“È cristallino il do ut des in Medio Oriente tra il presidente Usa Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che martedì prossimo si incontreranno a Washington.”
Così Nathalie Tocci sulla Stampa: “Ma non è detto – scrive l’editorialista – che l’intesa si materializzi.
Ad ostacolare i piani di annessione ed espulsione di massa dei palestinesi di Tel Aviv, con la benedizione di Washington, oltre al Cairo e ad Amman, potrebbe esserci Riad.
Tra Trump e Netanyahu la visione del conflitto israelo-palestinese è condivisa.
Soprattutto, Trump e Netanyahu sembrano avere un orientamento di fondo.
Per Trump il conflitto israelo-palestinese è una banale questione immobiliare.
Eviscerata del suo significato politico, religioso, identitario e ideologico, basta svuotare il territorio dagli scomodi esseri umani (palestinesi), valorizzare le belle spiagge nella ricostruzione di Gaza, e poi lasciare a chi se lo può permettere (gli israeliani) di ripopolare la Striscia.
Musica per le orecchie del governo israeliano, che – sottolinea Tocci – animato dall’ideologia, è determinato a colonizzare ed annettere non solo Gaza, ma anche la Cisgiordania, e, perché no, il sud del Libano (dove il ritiro israeliano non è ancora avvenuto) e, oltre alle alture del Golan, l’area del monte Hermon in Siria, che tra il 1974 e il 2024 era stata una zona cuscinetto tra i territori occupati israeliani in Siria e il resto del Paese.
La ‘ratio’ immobiliare di Trump ben si coniuga con quella ideologica di Netanyahu.
L’unico attore che può ostacolare i piani sovversivi di Trump e Netanyahu è l’Arabia Saudita, soprattutto alla luce delle leve che ha, non tanto nei confronti di Israele, ma degli Stati Uniti.
Netanyahu ha già scelto: messo di fronte al bivio se optare per l’espansione territoriale oppure per una normalizzazione con Riad accompagnata dalla qualsivoglia pace con i palestinesi (anche se totalmente sbilanciata a favore di Israele), il premier sceglie la prima.
Non ci sono miliardi di dollari sauditi in palio che possano vincere sull’ideologia revisionista di Israele.
Ma Trump è tutt’altro che ideologico; per lui i soldi contano, ecco-me.
Contano i 600 miliardi di dollari di investimenti che il principe ereditario Mohammed bin Salman ha sventolato sotto il suo naso, così come conta – conclude – il peso dell’Arabia Saudita nei mercati petroliferi e, dunque, sul prezzo del greggio caro al presidente Usa.”