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Corte dei conti: «L’Italia può uscire più forte dalla crisi, ma la strada è stretta. Sulla riforma del fisco ipotizzabile un parziale spostamento del prelievo da Irpef a Iva»

L’Italia può farcela a uscire più forte dalla crisi epidemica come indicano le prospettive del Def. Ma la strada è «stretta» e le variabili in gioco sono diverse. È il giudizio della Corte dei conti, espresso nel suo annuale “Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica” nel quale dedica uno spazio anche alla riforma del fisco sostenendo che «un’adeguata attenzione potrebbe essere riservata ad un parziale spostamento del prelievo dall’Irpef all’Iva».

L’ottimismo condizionato della Magistratura Contabile arriva nello stesso giorno in cui Eurostat piazza l’Italia al primo posto fra le maggiori economie dell’Ue per l’incremento dell’indice Esi (l’indice che misura la fiducia nelle prospettive dell’economia in base a un sondaggio che si rivolge e imprese e consumatori).

Complice il piano delle riaperture e il successo della campagna vaccinale, a maggio l’ottimismo degli Italiani ha fatto un salto di ben 11 punti, quasi tre volte più della media Ue (4 punti). Ora però – avverte la Corte dei conti – «molto di una necessaria e robusta ripresa sarà condizionato dall’effettivo superamento dei confinamenti e della sospensione delle attività produttive», possibili però solo «grazie ad un efficace, veloce ed esteso piano vaccinale».

Ma certamente non basta. Molto dipenderà dal successo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e quindi dalla «qualità degli investimenti» programmati e dalle riforme strutturali che lo accompagnano. Il Recovery Plan rappresenta un’opportunità unica per «aumentare il potenziale di crescita del Paese, ma per raggiungere tale obiettivo sarà necessario che vengano attuate con rapidità le riforme» ovvero giustizia, Pubblica Amministrazione, welfare e, non ultima, la riforma del fisco sulla quale la Corte dei conti si è particolarmente diffusa nel rapporto.

«Occorrerà anche seguire un cammino di finanza pubblica molto “stretto”», raccomandano i giudici contabili, tanto più che con il ritorno del vincolo del 3% del deficit/pil e l’obbligo, già dal prossimo anno, di «una graduale riduzione del debito pubblico» è «fondamentale che siano preservati tassi di interesse contenuti» sui titoli di Stato.

Per garantire ciò è «cruciale la credibilità degli impegni» perché è sulla «credibilità» dell’Italia che «si minimizza lo spread» e il Tesoro può continuare a finanziarsi a un costo relativamente basso. Attualmente il differenziale Btp-Bund sui titoli decennali è stabile attorno ai 110 punti, ma il collocamento di oggi ha visto i rendimenti del Btp decennale salire da 0,84% dell’asta di aprile, a 0,94%.

Sul lato della spesa, la Corte dei conti punta a un rigore illuminato, invita a distinguere fra spesa “buona” e spesa “cattiva” perché «non appena le condizioni lo consentiranno l’espansione della prima si possa affiancare al contenimento della seconda».

Nella sua Relazione la Corte dei conti si è poi diffusa sull’auspicata riforma del fisco, in particolare dell’Irpef (Imposta sulle persone fisiche), sulla quale si registra «un crescente livello di insoddisfazione» tanto più che il «proliferare di trattamenti tributari differenziati» (definite «deviazioni») «hanno condotto ad un prelievo concentrato» solo «sui redditi da lavoro dipendente e pensione» con aliquote marginali «distorsive» e che in alcuni casi possono superare il 60%.

Tributi differenziati (leggi Flat Tax) e una «persistente e significativa evasione» portano la Corte dei conti a mettere in dubbio che si possa ancora parlare di prelievo “generale” sui redditi. Ma su questo fronte la Corte dei conti non è sola. La sperequazione fra redditi da lavoro soggetti ad Irpef e quelli soggetti all’aliquota piatta dell’Iva (5%-15%) ieri è stata espressa in modo plastico dai dati del Mef sulle entrate del 2019.

Nel primo anno di imposta della Flat tax i redditi medi di autonomi e imprese individuali soggette ad Iva hanno avuto un balzo del 25,4%, mentre i redditi dei lavoratori dipendenti sono cresciuti appena dell’1,1%, persino meno di quello deli redditi da pensione (che godono di adeguamenti automatici all’inflazione), cresciuti del 2,2%.

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