“Alcuni analisti americani paragonano la guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina a un chicken game: due rivali in corsa verso lo scontro, ciascuno sperando che sia l’altro a frenare.”
Lo scrive Ettore Sequi sulla Stampa osservando che “tra Cina e Stati Uniti non si gioca a una semplice schermaglia negoziale, ma la sfida tra due visioni inconciliabili dell’ordine mondiale. Trump vuole una vittoria netta: la moratoria concessa ai Paesi che non hanno risposto con controdazi è una tattica per placare i mercati, ma anche un messaggio strategico: chi isola la Cina sarà premiato.”
“Il vero rivale ideologico e sistemico resta Pechino. Per la Cina, la sfida è esistenziale: mantenere un livello accettabile di sviluppo economico, per evitare tensioni sociali, difendere il proprio sistema industriale e il rango di potenza globale. Di fronte a tariffe superiori al 100%, Xi ha scelto la resistenza paziente. Egli confida nella vulnerabilità di Trump alle pressioni dei mercati finanziari e nel vantaggio offerto dal tempo.
Ma è un calcolo che richiede una narrazione di forza da parte del partito comunista, e una tenuta interna assoluta. Trump, dal canto suo, crede che una pressione incessante unita a lusinghe verso il “grande amico Xi” bastino a piegare Pechino.
Ma – spiega l’editorialista – per la Cina gli interessi strategici sono ben più profondi, e Trump non è considerato un interlocutore affidabile. Emergono anche contraddizioni ideologiche profonde. Gli Stati Uniti, patria del libero mercato, abbracciano un protezionismo muscolare per tutelare il “lavoratore americano”; la Cina comunista diventa baluardo del multilateralismo e della stabilità commerciale.
La blitzkrieg (guerra lampo) tariffaria di Trump cozza con un’industria globalizzata che non si piega a proclami. La Cina risponde con una guerra di posizione basata su resilienza, pazienza strategica e un apparato statale non soggetto a vincoli elettorali.
In questo scontro, vincere non significa annientare l’avversario, ma sopravvivere senza cedere terreno decisivo. Il commercio è ormai divenuto un campo di battaglia geopolitico dove si ridisegnano le fondamenta dell’ordine globale.
Il rischio – conclude – è che il prezzo di questa prova di forza sia insostenibile non solo per i due contendenti ma per un sistema internazionale sospeso tra interdipendenza e frammentazione”.