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Francesco e Mattarella seminatori di speranza. Diversi e convergenti

Seminatori di speranza. Nel diffuso annaspare, talvolta borioso o narcisista di esperti e intellettuali, politici, economisti sul che fare dopo la pandemia, papa Francesco e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appaiono un’eccezione: per equilibrio, moderazione, consonanza davvero sorprendente. Moderazione nel senso di contribuire a far fronte con discernimento a una situazione inedita che ha investito tanti Paesi creando panico e inquietudini sociali. 

Il papa e il presidente della Repubblica hanno versato olio sulle ferite di milioni di persone impaurite e impoverite. Hanno seminato speranze sostenendo con buon senso il bene comune anteposto agli interessi di parte. Due bandiere di possibile umanità diversa e meno egoista. Con toni sobri e segni eloquenti. Sono riusciti a incarnare la resistenza collettiva alla solitudine, senza abdicare alla coscienza della responsabilità inerente al loro grado. Mai cedendo al capriccio di improvvisare per pura vanità e riuscendo a esprimere vicinanza alle vittime e a chi combatteva la malattia. Tutto ciò è stato possibile perché hanno attinto all’esperienza di vita spesa per il bene, trascorsa nel gran numero di quanti nella vita quotidiana seminano, senza strepito, segni di bene che mandano avanti il mondo. Perché hanno dato la sensazione di stare fuori dai dibattiti rituali e vacui del politichese e intercettando, invece, persone concrete, Francesco e Mattarella sono apparsi affidabili, liberi e solidali.

A differenza di chi alimenta polemiche infinite su quale scelta sia più saggia tra la salute o l’economia, hanno intercettato il desiderio della gente di respirare buon senso dopo la deriva di tante chiacchiere a buon mercato. Alcuni hanno assimilato perfino la quarantena tra le mura domestiche a una coazione della libertà o a una resa al virus Covid 19. Il vescovo di Roma e il presidente della Repubblica sono, invece, da annoverare in prima linea tra coloro che “mettono insieme l’opzione per la salute delle persone e quella per lo sviluppo dell’economia”.

Nell’attuale fase di rincorsa a ripartire può essere, perciò, di qualche utilità il ripensare lo stile e le indicazioni di questi due leader. Scoprendo significative, inattese convergenze. Entrambi persone di rocciosa mitezza, abituati a dire con franchezza ciò che già hanno sperimentato prima di proporlo agli altri. Parlano con misura, a ragion veduta. Pur così diversi caratterialmente, ma vicini nei valori proposti. Tanto espansivo e umanamente caloroso Francesco quanto misurato Mattarella. Il presidente è rigidamente istituzionale, contempera fede cristiana e laicità vissute senza patemi né affanni. Bergoglio papa umano anziché paludato ecclesiastico è una persona libera, rispettosa senza fatica della laicità dello Stato e dedicato a una Chiesa misericordiosa e non più clericale.

C’è stima reciproca ma non confidenza tale tra i due da farli apparire compagni che si ritrovano per scampagnate o appuntamenti di montagna, come fu per Wojtyla e Pertini. Francesco non è il cappellano di altissimo rango della Presidenza italiana e Mattarella è un cattolico doc di ascendenza anche familiare nell’Azione cattolica, scuola sobria e razionale di essere cattolici convinti e non clericali. Al modo che fu di De Gasperi, Moro, Lazzati, Bachelet e una lunga schiera di formazione democratica alla scuola di Montini sotto il fascismo prima e poi pronti ad accogliere le innovazioni del concilio Vaticano II.

Una sensibilità comune per il cattolicesimo sociale vissuto da Bergoglio nella variante latinoamericana dei Movimenti Popolari. E pertanto convergenti sul primato del bene comune, la dignità della persona umana, il rispetto delle Istituzioni pensate a servizio della gente e non a strumento di interessi propri o di parte. Le convergenze parallele tra i due personaggi si rivelano perfino nella virulenta opposizione che la loro azione suscita in consistenti strati elitari di popolazione. Francesco ha subìto un crescendo di attacchi da settori ecclesiastici anche importanti, avversari più o meno dichiarati delle sue riforme.

Costoro si sono spinti perfino ad accusarlo di eresia – somma ingiuria per un pontefice romano – facendo tornare alla mente tempi bui per la Chiesa quando accuse del genere si lanciavano contro gli antipapi. Il Presidente della Repubblica ha il suo da fare nel resistere a filoni di politica qualunquista o fascista di sapore mafioso che attentano all’integrità della Costituzione e talvolta alla sua persona. Ma le contestazioni mai sopite  si sono finora spuntate a fronte della fedeltà assoluta dei loro bersagli alle carte fondamentali del mandato ricevuto: il Vangelo per Francesco e la Costituzione repubblicana per Mattarella. Prove di convergenza naturale tra i due si evidenziano nei loro atti pubblici. Singolare può invece apparire l’essersi ritrovati dalla stessa parte nella gestione della pandemia e negli orizzonti delineati per far ripartire l’Italia. Esaminando in parallelo i recentissimi interventi del papa e del presidente si trovano echi di una forte consonanza. Perfino impressionante dal momento che non c’è mai stata una strategia concertata.

Li accomuna la pietà per le vittime del virus, la solidarietà con quanti hanno sofferto le conseguenze economiche e sociali della pandemia o si sono dedicati generosamente alle azioni di contrasto e di cura; il coraggio di cambiare per aprire una fase nuova di giustizia e solidarietà a partire dagli esclusi, i poveri e i più provati dal Covid 19, la convinzione che sia in mano di ciascuno l’esito della riuscita del Paese chiamato a cambiare con coraggio.  

“Oggi – afferma Francesco in un videomessaggio, nel giorno di Pentecoste, a Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury, per l’evento del Movimento di preghiera globale Thy Kingdom Come – assistiamo a una tragica carestia della speranza. Quante ferite, quanti vuoti non colmati, quanto dolore senza consolazione! Facciamoci allora interpreti della consolazione dello Spirito, trasmettiamo speranza e il Signore aprirà vie nuove sul nostro cammino.

In questi giorni invochiamolo su quanti sono tenuti a prendere decisioni delicate e urgenti, perché proteggano la vita umana e la dignità del lavoro. Su questo si investa: sulla salute, sul lavoro, sull’eliminazione delle disuguaglianze e delle povertà. Mai come ora ci serve uno sguardo ricco di umanità: non si può riprendere da capo a inseguire i propri successi senza preoccuparsi di chi è rimasto indietro. E anche se tanti faranno così, il Signore ci chiede di cambiare rotta. Abbiamo bisogno di essere uniti per fronteggiare le pandemie che dilagano: quella del virus, ma anche la fame, le guerre, il disprezzo della vita, l’indifferenza. Solo camminando insieme andremo lontani”. Il papa mette in guardia da tre nemici del dono che deve caratterizzare la vita dei credenti: “tre nemici, sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo”.

Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia “diventa una sfida anche per la missione della Chiesa. La malattia, la sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano. La povertà di chi muore solo, di chi è abbandonato a sé stesso, di chi perde il lavoro e il salario, di chi non ha casa e cibo ci interroga. […] Curare le persone, non risparmiare per l’economia. Curare le persone, che sono più importanti dell’economia. Noi persone siamo tempio dello Spirito Santo, l’economia no. Da una crisi come questa non si esce uguali, come prima: si esce o migliori o peggiori”.

Numerosi e insistenti gli appelli di Mattarella a un impegno comune degli italiani per un Paese solidale anziché individualista e settoriale. Valga per tutti l’intervento in occasione del “Concerto dedicato alle vittime del coronavirus” nel 74° anniversario della Festa Nazionale della Repubblica.

“Accanto al dolore per le perdite e per le sofferenze patite avvertiamo, giorno per giorno, una crescente volontà di ripresa e di rinascita, civile ed economica. La nascita della Repubblica, nel 1946, segnava anch’essa un nuovo inizio. ..Forze politiche, che erano divise, distanti e contrapposte su molti punti, trovavano il modo di collaborare nella redazione della nostra Costituzione, convergendo nella condivisione di valori e principi su cui fondare la nostra democrazia.

Serviranno coraggio e prudenza. Il coraggio di guardare oltre i limiti dell’emergenza, pensando al futuro e a quel che deve cambiare. Non si tratta di immaginare di sospendere o annullare la normale dialettica politica. La democrazia vive e si alimenta di confronto fra posizioni diverse. Ma c’è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite.

Qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro. Una generazione con l’altra. Un territorio con l’altro. Un ambiente sociale con l’altro. Tutti parte di una stessa storia. Di uno stesso popolo.

Mi permetto di invitare, ancora una volta, a trovare le tante ragioni di uno sforzo comune, che non attenua le differenze di posizione politica né la diversità dei ruoli istituzionali.

Le sofferenze provocate dalla malattia non vanno brandite gli uni contro gli altri.

Non siamo soli. L’Italia non è sola in questa difficile risalita. L’Europa manifesta di aver ritrovato l’autentico spirito della sua integrazione. Si va affermando, sempre più forte, la consapevolezza che la solidarietà tra i Paesi dell’Unione non è una scelta tra le tante ma la sola via possibile per affrontare con successo la crisi più grave che le nostre generazioni abbiano vissuto. Nessun Paese avrà un futuro accettabile senza l’Unione Europea. Neppure il più forte. Neppure il meno colpito dal virus”.

Già l’Europa. Lo sguardo ampio, oltre i confini. Un’attitudine vitale per saper rispondere alla globalizzazione dell’indifferenza con la globalizzazione della solidarietà. Con pari accenti, Francesco di Europa aveva parlato il giorno di Pasqua.

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