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[L’analisi Esclusiva] L’Italia avrà dall’Europa 315 miliardi. Ma vi spiego perché rischiamo di perderli

E’ un po’ come con le letterine di Natale.

Si scrivevano per tempo e poi si andava a controllare sotto l’albero che fossero arrivati i regali richiesti.

Ed ecco che, travestite da Babbo Natale (ci guarderemo bene dal chiamarle Befane), Ursula von der Leyen e Christine Lagarde hanno fatto quanto era stato chiesto, anzi, anche qualcosa di più.

Il fatto che non si tratti di una sorpresa non rende meno ricchi i regali.

La scorsa settimana, infatti, giusto in tempo per Natale, la Ue ha finalmente varato il nuovo bilancio comunitario, piano straordinario anti Covid compreso.

E, contemporaneamente, negli stessi giorni, la Bce ha ricalibrato – per usare il termine scelto dalla Lagarde, ma sarebbe più esatto dire ricaricato – il suo bazooka per sostenere gli sforzi contro la recessione dei singoli paesi.

Le promesse sono state mantenute, l’Europa ha fatto la sua parte.

Ora tocca a noi. Perché è difficile sottovalutare quello che arriva da Bruxelles e da Francoforte. Per dirla in due parole e senza andare troppo per il sottile: per la prima volta in 30 anni siamo senza debito, senza deficit, senza spread e abbiamo un mucchio di soldi da spendere.

A guardar bene dentro il pacchetto appena incartato del nuovo bilancio settennale Ue abbiamo, in effetti, più soldi di quelli di cui abbiamo parlato finora.

Non 209 miliardi di euro, ma, considerate anche le poste ordinarie di bilancio, appena meno di 315.

Esattamente, 185 miliardi di prestiti e 129,7 miliardi di sussidi a fondo perduto. Visto che, normalmente, non riusciamo a spendere neanche le poste ordinarie, il problema di mettere finalmente a frutto la dote che ci arriva da Bruxelles tocca, infatti, tutti i fondi Ue.

Come si arriva, dunque, a 314,7 miliardi?

Nella casella delle sovvenzioni a fondo perduto ci sono i 65,4 miliardi destinati all’Italia dal Next Generation Eu, lo strumento principale degli investimenti per la ripresa, a cui bisogna aggiungere i 10,7 miliardi di ReactEu, i fondi straordinari in più per il riequilibrio territoriale post pandemia.

Ma poi ci sono le poste di bilancio extra Covid: i 900 milioni del Just Transition Fund per aiutare la riconversione produttiva che riduca le emissioni di anidride carbonica; i 10,7 miliardi per lo sviluppo delle campagne e i 42 miliardi di abituali finanziamenti strutturali per le regioni più povere. Il totale fa 129,7 miliardi di sussidi a fondo perduto.

Poi ci sono i prestiti.

Il Next Generation Eu ne mette a disposizione per 122 miliardi di euro a cui vanno aggiunti i 27 miliardi del Sure, da utilizzare per rimpolpare i fondi per la cassa integrazione dei lavoratori.

Per arrivare ai 185 miliardi messi nero su bianco ne mancano 36: quelli che fornirebbe il ricorso allo sportello sanità del Mes, eterno oggetto del desiderio e della ripulsa, all’interno della maggioranza di governo.

Prestiti e sovvenzioni sono la benzina di marca europea che dovrebbe consentire all’Italia di uscire dal circolo vizioso fra recessione e stagnazione, in cui è prigioniera da trent’anni.

Riusciremo a spenderli?

Le premesse non sono incoraggianti: normalmente non riusciamo a spendere più del 40 per cento dei fondi che ci mette a disposizione Bruxelles: su 315 miliardi ne resterebbero inutilizzati, quasi 200.

E la Ue ha già detto che non ci sarebbe modo neanche per una corsa disperata a spenderli a fine bilancio: se le scadenze di spesa non saranno rispettate, i soldi torneranno subito alla base.

Ma prestiti e sussidi sono solo un braccio del fattore Europa.

L’altro è la rete di sicurezza che ci ha costruito intorno la Bce per consentirci di spendere quei soldi rendendone conto solo a Bruxelles e non ai mercati che, abitualmente, ci finanziano.

In questo momento, infatti, l’enorme zavorra del debito pubblico che da anni azzoppa l’Italia, di fatto, non esiste.

O, più esattamente, è al sicuro nel freezer, il posto più vicino alla cancellazione, pura e semplice, del debito che i trattati europei oggi consentano.

Per i prossimi tre anni – hanno annunciato la scorsa settimana a Francoforte – gli investimenti della Bce sui titoli di Stato europei verranno, infatti, sistematicamente rinnovati alla scadenza.

Fino al 2023, almeno (ma, probabilmente, assai più a lungo) il Tesoro non dovrà, dunque, ripagare un euro dei prestiti contratti nella tormenta dell’epidemia. Nel senso, cioè, che non dovrà ripagare la Bce.

Ma, la banca centrale, in questo momento, è di gran lunga il maggior creditore del Tesoro italiano: di fatto, nel 2020, avrà comprato 170 miliardi di euro di Btp, quanto basta per coprire tutto il deficit pubblico di quest’anno e, probabilmente, altrettanto avverrà nel 2021.

Debito congelato, disavanzo sistemato significano anche spread disattivato. La differenza di rendimenti fra Btp e Bund tedesco è, infatti, ai minimi storici e il peso degli interessi sul debito rispetto alla spesa pubblica è calato a picco: i titoli decennali pagano circa lo 0,60 per cento e per sottoscrivere gli ultimi quinquennali gli investitori hanno dovuto anche sborsare qualcosa, visto il rendimento sotto zero. Solo in interessi, risparmieremo due miliardi di euro.

Insomma, Natale ci regala una sorta di bolla, in cui affrontare i nostri problemi di fondo, senza preoccupazioni di altro genere.

Buon Natale allora.

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