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La nuova divisione del mondo nasce dall’avversione per l’Europa politica mai nata | L’analisi di Giuliano Ferrara

Può essere che le cose cambino un tantino – scrive sul Foglio Giuliano Ferrara – e che la ciambella col buco della vittoria di Putin, della sconfitta dell’Europa, della scomparsa dell’alleanza occidentale euroatlantica, della derelizione dell’eroica Ucraina, di un egemonismo riluttante e “pacifista” di Trump, può essere che queste siano illusioni di paranoici e narcisisti alleati nel giocarsi un nuovo mondo post Yalta in una specie di Atlantic City, una riunione d’azzardo a tre senza un europeo (Churchill), senza il Roosevelt della Carta atlantica, sostituito da una copia di Charles Lindbergh, e con il convitato di pietra cinese incombente.

Può essere. E lo si deve sperare. Ma per adesso le cose si mettono veramente male, un po’ Monaco 1938, con mezza Ucraina e in prospettiva Taiwan sul piatto d’argento per il pasto dei coccodrilli, un po’, appunto, la nuova divisione del mondo fondata sulla comune avversione per un’Europa politica mai nata, e soffocata con disprezzo nella culla nonostante i vagiti del tempo di Biden e del suo discorso di Varsavia, rimasto senza vere e realistiche conseguenze per paura, figuriamoci, dell’escalation.

I più cinici si preparano, mentre l’ex ministro della difesa britannico Ben Wallace parla di appeasement in stile nazista, al grande pasto del coccodrillo globale. I realisti di ieri, cioè molti di noi, contrari alla fuga scomposta da Kabul, preparata dal Trump I, e alla resa ai tagliagole, realizzata da Biden, esterrefatti di fronte alla ricostituzione di un fronte occidentale volutamente disarmato o male armato a chiacchiere e contagocce, sempre cedevole linea rossa dopo linea rossa, trovano adesso come unica risorsa, e questo depone a sfavore del futuro, l’idealismo, la prospettiva di un grido di rivolta e di un sussulto di dignità capace di rompere almeno un anello della catena che si sta saldando sull’Europa e sul martirio della guerra dei tre anni alle sue frontiere orientali.

Si deve contare sul fatto che Putin voglia troppo, fino a un punto di incompatibilità perfino con i progetti onnipotenti e senza controllo dell’immobiliarista in chief, già suo sodale nella famosa e troppo presto dimenticata Russia connection.

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