Addio, dopo sette anni, agli acquisti di debito pubblico da parte della BCE. E addio anche all’epoca dei tassi d’interesse negativi, con un primo rialzo a luglio da un quarto di punto, cui ne seguirà un altro già a settembre probabilmente da mezzo punto. Quanto allo ‘scudo anti-spread’, Francoforte s’impegna, per il momento, solo verbalmente e senza darsi una soglia oltre la quale intervenire.
La scelta della Bce
Il meeting di giugno della BCE, questa volta in trasferta ad Amsterdam, non poteva avere una sede più appropriata di quella offerta dalla banca centrale olandese dove siede il ‘falco’ Klaas Knot. Perché fra rischi di un’inflazione fuori controllo per la guerra e i prezzi energetici, e rischi di recessione causati dai prezzi alle stelle, la BCE ha deciso di dedicarsi ai primi, mettendosi sulla scia già tracciata dalla Fed. Che domani dovrà digerire i nuovi dati sull’inflazione di maggio: si attende un rallentamento dal picco dell’8,3% che, se smentito, renderebbe più difficile un ‘atterraggio morbido’ per evitare la recessione.
La reazione degli investitori
E’ in questo clima che gli investitori hanno accolto le decisioni annunciate dalla presidente della BCE Christine Lagarde, con un balzo del rendimento del Btp decennale fino a +25 punti base oltre il 3,6%, e dello spread fino a un soffio da 218 (216 in chiusura) correggendo i livelli più alti dal maggio 2020. E con una decisa correzione delle Borse fino a oltre -2% per Milano (-1,9% in chiusura), -1,5% per Parigi, -1,7% per Francoforte con anche Wall Street in rosso. Il decennio della quasi-deflazione, che richiedeva di remunerare con tassi negativi chi s’indebitava, è finito, “siamo in un diverso universo”, ha detto Lagarde. “Faremo in modo che l’inflazione (8,1% a maggio, ndr) torni all’obiettivo” del 2%. Per arrivarci, la BCE ha per prima cosa deciso di chiudere con l’epoca del ‘quantitative easing’. Stop agli acquisti netti di titoli dal 1 luglio.
Cambiamento epocale
Un cambiamento epocale per i Paesi con più debito, che nel 2020 e 2021 avevano visto finanziarsi l’intero fabbisogno da Francoforte. La BCE ha oggi in pancia circa 727 miliardi di euro di titoli di Stato della sola Italia. Inevitabili le ripercussioni sullo spread. Il ‘piano A’ della BCE, per intervenire nel caso si raggiunga il livello di guardia, è usare con flessibilità (e magari finanziando progetti ‘green’) i reinvestimenti dei bond comprati col programma pandemico ‘Pepp’ che arrivano a scadenza. Se ciò non bastasse “siamo pronti a dispiegare un aggiustamento degli strumenti esistenti, o nuovi strumenti”, “non tollereremo” frammentazione finanziaria, assicura Lagarde.
Per il momento il ‘piano B’ è un impegno verbale, accompagnato dalla precisazione che “non c’è alcuno specifico livello dei tassi delle obbligazioni o dei prestiti, o degli spread sui bond che attiverà questo o quell’intervento”. Segno che ci sono divisioni nel Consiglio BCE e che è meglio non legarsi le mani. “E’ ragionevole ipotizzare che questo strumento vernga creato solo in seguito a tensioni molto marcate sul debito nella periferia dell’eurozona. Non ci siamo ancora vicini”, commenta Pasquale Diana, responsabile della ricerca macro di AcomeA Sgr. Chiuso il Qe, il passaggio successivo è già al meeting del 21 luglio, quando la BCE “intende alzare i tassi d’interesse di 25 punti base”.
Il bis
Poi quello del 22 settembre, in cui ci sarà il bis e “un incremento maggiore sarà appropriato” (ossia da 50 punti base, come sta facendo la Fed) se le stime d’inflazione di medio periodo non scenderanno rispetto a previsioni che ad oggi danno 6,8% quest’anno, poi nel 2023 3,5% e 2,1% nel 2024. Senza escludere uno scenario da ‘shock energetico’ che porterebbe i prezzi all’8% nel 2022 e al 6,4% nel 2023, prima di rallentare all’1,9% nel 2024. Dopo settembre, per i tassi c’è da attendersi “un ritmo graduale, ma sostenuto, di ulteriori aumenti”.E’ un po’ la strategia della Fed: non ripetere l’errore del lassismo di fronte alla crisi energetica degli anni settanta, che fu preludio di una drastica cura di austerity. Per la Bce, con l’Europa così esposta all’impatto della guerra, è un equilibrio sul filo del rasoio. I rischi vengono dagli impatti di una possibile escalation della guerra di Putin e da eventuali, ulteriori shock energetici: nello scenario più negativo della Bce, la crescita del 2022 dall’ipotesi base già ridotta drasticamente al 2,8% verrebbe più che dimezzata all’1,3%, e diverrebbe negativa nel 2023 (-1,7%).
La fine del whatever it takes
La svolta della Bce e i falchi che tornano a Francoforte. “È la fine di un’era. L’era del «whatever it takes» di Mario Draghi, il decennio del denaro che costava poco, o addirittura nulla e in cui la Banca centrale europea acquistava senza sosta titoli di Stato termina ieri nel primo pomeriggio con un comunicato dei banchieri centrali europei: la Banca Centrale europea tira fuori il suo ago e fa scoppiare il palloncino con cui l’economia reale giocava illudendosi di essere serena dal maggio 2011, data dell’ultimo rialzo dei tassi nell’eurozona. Ai mercati finanziari fa male – ieri ribassi generalizzati sulle Borse – ma non è certo una sorpresa. I due nemici che ogni banchiere centrale deve temere – la bassa crescita da una parte e l’inflazione dall’altra – sono entrambi in armi, ma oggi è proprio la corsa dei prezzi, che nell’eurozona ha superato l’8% anno su anno, che fa tremare Francoforte”.
Ne parla Francesco Manacorda su Repubblica:
“Il rialzo non è una sorpresa, dunque, anche se rischia di suonare molto contraddittorio: se l’economia va male e rallenta – insegnano i manuali – la Banca centrale abbassa i tassi e non li alza, per far circolare più facilmente il denaro. Ma se l’economia va male – spiegano gli stessi testi – di solito l’inflazione non si fa vedere, mentre adesso è proprio la corsa dei prezzi che fa da protagonista. E l’inflazione – sottolinea Manacorda – assieme al rallentamento della crescita è un mix che per tutti noi, non solo i banchieri centrali, è venefico. Per l’Italia poi c’è un problema in più e si chiama – come è ovvio – debito pubblico”.
L’aquila di Mosca ha fatto alzare in volo i falchi di Francoforte
“La presidente della Bce Christine Lagarde, ha spiegato che la banca vuole evitare la “frammentazione” dei costi di finanziamento dei singoli Stati, ossia che per l’Italia prendere soldi in prestito attraverso l’emissione di titoli di Stato paghi interessi più alti di Paesi maggiormente affidabili, come la Germania. Ma Lagarde non ha spiegato come questo avverrà. Non è una buona ricetta per garantire calma e stabilità sui mercati finanziari e la fiammata dello spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi di ieri sta là a dimostrarlo. Da ieri anche nella placida Europa si sentirà qualche effetto, sebbene indiretto, di quel conflitto. L’aquila bicipite di Mosca ha fatto alzare in volo i falchi di Francoforte”.
Reazione e non azione
“La Bce non fa che reagire all’onda lunga di rincari, prodotti o aggravati dalla guerra, su beni che l’Europa compra dal resto del mondo. In questo l’area euro non somiglia agli Stati Uniti, anche se in entrambe le aree l’inflazione corre un po’ sopra l’8%. Lì sussidi federali da 2.800 miliardi hanno surriscaldato l’economia fino a un aumento della domanda interna di quasi il Tx rispetto agli anni pre-Covid. In area euro invece siamo a stento tornati al livelli di consumi e investimenti di prima della pandemia, secondo i dati della Commissione Ue.
Lo scrive Federico Fubini nel suo editoriale di commento per il Corriere.
“Si può pensare all’inflazione europea più come a una tassa da circa due punti di prodotto interno lordo che paghiamo ad Arabia Saudita, Algeria, Norvegia o a Putin stesso per materie prime il cui prezzo oggi è andito dal rombo del cannoni nel Donbass. Tacessero questi, quello crollerebbe. Ma poiché non tacciono, la Bce vuole rallentare il resto dell’economia perché tutti gli altri prezzi — quelli interni — frenino o scendano. Se questa era una trappola di un ex tenente colonnello del Kgb, la Bce rischia seriamente di caderci. E emblematico che la Banca centrale ieri abbia alzato le sue «proiezioni» di Inflazione in zona euro di quest’anno, ma abbia ridotto quelle di crescita: la stima di un’espansione del 2,8% nel 2022 non deve ingannare, perché in gran parte è l’effetto d’abbrivio dall’anno scorso mentre ora l’economia è molto lenta”.
Per l’Italia cambia tutto
“E sintomatico anche che ieri l’euro si sia indebolito sul dollaro, anziché rafforzarsi con l’impennata dei rendimenti europei: qualcuno sente odore di recessione. Ma farsi illusioni non avrebbe senso. Questo cambio di stagione doveva comunque arrivare. Magari con più cautela o qualche garanzia in più i Paesi fragili, ma la Bce doveva comunque smettere di comprare titoli di Stato e alzare i tassi oggi sottozero. Restare inchiodati al mondo di ieri non era possibile, né può farlo l’Italia. Solo la cecita di parte della classe politica poteva far pensare che del debito di Roma ci si sarebbe occupati per sempre a Francoforte. I numeri dell’ultimo rapporto sulla sostenibilità della Commissione Ue sono chiari: in media fino al 2032 ha il maggior bisogno di prestiti lordi in Europa (oltre un quarto del Pii all’anno) e fra dieci anni può avere il debito pubblico più alto (oltre il 160% del Pit). Significa che da ora ogni euro di deficit va sottoposto a un test rigoroso: se e come aumenta stabilmente la capacità del Paese di crescere non fra sei settimane, ma fra sei anni. Sottoporre ogni decisione a quel test, è una promessa che tutti i partiti dovrebbero fare in vista del voto del 2023”.