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La trasformazione green si fa con le aziende: ecco la lezione che arriva dagli USA | L’analisi

Stefano Firpo è direttore generale di Assonime, l’associazione di oltre 400 imprese italiane, dopo una lunga esperienza ai  vertici del ministero dello Sviluppo economico e del ministero dell’Innovazione (durante quest’ultima posizione durante il governo di  Mario Draghi). Per questo Firpo è in una posizione privilegiata per  contribuire al dibattito sulla politica industriale che si è aperto in Italia e in Europa con il varo negli Stati Uniti di quasi 400 miliardi di  dollari di sussidi con l’Inflation Reduction Act (Ira).    

In un’intervista a L’Economia del Corriere della Sera, Firpo ha detto che i sussidi all’industria statunitense “rappresentano un segnale forte. Il messaggio che arriva dall’America è che la trasformazione verde si fa con l’industria, sviluppandone la capacità produttiva. Dobbiamo uscire invece da un atteggiamento europeo che in tanti anni ha pensato di fare la decarbonizzazione un po’ contro l’industria”.    

L’Europa, ha spiegato, “deve evitare le risposte sbagliate, come rispondere con un ‘Buy Europe’ al ‘Buy America’. Bisogna lavorare perche’  le misure americane in favore della transizione verde siano aperte ad includere i prodotti europei. Gli spazi per un accordo ci sono e tra l’altro noi italiani siamo i più interessati a evitare derive  protezionistiche. Dobbiamo all’export quasi il 35% del nostro prodotto interno lordo, terzo livello piu’ alto in Europa dopo Germania e Spagna, con una crescita annua del 20,5% nei primi undici mesi del 2022. Per noi è fondamentale che il commercio globale resti aperto. In questo condivido l’approccio del ministro delle Imprese Adolfo Urso quando parla di ‘Stato stratega’, non ‘sovranista’, non protezionista”.    

Tra le altre trappole da evitare, ha aggiunto Firpo c’e’ “per esempio un  ‘liberi tutti’ indiscriminato sugli aiuti di Stato. Non si possono  assecondare le richieste di Francia e Germania di allentamento  generalizzato dei vincoli su aiuti pubblici. Penalizzerebbero i Paesi con  margini di spesa piu’ limitati e soprattutto non si puo’ pensare di fare  da soli: nemmeno la Germania puo’ sostenere una competizione muscolare con  Stati Uniti e Cina”. Alla domanda sul suo approccio preferito ai sussidi  Firpo ha risposti dicendo che “mi pare importante che la Commissione abbia  aperto alla possibilita’ di finanziare progetti di industrializzazione per  la transizione verde con fondi europei di RePowerEu e, se capisco bene,  anche con quelli del Piano nazionale di ripresa (Pnrr). E’ interessante  soprattutto il modo: sia tramite crediti d’imposta, che schemi di  ammortamento accelerato”.    

“Questo meccanismo potrebbe permettere di rifinanziare Industria 4.0,  nella chiave della transizione energetica, o addirittura il superbonus. Se  si elimina un passaggio dell’intermediazione pubblica, non sarebbe male.  Di certo se vogliamo allentare le regole sugli aiuti di Stato, tutto va  mirato sulle risorse del Pnrr, di RepowerEu e sui fondi di coesione.  Occorre poi potenziare, anche qui in modo mirato, gli strumenti europei di  politica industriale”, ha aggiunto.    

“Gli Ipcei (i progetti di interesse comune europei) vanno sviluppati  prevedendo un co-finanziamento europeo e allargati anche ai pannelli  fotovoltaici, per esempio. Significa accettare uno scambio: procedure  europee di approvazione piu’ rapide, ma anche elementi di controllo e  governance europei su progetti in cui le filiere possono riguardare vari  Paesi: pensiamo ai microchip o alle batterie”, ha proseguito. Sul fondo di  sovranita’ che chiede l’Italia, Firpo ha detto che “e’ una proposta  interessante. Ma non possiamo dire che in questa fase manchino le risorse  europee”.    

Sulla possibilità che l’Italia diventi un hub del gas per l’Europa  Firpo ha detto che “la risposta italiana alla crisi del gas è stata molto rapida e sicuramente occorrono due nuovi rigassificatori: Piombino e un  secondo al Sud. Quanto all’idea dell’hub del gas, il nostro Paese la  persegue da almeno dieci anni, ma non mi sembra qualcosa di veramente  strategico e al passo con le sfide future sulle energie pulite. Uno dei  problemi poi è che gran parte del gas continua ad arrivare da Paesi fragili e instabili: Algeria e Libia fra tutti”.

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