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Il terrore del progresso, la malattia che dobbiamo curare | L’analisi di Giuseppe Caporale

Chi ancora ragiona oggi di fascismo e antifascismo, recrudescenze e rigurgiti, cammina con la testa volta all’indietro e non vede l’iceberg che abbiamo davanti.

Eppure, è ben visibile. Si chiama progresso ma oggi al contrario del passato si associa alla parola paura.

Oggi l’innovazione, la vorticosa trasformazione tecnologica dentro la quale siamo stretti e immersi produce ansie, timori. E spesso conduce a trasformazioni dolorose.

Necessarie, starete pensando, certo, ma dolorose.

La mia generazione figlia degli anni 60 e 70, è cresciuta nella consapevolezza della fiducia nel domani, nella certezza di un radioso futuro.

Oggi, anche se fatichiamo ad ammetterlo, siamo nella condizione opposta.

Tutte le trasformazioni e innovazioni nelle quali siamo immersi hanno conseguenze dolorose. Dure, complesse. Da quella digitale a quella ambientale. Tutte urgenti, tutte necessarie.

Ma sono tutte o quasi a carico dei singoli individui.

Un telefonino “invecchia” dopo pochi mesi, sulle nostre tavole circolano prodotti globalizzati che è difficile controllare e verificarne la provenienza e la qualità, il lavoro si va automatizzando alla velocità della luce, e basta una applicazione per rottamare centinaia di posti di lavoro.

L’analfabetismo digitale è un grave problema ancor più in Italia dove dominano generazioni di anziani ancora alle leve di comando in un Paese con pochissimi giovani a causa dell’abissale calo demografico.

Per non parlare della obbligata transizione ecologica, necessaria per salvare il pianeta. Anche se in questo caso il tempo pare stia già scadendo.

E che dire dell’enorme questione dell’intelligenza artificiale?

Sono le sfide della complessità, sicuramente, ma sono tanto più difficili perché una parte della politica, quella che ha fondato il suo successo sulla fiducia nel progresso, ha evitato il più possibile di governarlo.

Ritiene che si debba lasciar scorrere. Che si auto-regolamenterà.

Ma la storia ci insegna che non è così.

Ed è su questo asse che, senza infingimenti, la politica dovrebbe confrontarsi e riflettere.

Come si governa questa rivoluzione? Chi guida, l’uomo o la macchina? L’uomo o la tecnologia? Quali limiti è giusto tracciare? Quando e dove occorre rallentare una corsa che rischia di essere senza freni?

A pensarci bene, nell’ultimo decennio nelle urne hanno preso forma seppure con sembianze diverse, maggioranze tese sempre a difendere, a proteggere.

Populismo e sovranismo rispondono a questo bisogno.

Un bisogno di protezione da un mondo che pare sempre più senza regole, comandato da meccanismi automatizzati di trasformazione. Senza tutele per la gran parte dei cittadini.

E non è un caso che stia sparendo ovunque la borghesia, neanch’essa più capace di tenere il passo di questo cambiamento illimitato e vorticoso.

Lo stesso si può documentare per il mondo dell’impresa: è tutto più difficile. E qualunque sondaggio d’opinione racconta che imprenditori grandi e piccoli, partite iva e mondo produttivo si sentono lasciati soli.

Certo c’è una fetta, non ampissima di garantiti. Ma su questi ultimi si è da poco scatenata la tempesta perfetta dell’inflazione che secondo tutti gli osservatori è destinata a durare.

Ed è stata una boccata d’aria fresca leggere le riflessioni al riguardo del politologo Giovanni Orsina: “frenare il treno della trasformazione culturale, tecnologica e sociale è, in effetti, difficilissimo. Ma – aggiunge Orsina dalle colonne del quotidiano La Stampa – i limiti di questo progressismo sono apparsi in piena luce ed è esplosa una ribellione globale contro di esso, e da una cultura che è largamente maggioritaria fra gli intellettuali sarebbe lecito aspettarsi per lo meno una maggiore velocità di reazione di fronte alle smentite della storia. Quel che nell’ultimo decennio abbiamo molto genericamente chiamato populismo ha rappresentato anche un grido di dolore contro gli effetti negativi, patiti o temuti, del mutamento sociale, culturale e tecnologico”.

“È anche da questa richiesta di governo del cambiamento – spiega – che sono scaturite le nuove destre che nell’ultimo decennio si sono andate affermando nelle democrazie avanzate. Rallentare il treno della storia, come detto, è difficilissimo, ed è certo più che lecito dubitare che l’approccio della maggioranza di governo – divieto di qui, divieto di là – sia saggio e utile. Così facendo, tuttavia, questa maggioranza politica riconosce un bisogno sociale reale. Quanti reagiscono con sufficienza o sarcasmo a questi tentativi, invece, quella richiesta nemmeno la vedono, non saprebbero risponderle, e – conclude – pretendono di esorcizzarla officiando il rito stracco di una fede progressista che non scalda più da un pezzo i cuori delle folle. Chi s’illude di più?”.

Il fascismo appartiene ai libri di storia, il successo o il fallimento del vorticoso progresso che stiamo vivendo si sta compiendo adesso. Sotto i nostri occhi.

Riparta da qui la politica. Trovi le risposte.

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