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[L’intervista] Giuseppe Argirò (AD Gruppo CVA): «La transizione energetica è ineludibile, ma rischia di avere un costo elevato, anche sociale. Il DDL Concorrenza penalizza gli operatori nazionali delle concessioni idroelettriche»

Giuseppe Argirò è l’Amministratore Delegato del Gruppo CVA – Compagnia valdostana delle acque, una green company, provider di energia totalmente verde . Lo abbiamo incontrato per parlare con lui di sostenibilità, transizione energetica e concorrenza.

Buongiorno dr. Argirò, grazie per la sua disponibilità. La ripartenza dell’Italia è stata impostata con il requisito ineludibile della sostenibilità e in questo senso il ricorso ad energia da fonti rinnovabili è fondamentale. Ritiene che stiamo andando sulla strada giusta e che il problema sia stato impostato correttamente?

Buongiorno e grazie a voi. La transizione energetica è sicuramente la più rilevante tra le componenti della cosiddetta transizione ecologica. È un fenomeno socio-economico e culturale ineludibile, come altri fenomeni di natura globale. Aggiungerei che è doveroso porla in essere una volta preso atto della sua importanza per le generazioni future, al fine di garantire la salvaguardia della “Casa Comune” dal cambiamento climatico, ma non solo.

Come tutti i fenomeni complessi, di natura globale, pone le persone e le nazioni di fronte a sfide enormi, che vengono affrontate, almeno nel mondo occidentale, con gli strumenti della democrazia: movimenti di opinione pubblica, pressioni di parti della società e del sistema economico, capacità della politica e della classe dirigente del momento, posizionamento della finanza, anche internazionale, spinte tecnologiche, etc… In questo contesto europeo e italiano la direzione è certamente quella giusta.

Mi preoccupa la velocità e l’approccio al cambiamento, anche nel nostro Paese. In particolare occorre, come sempre, tenere insieme più cose: accelerare il cambiamento nella generazione energetica, con un equilibrato mix; trasformare il modo di consumare l’energia, in modo efficiente, salvaguardando però le filiere produttive nel nostro Paese, che certamente per la loro natura manifatturiera sono più esposte di quelle di altri paesi.

Un’esposizione, peraltro, in un contesto internazionale nel quale come potenza industriale siamo al settimo posto, ma non siamo certamente tra i primi sette, in termini di emissione di gas clima-alteranti. Il prezzo del gas e le conseguenze sul sistema socio-economico italiano sono lì a dimostrare che occorre accelerare sulle rinnovabili, molto, e, contemporaneamente, presidiare i tavoli istituzionali europei da fughe in avanti che possano penalizzare il sistema produttivo italiano. 

Che ruolo si vuole ritagliare la Compagnia Valdostana delle Acque in questo scenario?

Siamo un’azienda esclusivamente rinnovabile da sempre, una green company, provider di energia totalmente verde, oltre che pubblica, totalmente controllata in modo indiretto dalla Regione Valle D’Aosta. Dobbiamo e vogliamo continuare in questo scenario a dare il nostro contributo al territorio regionale ed al Paese, facendo ciò che sappiamo fare: produrre e vendere energia rinnovabile, grazie allo straordinario know how delle persone che in essa operano.

Continuare ad investire, ad innovare e a produrre valore per tutti gli stakeholders, in un contesto territoriale gravato dal sovra costo naturale che i territori e le popolazioni di montagna subiscono per evidenti ragioni, e che devono continuare a trovare in questi straordinari luoghi occasioni per rimanervi.

Uno dei problemi che mette in pericolo la reale attuazione della sostenibilità è quello dei costi. Tutto ciò che si fa in un’ottica sostenibile ha un prezzo che prima o poi dovrà essere sostenuto. Come pensa si possa risolvere questo problema?

La transizione ecologica, ed energetica in particolare, è il futuro imprescindibile. Ma è un processo complesso, che ha un costo elevato, anche sociale. Se questo costo sociale si farà erroneamente ricadere sui più fragili o sul sistema manifatturiero italiano in modo non equilibrato e in disarmonia con quanto accade altrove, il processo subirà tensioni, frizionalitá e inevitabilmente rallentamenti oltre che ingiustizie sociali. Condizioni che potrebbero porre a rischio il processo di cambiamento ambientale necessario.

Occorre, come dicevo, tenere insieme le cose. Occorre farlo cavalcando e sfruttando un trend, quello della trasformazione del sistema energetico globale, che è industriale, tecnologico e finanziario, con un lavoro quotidiano intelligente di creazione delle migliori condizioni, affinché questa epocale trasformazione garantisca importanti ricadute sulle filiere produttive, qui ed oggi. Le ricadute potenziali non possono non tenere conto della strategicità delle infrastrutture energetiche, soprattutto rinnovabili, oltre che della nostra straordinaria capacità di innovazione, della capacità industriale, attraverso i nostri grandi e medi player, dell’enorme capacità manifatturiera dei lavoratori e professionisti italiani.

Non dobbiamo permettere, tutti insieme, che i cambiamenti, come accaduto in altri comparti, si subiscano soltanto, portando dietro di sé solo gli effetti negativi e non si colgano invece, come necessario, le importanti opportunità che nelle trasformazioni ci sono e sono grandi. Dobbiamo giocare all’attacco, che è sempre la migliore delle difese. Anticipare i trend. Lavorare per accompagnarli, al fine di produrre valore con essi.

Arriviamo quindi al Decreto Concorrenza che è in approvazione da parte del Governo. Cosa pensa al riguardo della regolamentazione delle concessioni idroelettriche?

Va nella direzione opposta a ciò che dicevamo. E non lo dico per una difesa d’ufficio del comparto, ma per ragioni oggettive. Non tiene conto minimamente del quadro normativo europeo che sfavorisce pesantemente gli operatori nazionali, in un contesto di grave disarmonia normativa che penalizza il Paese. Non tiene conto della strategicità delle infrastrutture energetiche idroelettriche, enfatizzata ulteriormente dalla pandemia. Infrastrutture che consentono di far ripartire il sistema dai black out, rappresentano la più stabile, programmabile e maggior generatrice di energia, tra le fonti green italiane, (40% del totale generato dalle rinnovabili).

È un sistema produttivo energetico che costituisce, in Italia, la più rilevante filiera industriale legata alle rinnovabili. Come è noto, infatti, la filiera fotovoltaica è ormai appannaggio della Cina, sia nei materiali rari che la compongono, che nella produzione dei pannelli, oltre che nello sviluppo delle nuove tecnologie correlate. Ciò accade anche in parte nell’eolico, che è legato sopratutto al nord Europa. Mentre l’idroelettrico può avere ancora uno sviluppo importante dal punto di vista energetico, industriale e professionale in Italia. Ma nel dibattito pubblico e in quello istituzionale non emerge questo aspetto ed è molto grave.

Quanto le modifiche che si vogliono introdurre nel mercato idroelettrico avranno un impatto sul futuro dell’Italia? Soprattutto in un contesto internazionale dove la gestione dell’energia è diventata determinante?

Comprendo che la scelta del DDL concorrenza possa essere figlio della necessaria coerenza politica con gli impegni di riforma assunti in sede UE, a fronte della concessione degli importantissimi fondi del PNRR. Impegni che tuttavia nascono in un contesto in cui c’era una procedura d’infrazione europea pendente sul settore che è stata archiviata, per noi e per altri Paesi, lasciando che ogni stato disciplini il comparto con normativa propria. Invece siamo rimasti ancorati ad un approccio ormai superato, anche a causa del pregiudizio e di talune scelte condizionate da una visione un po’ ideologica della concorrenza. Rischiando così di esporre il comparto ad una competizione non equilibrata. Visione che deve trovare il giusto contemperamento con la strategicità del sistema idroelettrico nazionale, da tutti i punti di vista.

Stiamo vivendo una bolla finanziaria nel settore delle rinnovabili, anche a causa del greenwashing, che sta già producendo le prime distorsioni. Rischiamo il dumping nella concorrenza per la stessa ragione. Se combiniamo la bolla finanziaria con una concorrenza impropria e non giusta, determinata dalla disarmonia normativa europea, rischiamo di perdere un’altra grande occasione per la tutela del sistema Paese. Il tutto aggravato da una balcanizzazione della normativa regionale in materia di grandi derivazioni idroelettriche, peraltro impugnate dal Governo per alcuni profili di incostituzionalità, che hanno ulteriormente esasperato un quadro già incerto.

Occorre invece favorire il rilancio immediato degli investimenti, unici a poter garantire lo sviluppo di una filiera produttiva che possa compensare le perdite occupazionali, che inevitabilmente ci saranno, dei comparti della filiera del carbonio. Investimenti che consentano anche di produrre il consolidamento del sistema elettrico, quale elemento di sicurezza strategica nazionale per il futuro del Paese, la stabilizzazione e lo sviluppo della generazione dell’energia green e con essa il raggiungimento degli obiettivi del Fit for 55, di decarbonizzazione, in un Paese, come dicono i dati, che ha avuto un aumento delle temperature medie molto più alto della media globale, con tutte le sue possibili conseguenze.

Fondamentale per la ripartenza sarà la corretta gestione dei fondi che derivano dal PNRR. Qual è la strada da seguire nel campo dell’energia per non perdere questa preziosa occasione?

Certamente il Presidente Draghi ha il merito storico di aver costruito le condizioni per un’occasione straordinaria per il Paese. Ma non basta. Ora il Paese, in tutte le sue articolazioni, pubbliche e private, deve rispondere per dare concreta attuazione al programma predisposto e in tempi che non paiono così facilmente raggiungibili se, oggettivamente, guardiamo alla storia burocratica dell’Italia.  Dobbiamo stare attenti a non trasformarla in un’occasione semplicemente di spesa veloce dei progetti rimasti nei cassetti nel tempo, preservando anche nella fase attuativa, la sua visione organica e strategica, per come il Governo l’ha correttamente impostata. In questo contesto, non si può prescindere dal sistema delle imprese private, quale moltiplicatore di investimenti, apportatore di know how e acceleratore di sviluppo, anche in ambito energetico.

Le imprese possono mettere in campo investimenti molto rilevanti, creando un effetto leva sulle risorse disponibili. Solo con una grande alleanza tra buona amministrazione pubblica e sistema produttivo si potrà usare questa occasione per trasformare e modernizzare il Paese, come chiaramente emerso anche nei recenti “Stati generali delle Valutazioni Ambientali”. E’, come sempre, la fase di esecuzione la sfida da vincere, tutelando così anche gli interessi nazionali.

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