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Il primo mese del Trump II e l’attacco all’Europa | L’analisi di Alberto D’Argenio

A meno di un mese dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, commenta su Repubblica Alberto D’Argenio, l’Europa si accorge di essere sotto attacco. Anzi, di più. In pochi giorni cancellerie e istituzioni si sono rese conto che la partita è senza precedenti: l’Unione è vittima di un’aggressione concentrica su più livelli. Politico, economico, culturale e potenzialmente militare. Una sfida che questa volta arriva dal cuore dell’Occidente, dal capobranco che per 80 anni ne è stato il faro: l’America.

Nelle prime settimane del Trump II, l’Europa ha scelto la prudenza, sperando che il temuto tsunami transatlantico si rivelasse un’onda navigabile. Ma dopo che alla Conferenza di Monaco il vicepresidente J.D. Vance ha bastonato i valori europei, si è lanciato in una ingerenza senza precedenti nella politica interna del principale Paese Ue chiedendo a Friedrich Merz di governare con i neonazisti della Afd dopo le elezioni di domenica prossima e infine con l’esclusione del continente dai colloqui sull’Ucraina, l’Unione ha capito: questa volta la sfida è esistenziale. Ne va della sua sopravvivenza.

D’altra parte nei momenti di grande crisi, i vertici convocati dall’Eliseo — il palazzo più europeista d’Europa — sono diventati il leitmotiv della riscossa. Numerosi e drammatici durante la crisi del debito greco a cavallo del 2010, cruciali (sebbene virtuali) per rispondere alla depressione economica causata dal Covid nel 2020. Ma stavolta per uscire dalle sabbie mobili non basta convincere Berlino ad adottare uno scudo anti spread o a lanciare gli eurobond: ora la partita è a tutto campo e si gioca contro i tre grandi predatori del pianeta: Trump, Putin e Xi.

Dalla capitale francese spinti da Macron oggi i leader diranno a Washington che nessuna pace in Ucraina potrà essere accettata senza coinvolgere l’Europa, la cui sicurezza sarebbe gravemente minacciata da un accordo favorevole a Putin. Chiederanno di essere ammessi al tavolo, offriranno una forza di pace come chip di ingresso e, se riusciranno a mettersi d’accordo, nomineranno un “inviato europeo” di alto profilo per restarci e giocare le nostre carte al meglio. Ma a ben guardare, la sorte di Kiev, per quanto cruciale ed emotivamente struggente per noi europei, è solo la punta dell’iceberg di quanto sta accadendo.

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