Mario Ricciardi sul Manifesto commenta la dichiarazione di Alan Garber, presidente di Harvard, che ha suscitato un ampio dibattito.
“La dichiarazione di Alan Garber, il presidente di Harvard, è in evidenza sul sito dell’università e fa il giro del mondo, trasportata da un’onda di indignazione contro le ulteriori misure minacciate da Trump e da esponenti del governo. «Nessun governo, indipendentemente dal partito al potere, dovrebbe dettare cosa le università private possono insegnare, chi possono ammettere e assumere e quali aree di studio e ricerca possono perseguire.»”
Secondo Ricciardi, le parole di Garber appaiono inizialmente ineccepibili, ma c’è un aspetto che merita attenzione:
“Eppure c’è un particolare che disturba, e che spinge a farsi qualche domanda. Perché precisare che il principio di autonomia rivendicato da Harvard vale per le università «private»?”
Ricciardi si chiede se Garber stia forse suggerendo che i controlli, giustamente rifiutati a nome della propria università, sarebbero accettabili per le università che non sono private.
“La risposta a questa domanda ci porta al cuore del problema di quella che gli studiosi di queste cose chiamano università corporate, ovvero un’università che, come Harvard e le altre grandi università private degli Stati Uniti, è diventata di fatto una grande corporation, con un budget che farebbe impallidire quello dedicato all’intero sistema di formazione di diversi paesi, anche europei.”
Le università private, secondo Ricciardi, sono diventate delle vere e proprie imprese, che producono risultati straordinari nel campo della conoscenza, ma che rivendicano questi risultati come un investimento piuttosto che come una missione.
“La libertà accademica, in tale prospettiva, è strumentale rispetto al prodotto che è in grado di generare, non ha una giustificazione autonoma.”
Ricciardi pone una domanda critica: “Se sono inaccettabili le pretese di controllo di Trump, perché non lo sono quelle di un privato cittadino?”
Secondo Ricciardi, il vero tema non è tanto la libertà accademica, ma piuttosto la difesa del bilancio.
“Se andiamo oltre le belle parole, stiamo assistendo a un’altra sconfitta del liberalismo di cui i principali responsabili sono proprio i liberali come Obama, che oggi protesta contro le pretese di Trump, invitando le università alla resistenza, ma che non ha mosso un dito per mettere la libertà accademica di tutte le università – pubbliche e private – su una base più sicura, illudendosi che i meccanismi reputazionali fossero sufficienti a garantirla.”