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Ecco le previsioni UE sul debito pubblico italiano | L’analisi di Giampaolo Galli

Fa bene la Commissione Europea a mettere nero su bianco che, con le attuali politiche, nei prossimi anni il debito pubblico dell’Italia è destinato a salire in rapporto al Pil. Farebbe anche meglio se, ogni volta che ci bacchetta, mettesse bene in chiaro che ci sono alcune tendenze di medio termine che premono sulla finanza pubblica e che non possono essere facilmente riportate sotto controllo.

Per individuare queste tendenze, l’Osservatorio sui Conti Pubblici ha messo a confronto il progetto di bilancio del governo per il 2024 – quando verosimilmente i conti non saranno più appesantiti da sostegni per Covid e bollette, nonché da crediti edilizi riclassificati – con il consuntivo del 2019, l’ultimo anno prima della pandemia. Il deficit 2024 è al 4,3% del Pil, 2,8 punti in più del 2019 (quando era all’1,5%). E ciò malgrado il fatto che già oggi il Pil abbia superato il livello del 2019. Dunque Pil più alto, ma anche deficit più alto. Come mai? La risposta è che è aumenta soprattutto la spesa (+2,2 punti di Pil).

Aumentano gli investimenti pubblici (+0,9 pp) – e questa è forse la buona notizia del PNRR che comincia a ingranare – aumentano gli interessi sul debito pubblico (+0,8 pp),  le prestazioni sociali (+0,7 pp, di cui 0,5 le pensioni), i sussidi, correnti e in conto capitale alle imprese (+0,5 pp), gli acquisti della PA (+0,2 pp, in gran parte legati alla sanità). Dal lato delle entrate, diminuiscono i contributi sociali e l’Irpef, perché si è voluto alleggerire il carico sui redditi bassi.

Dunque il quadro è chiaro: i conti pubblici soffrono strutturalmente perché aumentano i tassi, la popolazione invecchia, aumenta la domanda di servizi sanitari anche da parte dei non anziani, vi è un’accresciuta attenzione ai problemi delle diseguaglianze, della povertà e del lavoro povero, perché cresce la domanda di politiche industriali – di qui maggiori investimenti pubblici e maggiori trasferimenti alle imprese- per i più svariati motivi: autonomia strategica, transizioni energetica e digitale, competizione con l’IRA di Biden, sfiducia nei meccanismi di mercato. 

Questo è il quadro. Un quadro che riflette ovviamente la sensibilità della maggioranza e – al di là delle battaglie di bandiera – anche di gran parte dell’opposizione, che anzi vorrebbe ancora più spesa. In queste condizioni, che per molti versi non riguardano solo l’Italia, andrebbe detto chiaro che non c’è spazio per ridurre le tasse sul ceto medio e che la lotta all’evasione e la riqualificazione della spesa non possono essere relegate ad appendici secondarie delle politiche economiche. Esse sono le politiche economiche di cui ha bisogno il paese.   

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