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[L’analisi] Il danno da 10 miliardi all’export italiano per le sanzioni alla Russia. Ecco tutti i prodotti e le regioni coinvolte

Le sanzioni alla Russia colpiranno anche l’export italiano. I settori di moda macchinari e tessile-moda-abbigliamento, già duramente segnati dal calo dell’export, da soli superano il miliardo di vendite sul mercato russo. Ora rischia di perdere altri volumi, in particolare nei distretti più esposti, tra Marche e Toscana. Se dal punto di vista territoriale in valore assoluto è Milano, come ovvio, la provincia più “pesante” per vendite verso Mosca, i guai prospettici maggiori sono per Fermo.

Export al 117%

«Qui, infatti, grazie alla spinta delle calzature, il 117% dell’export locale è rivolto verso la Russia, il quadruplo rispetto alla media nazionale» scrive il Sole 24 Ore. «L’eventuale varo di nuove sanzioni sarebbe un disastro» spiega il reggente di Confindustria Fermo e imprenditore del settore Arturo Venanzi «perché qui sul territorio ci sono almeno 20 mila addetti impegnati nel distretto delle calzature e in media per le aziende la Russia vale il 130% dei ricavi. Un crollo di queste vendite sarebbe una vera catastrofe».

«Per noi Russia e Ucraina valgono il 15% dei ricavi» spiega Niccolò Ricci imprenditore toscano, Ad della maison fiorentina Stefano Ricci «e nei due paesi abbiamo più di dieci punti vendita. Siamo estremamente preoccupati, perché alla fine a pagare il prezzo delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti è sempre l’Europa».

Danno al Made in Italy

«Partiamo da un dato. Oggi l’export del Veneto verso la Russia di Vladimir Putin vale circa 1,2 miliardi di euro, una cifra importante, anche se rispetto al passato, complici le precedenti crisi geopolitiche, si è ridotta. Noi non siamo contrari alle sanzioni, sono armi della diplomazia, se servono a evitare che si arrivi a una guerra guerreggiata allora ben vengano, ma il loro peso non deve ricadere sulle aziende, come già avvenuto in precedenza». Così Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto.

«Abbiamo diversi imprenditori che sono in Ucraina e che stanno vivendo con grande apprensione la situazione. Va poi ricordato che l’Ucraina è un Paese ricchissimo di materie prime e forte in settori chiave per l’economia veneta, come l’agricoltura. Ecco perché la crisi ci interessa da vicino». Intanto Berlino ha annunciato la sospensione temporanea del processo di approvazione per il Nord Stream 2, il gasdotto tra Russia e Germania.

«La decisione dell’Agenzia federale tedesca delle reti alimenta inevitabilmente nuove turbolenze sul fronte dell’energia» spiega Carraro al quotidiano Il Messaggero. «Turbolenze che proprio non ci volevano. Siamo già di fronte ad aumenti a tre cifre: le maxi-bollette stanno mettendo in ginocchio le aziende. Alla base dei rincari c’è una componente contingente, data dalla crisi geopolitica che una volta risolta avrà un’evidenza positiva anche sui prezzi dell’energia, e una componente di tipo strutturale, perché avendo chiuso i nostri pozzi gasiferi andiamo a comprare la materia prima dalla Russia. Neanche dalla Francia o da Paesi, che hanno una stabilità politica. E questo è il risultato».

I prezzi del gas

«I prezzi del gas resteranno su questi livelli per tutto il 2022 e parte del 2023, stando alle nostre stime. Complice la crisi in Ucraina, non si intravedono all’orizzonte possibili cali. Risultato? Sono sempre più numerose le aziende, penso per esempio alle fonderie, che per proteggersi dai rincari spostano la produzione in orari non di picco, quindi serali, o nelle ore diurne in cui i prezzi sono più economici. Mi creda, la situazione è tragica. Stavamo sollevando la testa dopo il Covid, eravamo nel pieno della ripartenza, ma ora questa frenata rischia di mandare tutto a rotoli».

«Va detto che non siamo solo noi ad avere bisogno della Russia, anche Mosca ha bisogno di noi. Mi spiego meglio. Il prodotto interno lordo della Russia è pari al prodotto interno lordo della Spagna con il triplo degli abitanti. Inoltre, in Russia si registra uno dei redditi pro capite più bassi d’Europa. Questi numeri dimostrano che Mosca non può fare a meno di vendere il suo gas all’Europa e ha tutti gli interessi a trovare un compromesso per non interrompere le forniture».

Le regioni più danneggiate

Sono Lombardia ed Emilia-Romagna le due regioni più danneggiate dall’embargo russo. Dal 2014, infatti, l’embargo russo scelto come risposta alle sanzioni adottate contro Mosca da Bruxelles per la questione ucraina, penalizza duramente l’export dei prodotti agricoli e alimentari italiani di punta quali frutta, salumi e formaggi. Solo nel 2020, rispetto al 2013 pre-embargo, in Emilia-Romagna sono andati persi oltre 46 milioni di euro di export agroalimentare e in Lombardia oltre 74 milioni di euro. Segue il Veneto, che nel periodo ha perso oltre 35 milioni di euro di export agroalimentare.

È quanto emerge da una elaborazione effettuata dal Centro studi di Confagricoltura resa nota da Confagricoltura Emilia-Romagna, regione particolarmente colpita sul fronte export dalla drammatica crisi tra Mosca e Kiev. Gravi sono state le conseguenze economiche per tutto il Paese, poiché, nel periodo 2009- 2013, il valore delle esportazioni di prodotti agricoli e alimentari verso la Russia era in rapida ascesa (+111%), passando dai 333 milioni di euro del 2009 (pari al 1,4% dell’export nazionale complessivo di settore) a 705 milioni di euro del 2013 (pari al 2,1%). Nel periodo successivo, vigente l’embargo, il valore delle esportazioni di prodotti agricoli e alimentari verso la Russia, si è ridotto fino a 381 milioni di euro (2015) per poi tornare a crescere fino a 549 milioni di euro (2020).

La “crisi ucraina” si ripercuote dunque sul bilancio delle aziende agricole e agroalimentari. «L’embargo russo doveva inizialmente durare un anno invece è tuttora vigente. Ora la riacutizzazione delle tensioni fa temere ripercussioni ancora più pesanti e il possibile allungamento della lista dei prodotti messi al bando fino ad includere, ad esempio, anche il vino e la pasta» conclude Confagricoltura Emilia-Romagna «l’auspicio è la soluzione diplomatica alla crisi per garantire una stabilità duratura in Europa e nel mondo». 

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