“L’Europa non sta perdendo la sfida economica con le altre potenze globali, Cina e Stati Uniti.
L’ha già persa, a causa della propria frammentazione.
Se vuole recuperare terreno per salvare il proprio modello sociale e politico deve pensarsi come un’unica entità sovranazionale”.
Andrea Bonanni su Repubblica cita il rapporto di Draghi che, scrive l’editorialista, “è molto articolato ed entra nel dettaglio di tutti i settori in cui l’Europa ha perso competitività.
Ma la critica di fondo a quanto è stato fatto finora è più generale e filosofica.
Insomma, per decenni gli europei si sono fatti concorrenza tra loro, mentre il resto del mondo, «che non rispetta più le regole», faceva concorrenza all’Europa.
Inutile dire chi ha vinto.
«Ci manca una politica industriale unica.
Ci manca una strategia su come tenere il passo in una corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie.
Oggi investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate rispetto a Stati Uniti e Cina, anche per la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 a livello mondiale».
La sua visione federalista dell’Europa – ricorda Bonanni – non è certo un segreto da quando, come presidente della Bce, salvò l’euro dagli assalti speculativi dei mercati internazionali con il suo famoso «whatever it takes».
Ma la tempistica dell’intervento di ieri fa assumere un significato particolare alle sue parole.
Non è un segreto che il nome dell’ex capo del governo italiano sia entrato nella rosa ristretta che si trova sul tavolo dei leader europei per la nomina del presidente della Commissione e del presidente del Consiglio Ue.
A suo favore gioca una reputazione internazionale indiscussa di competenza, serietà e acume politico.
Contro di lui c’è il fatto che non appartenga a nessuno dei tre gruppi politici, popolari, socialisti e liberali, che di solito si spartiscono le poltrone al vertice della Ue.
Come è nel suo carattere, solo apparentemente sommesso, ha lanciato una sfida ai governi e anche ai partiti europei.
Certo ciò non gli spiana necessariamente la strada.
Ma, a partire da ieri, il suo nome sta in una casella a parte nella rosa dei candidati.
Scegliere lui – conclude – vuol dire scegliere di cambiare la storia dell’Europa, e anche il suo destino”.