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Il governo studia la holding dei porti: è un business da 8 miliardi | Lo scenario

Il governo studia la holding dei porti, un business che vale più di otto mld secondo Srm, il centro studi collegato a Intesa Sanpaolo.

Lo riporta la “Stampa” spiegando che l’obiettivo dovrebbe essere quello di aprire la partita una volta che saranno nominati i presidenti delle Autorità di sistema portuale, cioè gli enti che gestiscono le banchine italiane, oggi in buona parte commissariati (da Genova a Trieste, passando per Bari e lo Stretto di Messina) o con presidenti in scadenza (è il caso della Spezia).

Le proposte sul tavolo vanno da un rafforzamento dell’attuale Conferenza dei presidenti delle Autorità portuali al ministero (che però non è mai decollata) a una vera e propria holding pubblica.

Il modello cui il vice ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Edoardo Rixi, guarda con maggiore interesse è quello dell’Enav, società del governo con oltre il 53%, ma quotata in Borsa con un ampio flottante e un 10% di soci istituzionali, non solo italiani.

Per la Porti Spa una quotazione sembra tuttavia parecchio lontana.

Più praticabile l’idea di una società pubblica nella quale possano partecipare anche gli enti locali, con un’apertura a soggetti privati che comunque rimarrebbero in minoranza.

Esempi in giro per il mondo ce ne sono: Psa, che è la più grande società terminalistica al mondo, e che controlla il più importante terminal di import-export in Italia, n on è altro che l’acronimo di Port of Singapore Authority, società controllata dalla Temasek (che è la holding degli investimenti della Città-Stato asiatica); il gruppo Hhla, che controlla un terminal a Trieste, ha nella Città di Amburgo il suo principale azionista – anche se in Germania c’è polemica e proprio oggi il parlamentino della città anseatica deve votare se consentire al gruppo Msc di salire al 49,9% della società.

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