riscaldamento globale. Per di più è anche interessante rilevare che con un livello basso di adattamento questi rischi potranno esacerbarsi se il riscaldamento dovesse superare i 2°C,  rispetto a quanto accadrebbe con un innalzamento della temperatura di 1,5°C.

E’ possibile, a mio avviso, connettere tali rilevanti categorie di rischio a due scenari di pericolosità idro-meteorologica contrapposti, entrambi indotti dal riscaldamento: i rischi “calore” e “siccità” contrapposti al rischio “alluvione”. Nel dettaglio:   

  • In generale tutta Europa è a rischio ondate di calore e maggiore rischio incendi, che creeranno problemi seri alle popolazioni e agli ecosistemi. Tali danni saranno molto più gravi se il limite di 1.5 gradi dovesse essere superato. Ad esempio è atteso che il numero di decessi e persone a rischio da stress da calore potrà addirittura raddoppiare o triplicarsi per un innalzamento della temperatura pari a 3°C, rispetto a 1,5°C. Il riscaldamento ridurrà inoltre gli habitat adatti agli attuali ecosistemi terrestri e marini e cambierà irreversibilmente la loro composizione. Le misure di adattamento allo stress termico della popolazione e il contenimento dei rischi da ondate di calore necessitano di interventi sia sugli spazi urbani che sulle stesse abitazioni. Queste misure devono essere predisposte il prima possibile nell’Area del Mediterraneo, che è certamente la più a rischio in tal senso in Europa.
  • Crescono i rischi per la produzione agricola, connessi alla combinazione del caldo eccessivo, soprattutto d’estate, con la scarsità di precipitazione, nell’Europa meridionale e nel Mediterraneo. Si fanno stime di perdite sostanziali in termini di produzione agricola, con conseguenti impatti anche sulla disponibilità di cibo, per la maggior parte di tali aree del nostro continente e nel bacino del Mediterraneo.
  • Uno dei rischi più rilevanti nell’Area del Mediterraneo è certamente quello della  “water scarcity” connessa dalle più frequenti situazioni di siccità che potremo vivere nei prossimi anni. Per di più già adesso nelle aree del Mediterraneo la domanda di “prelievo” di risorse idriche eccede la disponibilità, e il divario tra offerta e domanda sta aumentando sia a causa dei cambiamenti climatici, sia degli sviluppi socio-economici. Nel caso di un livello di riscaldamento elevato, è richiesto un ampio spettro di interventi che tuttavia potrebbe anche non essere sufficiente a evitare la mancanza di adeguate risorse idriche nell’Europa meridionale e nel Mediterraneo. In Europa meridionale il numero di giorni con insufficienti risorse idriche (disponibilità inferiore alla richiesta) e siccità aumenta in tutti gli scenari di riscaldamento globale e, nelle prospettive di un aumento della temperatura globale di 1,5°C e 2°C la scarsità idrica riguarda, rispettivamente, il 18% e il 54% della popolazione.

Gli impatti della siccità si acuiscono poi anche per l’interazione tra specifiche carenze idriche e le problematiche  ambientali, sociali o economiche, per le quali è essenziale la dipendenza dall’acqua. 

In aggiunta, quando non è gestita adeguatamente e si ripete nel tempo, la siccità risulta essere uno dei motori della desertificazione e del degrado del territorio, che è tra le cause di aumento di fragilità degli ecosistemi e di problemi sociali, specialmente nelle comunità rurali.  Nell’Europa meridionale e nel Mediterraneo tale rischio è già elevato anche con un livello di riscaldamento globale di 1,5°C, e potrebbe acuirsi nel caso di un innalzamento di 3°C. L’adattamento attuale si basa principalmente su strutture che assicurino la disponibilità e la fornitura di risorse idriche che, nel caso di riscaldamento globale elevato, potrebbero diventare insufficienti. Vanno incrementate le opzioni di adattamento che si basino sulla migliore gestione della domanda di risorsa idrica, attraverso un contenimento dei prelievi e comunque un miglioramento del monitoraggio degli stessi, in certi casi anche proponendo uso di politiche un po’ più restrittive, revisione di tariffe, efficientamento degli acquedotti e conseguente riduzione delle perdite, ma anche gestione del territorio, maggior efficienza delle pratiche irrigue, miglior uso dell’acqua nell’agro-alimentare e tanto altro ancora…

  • Quasi fosse un “rovescio della medaglia”, a fronte di un riscaldamento climatico che potrà determinare gravi problemi di siccità e rischio calore, nell’area del Mediterraneo potremo attenderci una maggiore frequenza ed intensità di eventi estremi, che poi determinano inondazioni, con conseguenti danni a infrastrutture, insediamenti urbani, ecosistemi e con rischio aumentato anche di perdita di vite umane. Per fronteggiare tale rischio è necessario predisporre opere di difesa da rischio alluvione, costruzione di casse d’espansione e rafforzamento delle arginature fluviali per il contenimento dell’acqua in caso di alluvione, ed anche rendere sempre più efficienti i sistemi di allertamento (early warning system) nel “tempo reale”, in modo da informare sempre meglio e per tempo le popolazioni di un rischio alluvione imminente, affinché possano mettersi in sicurezza.
  • Vista la specificità dell’Area del Mediterraneo, va anche sottolineata l’importanza del rischio meteo-marino, innescato sia dall’aumento dell’innalzamento del livello del mare Mediterraneo, che potrà aumentare a causa del trend di riscaldamento a scala globale e continentale, sia dal possibile aumento di fenomeni di mareggiata, connessi ai più frequenti eventi estremi. L’innalzamento del livello del mare è stato di circa 1,4 mm/anno nel corso del XX secolo e adesso tale incremento è accelerato e ci si attende che continui a crescere in futuro a un tasso simile alla media globale, raggiungendo valori potenzialmente prossimi al metro nel 2100 in caso di un alto livello di emissioni. Innalzamento marino e aumentata frequenza di mareggiate causeranno susseguenti aumentati rischi di inondazione di aree costiere, che potranno risultare anche molto elevati per le persone e gli ecosistemi anche per l’aumentata esposizione delle popolazioni che vivono in prossimità delle coste. Va anche ricordato che a seguito del riscaldamento climatico potranno verificarsi anche impoverimenti degli ecosistemi marini, delle zone umide, e nelle aree di interfaccia mare-terra, così come la non meno rilevante possibile perdita, a causa delle più frequenti mareggiate, di coste sabbiose che sono di grande valore per gli ecosistemi costieri e anche per il turismo. Molteplici possono essere le azioni di adattamento, per diminuire tali rischi: dalle opere ingegneristiche per il contenimento dell’acqua, con preferenza per quelle rispettose della natura (le note nature based solution), l’arretramento delle linee di costa, in certi casi anche una più oculata gestione del turismo marittimo, e di nuovo tanto altro ancora…  
Conclusioni

Il clima del Pianeta ed anche nell’area del Mediterraneo è certamente destinato a mutare in maniera considerevole nel futuro. Sono da attendersi estati più calde e secche, autunni più umidi e un numero maggiore di eventi estremi. Per contrastare gli effetti sarà necessario, da parte delle comunità, mettere in atto una serie di ambiziose misure e politiche di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in atmosfera, in maniera coerente con il target sottoscritto con l’Accordo di Parigi che prevede di contenere l’aumento della temperatura media globale a +1.5 °C rispetto ai livelli pre-industriali.

Il cambiamento climatico interessa tutte le regioni in Europa, con effetti anche non omogenei. L’Europa sud-orientale e l’area del Mediterraneo sono, in Europa, le regioni certamente più calde e sensibili al riscaldamento anche in futuro, sia nei valori medi che negli estremi. I danni economici che il continente europeo e soprattutto l’area del Mediterraneo, dovranno sopportare dipenderanno dall’entità e dalla velocità con cui si mostrerà il cambiamento climatico. Questi danni potranno essere realmente molto elevati, anche con modesti livelli di cambiamento climatico, e potrebbero aumentare in modo significativo se si dovessero concretizzare gli scenari peggiori del riscaldamento, in assenza di azioni concrete anche di adattamento da parte delle nazioni. I danni previsti dal cambiamento climatico saranno più alti in Europa meridionale ed in particolare nell’area del Mediterraneo dove è anche il nostro Paese, e tale evidenza rende quanto mai necessario un velocissimo cambio di marcia nella azioni di adattamento, già per altro previste dalla Strategia di Adattamento definita da tempo in Italia (vedi link), che dovranno accompagnare le azioni di mitigazione attraverso la riduzione delle emissioni, anche da parte del nostro Paese, senza le quali anche l’adattamento può risultare poco efficace.

In definitiva, esistono tantissime opportunità di intervento nell’adattamento che possono risultare essenziali per la riduzione dei vari rischi e che, tra l’altro, rappresentano anche delle eccezionali opportunità per nuove opportunità di lavoro e quindi di sviluppo. E’ possibile coniugare, in tal senso, lavoro e tutela dell’ambiente e dei territori dai rischi indotti dai cambiamenti climatici.

Perché questa combinazione virtuosa si realizzi, è necessario investire con maggiore velocità sulla ricerca, favorire l’innovazione in tutti i settori e rafforzare sia un processo di condivisione di valori etici di giustizia sociale e  solidarietà, di cui parla anche papa Francesco nella sua enciclica Laudato Sii (vedi link), sia anche di nuove idee sulle quali possano mettersi a confronto attori aventi competenze anche diverse ma che solo se messe assieme e a  sistema permettono di creare efficaci e innovativi progetti multisettoriali di riduzione del rischio, offrendo allo stesso tempo nuovo lavoro a beneficio delle attuali e future generazioni.

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