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L’industria orafa-argentiera-gioielliera vale oltre 8 miliardi, bene gli stranieri | L’indagine di Mediobanca

L’industria orafa-argentiera-gioielliera è uno dei settori trainanti del Made in Italy che più ha contribuito a sviluppare l’immagine del nostro Paese in tutto il mondo, ma la rilevanza degli operatori a controllo estero appare evidente (per dimensioni più che per numerosità): il valore medio dei loro ricavi nel 2023 (203 milioni) è triplo rispetto alle società a capitale italiano (71,3 milioni), per un giro d’affari aggregato di 2,2 miliardi, pari al 26,7% delle vendite complessive.

Le società a proprietà estera crescono di più rispetto a quelle a controllo italiano sia sul 2022 (+15,5% vs +0,3%) sia sul 2021 (+39,3% vs +21,5%), in virtù del miglior andamento delle vendite oltreconfine. È quanto emerge dall’indagine dell’Area Studi di Mediobanca sul settore orafo-argentiero-gioielliero nel nostro Paese.

Nel 2023 al primo posto per ricavi si colloca Bulgari Gioielli (870 milioni) che precede Morellato (739 milioni) e PGI (566 milioni). Seguono Damiani (334 milioni) e UnoAerre Industries (264 milioni). Tra le 11 società a proprietà estera, cinque sono riferibili ad azionisti francesi, tra cui Lvmh con tre controllate (Bulgari Gioielli, Vpa – Villa Pedemonte Atelier e B.M.C.), e la connazionale Kering (Pomellato). Due società (PGI e Buccellati) fanno invece parte del colosso svizzero Richemont che, nel corso del 2024, ha esteso la propria presa sull’alta gioielleria italiana con l’acquisizione di Vhernier.

Complessivamente, dopo il boom del 2022, nel 2023 i 97 maggiori produttori di preziosi attivi in Italia hanno complessivamente fatturato 8,4 miliardi (+3,9% sul 2022 e +25,8% sui livelli del 2021), con l’impiego di quasi 16.300 dipendenti. Nei primi 10 mesi del 2024, i ricavi dell’industria dei preziosi risultano in rialzo del 5,8% (dati Istat).

Per quanto riguarda le aspettative per il 2025, il 47,5% delle società prospetta una stabilità del volume d’affari rispetto al 2024, il 31,2% si attende un peggioramento, mentre la residua quota del 21,3% ha un sentiment positivo.

La redditività degli operatori del settore è salita dal 6,3% del 2021 al 7,8% nel 2022, per poi migliorare ulteriormente all’8,5% nel 2023. I risultati netti realizzati dall’industria dei preziosi appaiono positivi e in tendenziale crescita: nel triennio l’aggregato ha contabilizzato utili per 1,2 miliardi. È trascurabile il rapporto diretto con i mercati finanziari. Solo la Fope è trattata all’AIM, mentre le azioni di Damiani sono state collocate in Borsa nel novembre 2007, per essere poi revocate nel 2019.

Solo i maggiori operatori, spesso appartenenti a maison estere della moda, e i pochi top player indipendenti dell’alto di gamma – sottolinea Mediobanca – hanno le risorse finanziarie necessarie per strutturare un’adeguata rete di vendita e sostenere le ingenti spese pubblicitarie che consentono di rivolgersi direttamente al grande pubblico. Chi può contare su un network di proprietà (e/o in franchising) è in grado di saltare, almeno in parte, i passaggi intermedi ed estrarre dal business il maggior valore aggiunto altrimenti da condividere con grossisti, buyer internazionali e altri intermediari.

Inoltre, l’affermarsi di nuove geografie produttive ha acuito la competizione internazionale, con l’ascesa di numerosi Paesi che, sfruttando il basso costo del lavoro e adottando talvolta politiche di imitazione, erodono il posizionamento dell’Italia, soprattutto nelle linee unbranded e a minor valore aggiunto.

Cina e India sono il primo e il terzo esportatore mondiale di preziosi, detenendo insieme alla Svizzera (secondo esportatore in qualità di hub e paese di transito dei prodotti orafi italiani e francesi) un terzo circa dell’export complessivo. L’Italia è in quinta posizione, con una quota dell’8,7%.

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