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Le scuole del Sud hanno un cancro che si può curare | L’analisi di Giuseppe Coco

Il governo ha approvato un decreto che inserisce il punteggio Invalsi come elemento di valutazione all’interno del curriculum dello studente rilasciato al termine del percorso di studi. Si tratta della rottura di un tabù, nel senso che la strenua opposizione al riconoscimento dell’Invalsi come strumento di valutazione individuale da parte degli insegnanti, ha sempre impedito che il test andasse oltre la valutazione statistica/collettiva.

Proprio però il registrarsi delle grandi anomalie geografiche, la correlazione inversa tra punteggi Invalsi e punteggi medi e soprattutto eccellenti all’esame di Stato, deve necessariamente condurci ad una riconsiderazione di quella posizione.

Da questa riconsiderazione a guadagnarci di più sarebbe sicuramente il Mezzogiorno. E’ assurdo infatti non collegare la straordinaria generosità delle votazioni nel sud alla scarsissima performance nei test invalsi. Sono due facce dello stesso fenomeno.

Dobbiamo infatti chiederci chi ha maggiormente sofferto in anni recenti dallo smantellamento della scuola nazionale, con le sue standardizzazioni. E la risposta necessaria è: gli studenti del Mezzogiorno, per i quali gli standard di insegnamento e di valutazione si sono irrimediabilmente abbassati.

Ogni elemento che uniformi le valutazioni non può che essere una spinta per riportare i nostri standard a un livello accettabile. Alcuni detrattori sostengono che la natura del test INVALSI è tale da stimolare tecniche di apprendimento deteriori, attraverso una standardizzazione della valutazione con risposte multiple, che non favorisce un autentico sviluppo intellettuale. C’è del vero in questo e se Invalsi fosse la sola forma di valutazione, certamente queste critiche sarebbero fondate. Ma esse vanno bilanciate con la constatazione che altre forme di valutazione sono necessariamente più discrezionali, e quindi potenzialmente distorte da una congerie di elementi, dalla classe sociale alla collocazione geografica e si prestano a opportunismi.

Per coincidenza qualche giorno fa Riccardo Vigilante, con grande amarezza, ha spiegato meglio che qualunque saggio sociologico le ragioni della pessima performance del Sud nell’INVALSI:

  1. Gli studenti e gli insegnanti non sono motivati, non essendo parte della valutazione finale, e si rifugiano in recriminazioni su un presunto svantaggio sociale o sistemico anche quando totalmente prive di fondamento (ad esempio in contesti privilegiati): E’ la pseudo-sociologia dominante;
  2. Insegnanti che rifiutano radicalmente ogni prova comparativa sulla base di formule ideologiche dietro le quali si intravede una chiara impreparazione e cialtroneria;
  3. Le attività addizionali (uscite didattiche e conferenze) si sono espanse in maniera irragionevole e questo non consente il completamento dei programmi. Ciò accade in particolare nel Sud dove l’abbondanza di fondi, anche dalla coesione, permette attività extra-scolastiche ridondanti. E’ un vero cancro per gli apprendimenti.

 Ci vuole molto coraggio per dire queste cose apertamente. In particolare, l’ipocresia dilagante sulle attività extra-scolastiche, e il loro inevitabile impatto negativo sugli apprendimenti vanno affrontate con urgenza. L’assenza di continuità nell’attività didattica nelle materie fondamentali non può che ripercuotersi sulle competenze fondamentali. Che ricordiamolo sono: capacità linguistiche (comprensione e elaborazione testi), capacità logico-matematiche e scientifiche. Questi sono i presupposti per ogni altro tipo di conoscenza e, direi, di civiltà.

La maniera che il Governo ha scelto è interlocutoria. A mio parere si dovrebbe rompere più drasticamente il tabù dell’utilizzo dell’Invalsi. La prova dovrebbe contare (in misura ragionevole) ai fini dell’esame finale, le prove dovrebbero essere vigilate e i risultati dovrebbero essere oggetto di riflessione nei Consigli di Classe. Allo stesso modo va ricostruita la credibilità dell’Esame di Stato come prova di maturità, anch’essa standardizzata. Una possibilità è quella di ristabilire la presenza di un membro esterno, proveniente da altra circoscrizione, utilizzando in maniera appropriata i mezzi telematici che ormai consentono ampiamente la partecipazione a Commissioni a distanza.

Questo perché ad essere interessati alla credibilità e spendibilità ovunque del titolo di studio siamo soprattutto noi meridionali. E anche per dimostrare, con un minimo di orgoglio, che i punteggi Invalsi che vediamo ora sono falsati dalla scarsa motivazione e non riflettono la vera distanza culturale tra il nord e il sud del paese.

(Pubblicato sul Corriere della Sera – Edizione Mezzogiorno)

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