Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

[L’analisi esclusiva] Le riforme strutturali che fanno bene all’Italia. Ecco quali sono quelle che hanno fatto crescere il PIL

Le riforme strutturali sono oro per un Paese, ripete un mantra che sentiamo da decenni.

Questo è mancato all’Italia, si dice, ed è la vischiosità di un sistema che frena e depotenzia innovazioni che ridisegnino le strutture portanti dell’architettura dell’economia la zavorra che impedisce uno sviluppo paragonabile a quello degli altri paesi vicini: senza riforme, la produttività continuerà a muoversi a passo di lumaca.

L’eco rimbalza in Europa.

Fate le riforme, ripetono i governi rigoristi, ogni volta che l’Italia sfiora una crisi.

L’offensiva anti-Covid e il generoso pacchetto di aiuti messo sul tavolo dall’Europa per rilanciare e ammodernare l’economia hanno messo il turbo a questo dibattito.

Non c’è intervento pubblico, in questi giorni, che non parta e ritorni al punto: riformarsi o perire.

Be’, è giusto così. Le riforme strutturali sono effettivamente il percorso virtuoso per il rilancio del paese.

Perché funzionano davvero, non solo negli appelli dei politici.

Gli effetti non si verificano subito: occorrono alcuni anni perché le nuove norme incidano in profondità.

Ma sono benefici cospicui e duraturi, che si traducono in una economia più larga e più forte.

Alcune delle riforme avviate in questo decennio hanno già comportato solidi aumenti del Prodotto interno lordo, destinati a restare.

Fino al 6 per cento in più, finora, che, tenendo conto degli ulteriori effetti nei prossimi anni, possono arrivare a determinare, in via permanente, fino a 8 punti percentuali di Pil in più.

Ecco perché le riforme strutturali sono oro nel senso letterale: in soldoni, quelle riforme hanno già prodotto una economia più ricca anche di 100 miliardi di euro, rispetto a quanto sarebbe avvenuto senza di esse.

E, nei prossimi anni, quei 100 miliardi in più potrebbero lievitare fino a 130-140 miliardi.

Il calcolo lo fa una ricerca appena pubblicata dalla Banca d’Italia e si riferisce specificamente a tre pacchetti di riforme strutturali: la liberalizzazione dei servizi attuata dal governo Monti con il decreto Salva Italia del 2011 (quello che tutti ricordano per le parti lacrime e sangue di tagli e tasse); il pacchetto di incentivi alle imprese del 2016, noto come Innovazione 4.0; la serie di interventi per snellire la giustizia civile.

E il Jobs Act, osannato e contestato, a cui il governo Renzi legò la sua eredità?

Nell’elenco non c’è perché non ci sono abbastanza dati per misurarne gli effetti, cosa invece possibile, in base al modello econometrico costruito dai ricercatori di Via Nazionale, per la liberalizzazione dei servizi, l’Industria 4.0 e la giustizia civile.

L’impatto più solido e pervasivo sul Pil nazionale lo determina la  liberalizzazione dei servizi, anche perché, risalendo al 2011, ha avuto più tempo per penetrare nel tessuto dell’economia.

Inoltre, per il suo carattere generale, ha interessato ogni angolo e ogni cantone del paese.

Con il decreto Salva Italia del 2011, infatti, sono state spazzate via tutte le restrizioni e i vincoli sull’apertura dei nuovi esercizi commerciali e sui loro orari e, contemporaneamente, sono stati aboliti i vincoli corporativi su onorari e parcelle di molte professioni.

Questa massiccia iniezione di concorrenza, secondo Bankitalia, ha determinato una riduzione dello 0,7 per cento dei prezzi, ma, soprattutto, uno scatto, pari al 4,3 per cento, della produttività di settori, come quelli dei servizi, tradizionalmente letargici.

Industria 4.0 è il nome, ormai standardizzato, degli interventi a favore delle imprese.

Lo studio della Banca d’Italia fa riferimento al pacchetto varato nel 2016 dal governo Renzi, che comprendeva incentivi agli investimenti (rendendo più veloci gli ammortamenti), all’innovazione, alla digitalizzazione e alla spesa per Ricerca & Sviluppo.

Anche qui, la riforma ha avuto l’effetto di una frustata sulla produttività.

Le modifiche, le innovazioni,  gli ammodernamenti stimolati dalla riforma hanno alzato dell’1,4 per cento il livello di produttività delle imprese.

Per la giustizia civile lo studio si concentra sulla serie di interventi di riorganizzazione territoriale e logistica, di diffusione del ricorso alle tecniche informatiche, alle alternative non giudiziarie introdotte, messi in atto nell’ultimo decennio.

La paralisi della giustizia civile, la difficoltà di risolvere, per via giudiziaria, controversie di lavoro e di affari è, in effetti, il capitolo su cui più spesso insistono le imprese straniere, quando parlando della difficoltà di investire in Italia.

All’inizio del decennio, in effetti, c’erano 3,5 milioni di casi pendenti nel sistema.

Gli interventi li hanno ridotti di oltre un quarto e hanno limato gli interminabili tempi di decisione.

Nessuna di queste riforme ha risolto una volta per tutte i problemi affrontati.

Liberalizzazioni dei servizi, ammodernamenti delle imprese, sveltimento della giustizia sono ancora nel menu delle cose da fare e nell’agenda del Recovery Fund, ma lo studio Bankitalia mostra che non sono impegni velleitari.

Senza quelle tre riforme, avremmo lo 0,3 per cento in più di disoccupati e lo 0,4 per cento in meno di posti di lavoro.

SCARICA IL PDF DELL'ARTICOLO

[bws_pdfprint display=’pdf’]

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.