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Ecco perché il voto di Taiwan incide sullo scenario mondiale | L’analisi di Ramiro Baldacci

Vicepresidente del Partito Progressista Democratico (DPP) di centrosinistra, lo stesso della presidente uscente Tsai Ing-wen, 64 anni, medico che vanta nel curriculum anche l’Università di Harvard. Era entrato in politica a inizio anni ottanta quando Taiwan divenne una democrazia libera, abbandonando la professione. E’ stato sindaco della città di Tainan, nel sud-overst del Paese, e primo ministro dal 2017 al 2019. Di fatto un ultra progressista del partito, che ha sempre spinto per la maggiore autonomia di Taiwan dalla Cina. Ecco il profilo di Lai Ching-te, detto ‘William’, il neo eletto presidente di Taiwan.

Al termine di una campagna segnata da una forte pressione diplomatica e militare da parte della Cina, Lai ha vinto le elezioni presidenziali a turno unico con il 40,1% dei voti, superando i 5 milioni di preferenze. L’affluenza si è attestata al 71,9%. Lai entrerà in carica il 20 maggio.

Le posizioni espresse da Lai

Martedì scorso, in un suo intervento, Lai aveva detto di essere pronto a rilanciare il dialogo con la Cina, dopo quasi otto anni di rifiuto quasi totale di Pechino di comunicare con i leader dell’isola autonoma che considera un proprio territorio.

Ma Lai ha anche fatto sapere che continuerà la politica dell’attuale amministrazione, volta a mantenere l’indipendenza di fatto di Taiwan, nonostante le minacce del Partito comunista cinese di annetterla con mezzi politici, militari o economici.

“Pur aspirando alla pace, non nutriamo illusioni”, ha detto Lai in una conferenza stampa prima delle elezioni. “Rafforzeremo la deterrenza della difesa, le capacità di Taiwan in termini di sicurezza economica, i partenariati con le democrazie di tutto il mondo e manterremo una leadership stabile e basata su principi nelle relazioni. Siamo pronti e disposti a impegnarci per dare di più alle persone su entrambi i lati dello Stretto di Taiwan. La pace non ha prezzo e la guerra non ha vincitori”, ha detto Lai.

“Voglio ringraziare il popolo taiwanese per aver scritto un nuovo capitolo nella nostra democrazia”, ha dichiarato il neo-presidente nel suo discorso di vittoria, perché “stiamo dicendo alla comunità internazionale che tra democrazia e autoritarismo, saremo dalla parte della democrazia”. “Siamo convinti che solo il popolo taiwanese abbia il diritto di scegliere il proprio presidente”, ha aggiunto, promettendo però di “continuare gli scambi e la cooperazione con la Cina”.

Lai presidente è un risultato che è anche una vittoria per l’isola e per la sua storia democratica: per la prima volta infatti lo stesso partito presiederà il Paese per tre mandati consecutivi. Probabilmente Lai non dichiarerà formalmente l’indipendenza di Taiwan, sostenendo che l’isola funziona già, de facto, come Paese indipendente sotto il nome di Repubblica Cinese. Si spera solo che la sua vittoria non stressi ulteriormente i rapporti con la Cina, che ancora considera Taipei una provincia ribelle.

Gli altri candidati

Il principale avversario di Lai, Hou Yu-ih, 66 anni, candidato del Kuomintang (KMT) che sosteneva il riavvicinamento a Pechino, ha ottenuto il 33,5% dei voti, secondo i calcoli della Commissione elettorale centrale. Ha ammesso davanti ai suoi sostenitori la sconfitta: “Rispetto la decisione finale del popolo taiwanese” e “mi congratulo con Lai Ching-te e Hsiao Bi-khim per la loro elezione sperando che non deludano le aspettative del popolo taiwanese”.

Il terzo candidato, Ko Wen-je, 64 anni, del piccolo Partito popolare di Taiwan (TPP) e che si presentava come anti-establishment, è terzo con il 26,5%.

I taiwanesi hanno votato anche per rinnovare i 113 seggi del Parlamento, dove però il DPP ha perso la maggioranza.

La reazione e le minacce cinesi

Per Pechino Lai è un “grave pericolo” perché il suo partito sostiene che l’isola è di fatto indipendente. La Cina, che considera Taiwan una delle sue province, aveva invitato gli elettori a fare “la scelta giusta”, promettendo con il suo esercito di “schiacciare” ogni desiderio di “indipendenza”.

Pechino, che rivendica Taiwan come parte “inalienabile” del suo territorio da riunificare anche con la forza, ha replicato, ad esito elettorale acquisito, che la sua vittoria non cambierà “l’inevitabile tendenza alla riunificazione della Cina”.

La Cina, infatti, ritiene che i risultati delle elezioni presidenziali a Taiwan “non rappresentano l’opinione della maggioranza sull’isola”. Il giorno dopo le elezioni, il ministro degli Esteri di Pechino Wang Yi ha detto che Taiwan “non è mai stato un Paese, né mai lo sarà”. Le elezioni di Taiwan non potranno mai cambiare il fatto che l’isola fa parte “della Unica Cina. Non importa quali siano i risultati delle elezioni, non possono cambiare il fatto fondamentale che esiste solo una Unica Cina e Taiwan ne fa parte”, ha detto Wang, durante la conferenza stampa al Cairo con il suo omologo egiziano Sameh Shoukry.

Su queste posizioni la Cina ha incassato anche l’appoggio dell’Iran. “L’Iran ancora una volta dichiara il suo fermo appoggio al diritto della Repubblica popolare cinese di difendere la sua sovranità nazionale e la sua integrità territoriale” e dichiara inoltre di “sostenere la riunificazione fra la Cina e Taiwan”. E’ quanto afferma il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Nasser Kanani, commentando l’esito delle elezioni presidenziali a Taiwan, con la vittoria del candidato più inviso a Pechino, William Lai, e le tensioni internazionali che ne sono seguite. “Teheran è favorevole alla politica della Cina Unica”, ha aggiunto Kanani, citato dall’agenzia Irna.

In tutta risposta Taiwan ha invitato la Cina a “rispettare i risultati delle elezioni presidenziali”, vinte da Lai Ching-te, che ha promesso di proteggere l’isola da “minacce e intimidazioni” da parte di Pechino. “Il Ministero degli Affari Esteri invita le autorità di Pechino a rispettare i risultati delle elezioni, ad affrontare la realtà e a desistere dalla repressione su Taiwan”, si legge in una dichiarazione del ministero taiwanese.

Le tensioni tra Cina e Usa

Le tensioni tra USA e Cina si sono svolte da sempre sulla questione di Taiwan, come è emerso anche durante il conflitto tra Russia e Ucraina.

La questione di Taiwan “è al centro degli interessi fondamentali della Cina ed è la prima linea rossa insormontabile nelle relazioni sino-americane”, ha scritto in una nota il ministero degli Esteri cinese,
aggiungendo di “aver duramente contestato la dichiarazione del Dipartimento di Stato americano” sulle “elezioni nella regione cinese di Taiwan”, in grave violazione del “principio dell’Unica Cina e dei tre comunicati congiunti sino-americani”.

Gli Usa hanno “inviato un segnale gravemente sbagliato, di cui la Cina è fortemente insoddisfatta e contraria, e per questo motivo ha presentato severe rimostranze agli Stati Uniti”.

Il principio della ‘Unica Cina’ è “la norma fondamentale delle relazioni internazionali e il consenso generale della comunità internazionale, nonché il fondamento politico dei rapporti sino-americani”. La Cina si è sempre opposta “con decisione a qualsiasi forma di scambio ufficiale tra gli Stati Uniti e Taiwan”, così come “all’interferenza degli Stati Uniti negli affari di Taiwan in qualsiasi modo e con qualsiasi pretesto”.

Pertanto, “esortiamo gli Usa a rispettare con serietà il principio della Unica Cina e i tre comunicati sino-americani”, ricordando ciò che i leader statunitensi hanno ribadito molte volte: “di non sostenere l’indipendenza di Taiwan, di non sostenere le ‘due Cine’ o ‘una Cina, una Taiwan'”. Pechino ribadisce quindi la richiesta all’America di fermare gli scambi ufficiali tra Washington e Taipei e “di smettere di inviare segnali sbagliati alle forze separatiste dell’indipendanza di Taiwan”.

In tutta risposta, dopo le congratulazioni ufficiali manifestate al nuovo governo di Taiwan, gli USA hanno inviato a Taipei una delegazione non ufficiale, composta da ex funzionari americani.

L’obiettivo è quello di tenere incontri post-elettorali “a titolo privato” con i massimi leader dell’isola. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley, l’ex vicesegretario di Stato James Steinberg e la presidente dell’AIt, Laura Rosenberger sono in visita per incontrare “una serie di personalità politiche di primo piano” e trasmettere le congratulazioni del popolo Usa a Taiwan per il successo del voto.

Il neo eletto presidente Lai ha voluto ringraziare il Segretario di Stato americano Antony Blinken per i complimenti ricevuti per la vittoria elettorale. ”Il partenariato Taiwan-Usa è caratterizzato dai nostri valori e interessi condivisi. Collaborando con gli amici degli Stati Uniti, Taiwan si impegna a promuovere la democrazia, la pace e la prosperità nell’Indo-Pacifico”, ha scritto Lai in un tweet.

Lo sguardo degli analisti e dell’economia al voto di Taiwan

Già si sapeva che il 2024 sarà un anno in cui le vicende della politica domineranno la scena mondiale chiamando al voto oltre 4 miliardi di persone, la metà della popolazione del pianeta.

E l’anno si è aperto con uno di questi appuntamenti “pesanti”, il voto a Taiwan che non ha mutato l’attuale assetto politico, ma si dovrà vedere quale sarà la reazione del potente vicino cinese. Evidenti i riflessi geopolitici di questa mega consultazione, ma altrettanto lo sono quelli sull’economia.

E i mercati finanziari, sempre pronti a sfruttare qualsiasi spunto che possa influenzare le quotazioni, hanno identificato subito i punti sensibili di questo scenario, individuando le quattro streghe 2024 (quelle che incutono potenziali timori e quindi potenziali momenti speculativi) nelle elezioni americane, europee, britanniche e di Taiwan. Per le Borse non sarà facile imboccare un chiaro percorso

Il risultato delle elezioni di Taiwan potrebbe penalizzare il mercato finanziario dell’isola nel breve periodo, pur alleviando i timori internazionali di escalation nelle relazioni con la Cina. L’autonomista Lai Ching-te, mal visto da Pechino, è stato eletto presidente ma il suo partito Dpp ha perso la maggioranza parlamentare, rendendo di fatto necessaria una mediazione con le altre forza politiche, promotrici di una linea soft nei confronti della Repubblica Popolare.

Esito immediatamente evidenziato dalle autorità cinesi, che hanno sottolineato che il Dpp “non può rappresentare l’opinione pubblica prevalente” nell’isola. Il rischio di impasse politico, secondo gli analisti, potrebbe quindi avere un impatto negativo sugli asset locali, a partire dalla Borsa, che ha messo a segno un progresso di circa il 25% in poco più di un anno, ma allo stesso tempo rassicurare gli investitori internazionali. Il mancato controllo del Parlamento impedirà infatti a Lai di assumere posizioni radicali nei rapporti con la Cina, scongiurando il rischio di reazioni drastiche da parte di Pechino.

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