Negli ultimi anni abbiamo assistito all’intensificarsi, nella cornice definita dal green deal europeo e dall’agenda Ue, di una regolamentazione sempre più marcatamente volta ad orientare le attività economiche e sociali verso una sostenibilità intersettoriale, all’interno di un mosaico normativo che si rivolge direttamente alle imprese, riconoscendone il ruolo di attori chiave nella costruzione di un sistema produttivo idoneo ad implementare gli obiettivi Sustainable Development Goals (Sdg), anche indirizzando l’incanalamento dei flussi di capitali verso investimenti sostenibili.
I recenti sviluppi del mercato europeo hanno dimostrato che le opportunità di crescita provenienti dalla finanza sostenibile sono state colte dagli operatori, come risulta, ad esempio, dall’esponenziale incremento di emissioni di green-bond.
L’Italia, in particolare, ha intrapreso un virtuoso percorso di sviluppo e sostegno degli strumenti finanziari “verdi”, come dimostrano, ad esempio, iniziative quali il Tavolo di coordinamento sulla finanza sostenibile portato avanti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Sustainable Finance Partnership implementata da Borsa Italiana o, ancora, le garanzie green offerte da Sace.
In quest’ottica, nel corso del 2024, troverà applicazione, tra gli altri, il primo set di principi europei di rendicontazione di sostenibilità (Esrs-European Sustainability Reporting Standards) previsti dalla direttiva Ue 2022/2464 sulla rendicontazione societaria di sostenibilità (Csrd).
La gestione del reporting di sostenibilità da parte delle imprese, incluse le Pmi quotate, richiede alle imprese l’utilizzo di uno standard di rendicontazione Esg e di un modello di report di sostenibilità, al fine di raccogliere informazioni dettagliate sulle relazioni commerciali dell’intera catena di valore aziendale.
Tale obiettivo viene perseguito attraverso l’adozione di un sistema integrato di misurazione delle performance ambientali, sociali e di governance, secondo un principio di “doppia materialità” che richiede di considerare non solo l’impatto delle attività d’impresa sull’ambiente e sulla collettività, ma anche il modo in cui questi ultimi influenzano la performance finanziaria.
La normativa europea, ma anche quella nazionale, stanno infatti procedendo verso un graduale allineamento tra le disposizioni sulla rendicontazione di sostenibilità e quelle finanziarie.
Ad esempio, l’inclusione da parte dell’impresa della rendicontazione Esg in una sezione della relazione sulla gestione è un chiaro segnale di tale processo di omologazione.
La rendicontazione di sostenibilità diventa dunque per le imprese uno strumento di prevenzione dei rischi finanziari connessi ai rischi Esg, garantendo al contempo una maggiore trasparenza e fiducia degli investitori e degli stakeholder.
Va in ogni caso sottolineato che, al netto di tali innegabili benefici, il recente moltiplicarsi delle pressioni normative, nonché la progressiva estensione dei relativi obblighi a un crescente bacino di imprese, hanno imposto un complesso lavoro di adeguamento e monitoraggio che si estende oltre i confini aziendali per risalire nella «catena del valore».
In questo scenario, le imprese affrontano potenziali rischi di diversa natura, nel caso in cui ad esempio gli obiettivi ambientali di lungo periodo non si traducano in strategie commerciali tangibili.
Al contempo, l’impegno richiesto alle imprese al fine di conformarsi ai nuovi standard normativi, si traduce in un progressivo aumento dei costi aziendali, anche in termini di outsourcing.
Al tale riguardo, le associazioni di industriali (l’italiana Confindustria, la francese Medef e le tedesche Bdi e Bda) hanno già evidenziato la necessità di una regolamentazione meno invasiva e di dettaglio che metta al centro competitività e che crei, con un approccio principle-based, maggiori spazi di autonomia.
È dunque lecito domandarsi se l’attuale approccio del legislatore europeo, che si riversa in una dettagliata mole di nuova regolamentazione rivolta alle imprese, sia la strada migliore per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità utilizzando le forze e le potenzialità del mercato interno.
Non possono essere ignorati i rischi connessi alla rigidità e alla stratificazione degli obblighi, che non solo ingenera incongruenze nella normativa e confusione negli operatori e negli stakeholders, ma che fatica a tener conto della flessibilità necessaria alla singola realtà produttiva nonché della specificità dei singoli Paesi.