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Gli ecovillaggi sono in crescita, ricadute su borghi e territorio

Fra i modelli di società possibile, quello degli ecovillaggi – formati da persone che scelgono di vivere insieme, immerse nella natura (ma esiste la variante urbana dei co-housing), secondo principi di sostenibilità ambientale e sociale – appare come uno dei più radicali.

Nelle sue accezioni che prevedono autosufficienza, condivisione di tutti gli spazi abitativi e una certa separazione dalla società esterna.

Eppure Riccardo De Amici, della comunità Etica Vivente e co-presidente di Rive (Rete Italiana Villaggi Ecologici, che riunisce circa 70 realtà, con 40 anni di storia o in procinto di essere avviate), spiega al Sole 24 Ore che “la maggior parte ha un lavoro esterno e una sua situazione abitativa privata, con aree in comune.

Per molti l’obiettivo non è l’autosufficienza ma l’approvvigionamento etico e l’intenzione di vivere insieme”.

Ed è questo modello che sta catalizzando l’attenzione.

Negli ultimi tre anni in Italia sono nati – o sono in costruzione – almeno 32 progetti.

De Amici stima che potrebbero essere circa cento le realtà sul territorio.

“Rispetto ad altri Paesi, la rete italiana è forte, ci piace vivere in comunità”.

Rive fa parte del network europeo Gen Europe, a sua volta collegato alla rete mondiale Global Ecovillage network, che raccoglie circa mille realtà nel mondo.

De Amici spiega che “ogni ecovillaggio ha le sue specificità, ma tutti abbracciano un modello di sostenibilità a quattro dimensioni: ecologica, sociale, economica – secondo un modello in cui i costi non vengono esternalizzati su dipendenti, clima o clienti, e anche spirituale o culturale, che si traduce in uno studio su sé stessi, per non riproporre soluzioni basate sul vecchio paradigma di pensiero.

Come diceva Einstein non si può risolvere un problema con il modo di pensare che l’ha causato”.

L’interesse verso questo tipo di realtà era in crescita già prima del Covid: la pandemia può aver fatto da acceleratore, “ma – aggiunge – resistono solo le comunità nate non solo come reazione a quel momento di crisi, ma con il desiderio di creare qualcosa di diverso.

Senza l’aiuto di gruppi strutturati come Rive, sette progetti su dieci falliscono”.

Il 24 gennaio è entrato in vigore il decreto che stimola la nascita delle Comunità energetiche rinnovabili.

Entro 30 giorni è prevista l’approvazione delle regole che disciplineranno le modalità di accesso e gli incentivi.

Un’opportunità anche per gli ecovillaggi.

Così come, in potenza, lo è il recupero dei borghi abbandonati, oltre 6.

000 in Italia secondo dati Istat.

“Gli ecovillaggi si avvalgono di varie forme giuridiche – chiosa De Amici – ma ne manca una che li rappresenti nell’insieme delle loro caratteristiche e attività.

Ciò, per esempio, complica le cose per l’accesso a bandi comunali e non solo.

Sul tema sono già state depositate due proposte di legge, nel 2014 e nel 2020.

Quest’anno vogliamo trovare il sostegno politico trasversale necessario a presentarne una che possa essere approvata in Parlamento.

Rive è affiancata da Conacreis, Rete Europea Salus e Rete Italiana Co-housing, ma siamo aperti ad altre reti associative che sposino l’obiettivo”.

Honeydew (che non fa parte di Rive) ha aperto a giugno 2023 nei pressi di Maiolo, a 37 km da Rimini, ed è probabilmente l’ultimo ecovillaggio nato in Italia.

Il suo fondatore Benjamin Ramm – scrittore e giornalista della Bbc – risponde alle mie domande dal Brasile, dove sta fondando il secondo ecovillaggio, che prevede di aprire a fine anno.

L’obiettivo è avere comunità associate dal Portogallo alla Grecia entro la fine del 2025.

“Honeydew non vuole essere un luogo in cui ritirarsi dal mondo, ma il nodo di una rete che opera in modo diverso dalla società tradizionale, scegliendo la collaborazione invece della competizione, la resilienza collettiva invece che individuale, e l’autosufficienza (nel cibo, nell’energia eccetera)”, esordisce Ramm.

A portare qui i 20 residenti, di cui dieci italiani (ma la struttura ne potrà ospitare circa 80) i mali dello stile di vita urbano: un mix di stress, lontananza dalla natura e mancanza del senso di comunità.

Fra questi una famiglia che ha lasciato Milano per Mantova e poi Mantova per Honeydew.

L’età è compresa fra 18 mesi e 56 anni, ma sono i Millennial a essere più attirati dal progetto.

Si organizzano ritiri, residenze d’artista, seminari per visitatori e soggiorni a tempo per volontari.

I proventi delle attività finanziano i lavori di ristrutturazione per rendere vivibile ogni spazio di questa ex struttura ricettiva, che comprende un albergo, con aree comuni come sala yoga, cucina professionale e jacuzzi, dieci bungalow, una pizzeria (in ristrutturazione), piscina e campo da tennis.

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