Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

La povertà è al tempo stesso educativa, sociale ed economica. E l’unica arma che abbiamo è investire nella cultura e nello spettacolo

Un’idea, palese o celata, che circola spesso nei periodi di crisi è che la cultura sia un lusso.

Ritengo, invece, che la cultura sia una necessità, soprattutto per un Paese come il nostro. Perché senza la cultura non si può costruire un progetto, non si può pensare a un futuro, non si possono avere speranze e non si può progettare a lungo termine. La cultura è la base necessaria per tutto questo.

Per argomentare questa tesi occorre chiarire meglio a cosa ci si riferisce quando si parla di “cultura”. Il termine è polisenso. Ci si può riferire all’educazione, alla formazione, alla ricerca e anche allo spettacolo, cioè alle arti, alla musica, alla danza, al teatro.

Muoviamo, dunque, dalla cultura come “educazione”.

L’educazione è la missione dell’insegnante: è l’attività nella quale più si riversa la passione e la capacità di una persona di trarre fuori dagli altri, dalle persone con cui è in contatto, il meglio. Significa mettere i propri studenti in grado di scrivere su quella pagina bianca che hanno davanti. L’educazione è il modo per costruire le basi e le fondamenta sicure di progetti futuri.

La cultura come “formazione”.

Oggi se ne sente il bisogno per riassorbire le professionalità in difficoltà e anche per integrare i cittadini stranieri che sono nel nostro territorio, formando a mestieri e a professioni. L’emergenza economica ci condurrà ad una radicale riqualificazione.

Sulla cultura nella sua accezione di “ricerca scientifica” forse è inutile spendere parole. Abbiamo davanti agli occhi, con la pandemia, l’esigenza di sostenere la ricerca.

Tutte queste accezioni di “cultura” e quindi educazione, formazione, ricerca scientifica sono ben note e probabilmente è inutile soffermarsi sulla considerazione che gli investimenti in questi settori sono necessari.

È più difficile forse comprendere perché sia necessario oggi continuare a investire nel teatro, nella musica, nella danza, nelle rappresentazioni sceniche, in tutto quello che non è strettamente collegato alla cultura intesa come educazione scolastica, formazione professionale o ricerca scientifica.

Le ragioni per cui è necessario investire sono moltissime.

Intanto, ovviamente, si tratta di una forma, forse la più alta, di rappresentazione della capacità creativa dell’uomo.

E poi perché, e su questo sarebbe bene riflettere, questa forma di cultura è, in realtà, anche una forma di socialità.

Chi distingue fra cultura e sociale, forse non riflette abbastanza sul fatto che andare al teatro, per esempio, è un atto di socialità.

E ce ne accorgiamo adesso, dopo il lockdown, dopo il periodo in cui i nostri teatri sono rimasti chiusi per mesi, che quella forma di “stare insieme” in una maniera particolare e vivere, di persona, la rappresentazione, con degli attori che sono lì davanti a noi sul palco, è mancata.

Ci è mancato esattamente quello che il lockdown ha impedito, cioè il contatto umano, la vicinanza, lo stare insieme, l’essere animali sociali che hanno bisogno di trovarsi negli stessi luoghi, di respirare le stesse cose; e che hanno anche bisogno di un rapporto empatico con gli altri, che va ben oltre quello che può fornire il digitale, l’online.

Ancora, chi contrappone cultura e sociale e oggi dice “bisogna tagliare sulla cultura e investire sul sociale” forse non pone mente al fatto che nell’ambito dello spettacolo, della cultura, del teatro, della musica e della danza ci sono tanti lavoratori, molti dei quali precari, che hanno sofferto anche economicamente le conseguenze della crisi. E non avrebbe senso sostenere che questa emergenza sociale non vada affrontata al pari delle altre. La contrapposizione fra sociale e cultura pare una contrapposizione errata e priva di fondamento.

E ritengo che tutto quello che ruota intorno al teatro, alla musica, alla danza, allo spettacolo, abbia una rilevanza sociale che va assolutamente valorizzata.

Spesso la contrapposizione si disegna perché si rappresenta la necessità di una scelta economica alternativa che vada in un senso oppure nell’altro. Ma è difficile non accorgersi che anche nella cultura c’è, o ci può essere, un investimento sociale.

E certo nei prossimi mesi affronteremo un’emergenza sociale, ma sarà un’emergenza sociale che riguarderà anche il mondo della cultura.

Concludo riportando alcuni dati relativi alla povertà dei minori.

I dati più recenti, del 2019, raccolti dall’OCSE, ed elaborati dall’Università di Tor Vergata per “Save the Children” indicano che in Italia il 12,5% dei minori si trova in povertà assoluta.

Ciò significa che oltre 1.200.000 giovani vive in una famiglia che non può permettersi le spese minime per condurre uno stile di vita accettabile. Di questi, 500.000 abitano nel Mezzogiorno.

I ragazzi delle famiglie più povere hanno risultati in lettura e matematica molto inferiori a quello dei loro coetanei.

Non raggiungono le competenze minime in matematica e in lettura il 24% dei ragazzi provenienti dalle famiglie più svantaggiate, contro il 5% di quelli che vivono in famiglie agiate.

Dai dati tratti dal rapporto di “Save the Children” sulla povertà educativa minorile, si ricava con tutta evidenza una conclusione: che la povertà economica ha come sua ricaduta immediata una povertà di tipo educativo.

Cioè chi è più svantaggiato dal punto di vista economico ha maggiori difficoltà ad avere dei risultati soddisfacenti in ambito scolastico.

Ed emerge chiaramente che sociale e cultura sono strettamente connessi.

E che povertà educativa significa non solo povertà culturale, ma vuol dire anche povertà economica.

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