L’ambientalismo talebano sulle auto l’elettriche “non è una religione”. Lo sottolinea il ministro per il Made in Italy Adolfo Urso. Il ministro spiega che non si tratta di rinunciare alla transizione ecologica ma, in risposta al vice presidente della Commissione Ue Franz Timmermans sottolinea: “gli obiettivi vanno bene, ma l’elettrico è una tecnologia, non una religione. Perciò, restando all’automotive, noi sosteniamo che l’impronta ecologica non si può misurare solo al tubo di scappamento. Serve un calcolo più ampio, che parta dalla produzione e comprenda lo smaltimento. Per questo noi italiani sosteniamo l’idrogeno e i biocombustibili. I tedeschi, i combustibili sintetici. Dico: la stessa Commissione intanto ci chiede di diventare più autonomi nella produzione di materie prime critiche”. La strada di aprire giacimenti di litio sul nostro territorio e una lavorazione che ha costi ambientali altissimi è impervia. “Li voglio vedere gli ecologisti talebani che ora protestano. Ma per questo serve una politica industriale nazionale ed europea: se l’Europa non reagisse con la stessa politica industriale assertiva di Cina e Usa, saremmo costretti a soccombere”. Ora, conclude, “noi ovviamente siamo molto attenti alla nostra cultura e alla nostra storia, ma non vogliamo ritrovarci ad essere un polo museale all’aria aperta per ricchi turisti asiatici o americani”. L’appello di Maurizio Landini per uno sciopero generale è un «richiamo della foresta». Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, liquida le parole del leader della Cgil anche se certo il governo di destra-centro non poteva attendersi troppo condiscendenza. «Penso che Landini l’abbia fatto per recuperare quella base più ideologica che è rimasta spiazzata al successo di Giorgia Meloni. È come se avesse voluto prendere le distanze, resosi conto di una accoglienza comunque positiva del congresso e certamente dell’eco che si è avuto tra i lavoratori». La Cgil sostiene che la riforma delle tasse non è equa. «Eppure così come è formulata è di supporto ai ceti popolari e produttivi»
