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L’Europa è debole. Serve autonomia strategica. L’elenco dei problemi nel Rapporto Letta | L’analisi di Giuseppe Coco

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Enrico Letta ha licenziato il Rapporto sul Mercato Unico richiesto dalla Commissione. Si tratta di una lettura tipica per un documento di una istituzione europea, nei quali non è sempre immediato capire quanto c’è di sostanziale dietro una riaffermazione di tutti i principi base dell’Unione e qualcuno in più che viene aggiunto di volta in volta. Nell’ordine l’integrazione del mercato unico dovrebbe essere approfondita nelle dimensioni finanziarie, nelle reti di trasporto, nei mercati energetici, nell’industria della difesa. L’integrazione dovrebbe essere finalizzata (in maniera non dirigistica) alla creazione di campioni dimensione mondiale per fronteggiare la concorrenza cinese e americana, ma aumentandone le potenzialità per le piccole e medie imprese e preservando la politica di competizione dell’Unione.

L’unione dovrebbe semplificare le regole di accesso ai mercati e agli investimenti, ma preservando il ruolo di leader nella regolazione. Si dovrà procedere speditamente all’allargamento, ma preservando la dimensione sociale dell’Unione e i cittadini delle regioni perdenti nell’integrazione. In altri termini il documento non pone apparentemente problemi di incompatibilità anche parziale tra gli obiettivi. È scritto nel più puro stile ‘ma anche…’ (come nella famosa imitazione che il grande Corrado Guzzanti faceva di Veltroni).

E tuttavia non è difficile rendersi conto di quali siano le vere raccomandazioni in rapporto alle deficienze denunciate nel Rapporto. L’Unione Europea ha perso competitività rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti (si menziona la produttività) essenzialmente per effetto della frammentazione. Frammentazione di regole, di operatori economici, di mercati. A leggere questa diagnosi (e alcune delle raccomandazioni concrete), il Rapporto raccomanda una sostanziale centralizzazione di poteri di regolamentazione e di pianificazione e finanziamento di infrastrutture. Senza richiamare esplicitamente politiche protezionistiche (ed anzi enfatizzando l’importanza del libero commercio), Letta fa notare che nei settori cruciali dell’innovazione, la difesa, le comunicazioni e l’energia l’Europa è in uno stato di dipendenza strategica da terze parti anche in senso industriale.

La ‘chiamata all’azione’ riguarda quindi primariamente questo punto, la costruzione dell’autonomia strategica che non può essere generata senza un rafforzamento sostanziale del livello di governo europeo e una ulteriore concentrazione dei mercati. Implicitamente questo significa ulteriore accelerazione della delega di poteri in materia economica dai paesi membri. L’accelerazione dell’allargamento viene anche declinata nell’ottica della costruzione di un mercato di dimensione maggiore, e quindi più efficiente (ma anche dell’indipendenza strategica).

Tra tutti i paesi probabilmente l’Italia ha alcuni interessi alla integrazione, ma potrebbe anche subire alcuni effetti negativi. Non a caso i due rapporti cruciali sul futuro dell’Unione sono stati affidati a due italiani (Letta e Draghi). Procedere sulla strada dell’integrazione al momento appare la sola credibile strategia per evitare nel medio termine una ulteriore crisi del debito, partecipando alle decisioni in una posizione paritaria finché questo sarà possibile. Allo stesso tempo considerando che abbiamo perso in quasi tutti i settori imprese di dimensione continentale, ormai integrate nei colossi tedeschi o francesi, una vera de-nazionalizzazione dell’industria con creazione di campioni autenticamente europei, potrebbe essere un vantaggio per chi non ha campioni nazionali (salvo le imprese pubbliche).

Ma l’approfondimento dell’integrazione porterà con sé quasi certamente una ulteriore tendenza centripeta nelle attività economiche e nell’innovazione che potrebbe marginalizzare ulteriormente il nostro paese, considerando che, non solo il nostro Mezzogiorno, ma anche le nostre regioni settentrionali perdono continuamente posizioni nelle classifiche di competitività. Inoltre, l’allargamento, probabilmente inevitabile, impatterà necessariamente sulle regioni meridionali, sia attraverso una ancor minore attrattività rispetto a paesi con un costo del lavoro molto minore, sia attraverso una diminuzione dei fondi di coesione a politiche inalterate. Forse per questo Letta prefigura uno specifico strumento finanziario separato per i paesi nuovi entranti.   

Di certo la traccia del Rapporto è in forte contraddizione con la legge sull’autonomia differenziata che consente il trasferimento di competenze persino in materia di grandi reti di comunicazione ed energia, per non parlare dei rapporti con l’Unione, alle regioni che le hanno puntualmente richieste. Inutile dire quanto appaia anacronistica quella possibilità alla luce di quanto sta succedendo nel mondo e dei nostri interessi nazionali.

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