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[L’intervento esclusivo] Chiara Gibertoni (Direttore Generale IRRCS AOU di Bologna Policlinico di S.Orsola): «L’innovazione nella sanità pubblica è indispensabile, non si può delegare solo al settore privato. Il PNRR deve fornire gli strumenti informatici. Servono maggiore sinergia tra le strutture e sostenibilità organizzativa»

I RELATORI

Chiara Gibertoni, direttrice generale IRRCS AOU di Bologna Policlinico di Sant’Orsola, ha rilasciato alcune dichiarazioni in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia in occasione del webinar online, dal titolo “Ricominciamo a progettare il futuro: le terapie cellulari avanzate saranno il presente”. L’evento, moderato da Alessandra De Palma, direttrice U.O.C. Medicina Legale e Gestione Integrata del Rischio Area Sicurezza delle Cure IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria Bologna, ha visto tra gli ospiti anche Franco Locatelli, presidente Css e coordinatore Cts, e Francesca Bonifazi, responsabile del Programma Trapianto Cellule staminali ematopoietiche e Terapie Cellulari avanzate. Il tema principale ha riguardato il riconoscimento ricevuto dal Policlinico Sant’Orsola di Bologna come Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS).

“Il Sant’Orsola ha intrapreso il percorso di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico contemporaneamente alla pandemia e questo rappresenta secondo me un rafforzamento della responsabilità che sta dietro questo acronimo, in modo particolare perché siamo un’azienda ospedaliera universitaria pubblica, un sistema sanitario universalistico per scelta. Scelta fatta tra l’altro quando come Ministro della Sanità c’era Tina Anselmi. L’onore del premio è stato grande ma l’ho condiviso con tutte le donne che lavorano nel Sistema Sanitario Nazionale, perché il Sistema Sanitario Nazionale è donna, dal momento che siamo la prevalenza nel vari ruoli.

Io credo che il tema di affrontare l’innovazione sia indispensabile. Se vogliamo pensare al futuro della scelta che fu fatta più di 40 anni fa, che è una scelta che oggi ha dimostrato tutta la sua forza e la sua indispensabilità per assicurare una coesione anche sociale che in altri luoghi non c’è stata la stessa capacità di rispondere alla pandemia, probabilmente non è così scontata come lo è per noi italiani.

Di fatto a mio parere la pandemia ha messo in evidenza come sia fondamentale il ruolo delle istituzioni. Quando c’è un accadimento come quello che abbiamo vissuto si arriva a ricercare nelle radici profonde di che cosa significa “stare insieme” e stare insieme attraverso delle regole di convivenza e attraverso degli strumenti di convivenza che sono le scelte che le istituzioni in qualche modo interpretano.

Allora garantire l’innovazione all’interno di strutture pubbliche che si candidano ad essere la risposta istituzionale ai bisogni dei cittadini è indispensabile, perché la medicina senza l’innovazione e senza la ricerca non può rimanere una assistenza adeguata e quindi all’altezza. Non si può delegare al privato, nonostante questo spesso accada in ragione della capacità di investimento naturalmente che ha il privato, che ha l’industria, ma non si può delegare. Non è sicuramente una contrapposizione, ma è un bilanciamento, e la scelta di assegnare il ruolo al Sant’Orsola di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico ha esattamente questo significato.

Perché abbiamo scelto le terapie cellulari, perché abbiamo scelto di incamminarci su questo terreno? Perché avevamo le competenze, avevamo con noi professionisti come Francesca Bonifazi che sono venute prima a parlarmi quando hanno realizzato che si poteva concretizzare davvero il progetto di essere Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, sono venuti in maniera spontanea a dirmi ‘siamo pronti per interpretare veramente fino in fondo questo ruolo’. Ecco il significato che una rete di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico deve avere in un paese come il nostro.

E’ questo anche il motivo per cui abbiamo cercato la vicinanza del Professor Locatelli in questa iniziativa, per assumere quel ruolo di riequilibrio rispetto a un’offerta che è fondamentale resti nel pubblico. È un po’ la stessa domanda che ci facciamo per esempio rispetto al tema della riallocazione delle risorse – e che io mi devo fare in qualità di Direttore Generale – sul tema dei trapianti.

Il Sant’Orsola è l’ospedale di riferimento per tutti i tipi di trapianto di organo solido oltre i trapianti della fase liquida e allora ha senso spendere tanti soldi per i trapianti? In fondo i numeri sono minimi, non parliamo di numeri che dal punto di vista epidemiologico abbiano un peso significativo, però sta tutto nella capacità di essere in grado sia dal punto di vista delle competenze, ma anche dal punto di vista organizzativo, di riuscire a fare le attività che sfidano maggiormente il mondo oggi della sanità e della ricerca.

Allora essere in grado come struttura pubblica di garantire queste terapie avanzate, e in questo senso ci metto anche la cura del paziente con grave insufficienza d’organo e quindi che ha bisogno del trapianto, è la possibilità di mantenere l’innovazione e una risposta adeguata ai cittadini.

Poi sicuramente ci deve essere una sinergia, però questo è un altro elemento che ci deriva come insegnamento dalla pandemia e che è nelle persone illuminate, come il professor Locatelli che ha parlato della rete che esiste già di Alleanza contro il Cancro ed era già presente prima della pandemia. Oggi abbiamo la possibilità tutti di rendercene conto e cioè che la medicina oggi non passa più attraverso quella forma di narcisismo individuale che caratterizza un po’ tutti coloro che sono medici e che vengono allevati anche in qualche modo per svolgere quella pratica medica traendone una soddisfazione prima di tutto individuale.

Penso che il passaggio verso un’ottica che esalti invece ‘il narcisismo della squadra’, cioè il riuscire a fare innovazione e ricerca insieme ad altri colleghi e nella capacità di mettersi in relazione, proprio quello che ci ha spiegato il professore in Alleanza contro il Cancro, anche questo è l’altro elemento che traguarda il futuro di una sanità di qualità nel nostro paese ed è il motivo per cui metterci in rete con Alleanza contro il cancro, essere inseriti all’interno di questo percorso di innovazione che sono le cellule CAR-T e la possibilità di sviluppare ricerca e assistenza con le terapie cellulari è stata una scelta che abbiamo fatto.

Dal mio punto di vista sento questo ruolo veramente come una grande responsabilità, perché è sicuramente un grande onore nei confronti della comunità e dei cittadini, emiliani, romagnoli e italiani in senso generale. È una grande responsabilità perché vuol dire avere la capacità di occuparsi anche dell’accessibilità a queste cure e all’equità di accesso a queste cure. Che non diventi, comunque, anche in termini di competenze una cittadella che si auto-glorifica e si auto-mantiene attraverso questi strumenti così innovativi, ma che sia generosa, così come l’esempio del Bambin Gesù e del Professor Locatelli, che in qualche modo sta aiutando a crescere la concorrenza.

Questa è la dimostrazione della maturità che deve esistere dentro il nostro Servizio Sanitario Nazionale se vogliamo garantire il futuro. Non quella appunto dell’egoismo, in termini di competenze, ma quella della condivisione, della crescita delle reti, delle strutture che sono in grado di confermare quella scelta che 40 anni fa era una scelta quasi impensabile e che è sopravvissuta 40 anni e si è rafforzata nel momento in cui è stato messo alla prova più dura il nostro sistema, cioè durante la pandemia.

Il Sant’Orsola ha svolto un ruolo importante durante la pandemia, abbiamo avuto ricoverate più di 100 persone in terapia intensiva e più di 300 persone in degenza ordinaria, ma non si è mai fermato di fare anche il resto. Credo che questa sia la base, il fondamento della scelta che abbiamo fatto, soprattutto grazie alle competenze che esistevano già qua. L’ematologia del Sant’Orsola ha una storia che nasce lontanissima, c’è il professor Tura che è ancora un riferimento in qualche modo saldo nelle menti di tutti coloro che lavorano all’interno del sant’Orsola in questo ambito specialistico. Ma è l’insieme della comunità che dà la forza di poter affrontare queste sfide innovative.

La sostenibilità dal punto di vista organizzativo, e come per l’organizzazione dei trapianti, è una scelta che implica prima di tutto una capacità di comunicazione tra le varie componenti che devono interagire per riuscire a ottenere il risultato. Sicuramente la base è la condivisione degli obiettivi e della vision, ma è la capacità di comunicare e di creare le giuste relazioni che fanno la differenza. È un grande sforzo, credo che da questo punto di vista ci siano alcune scelte di fondo che sono anche da condividere con i livelli superiori, come il livello del governo regionale, sull’accessibilità per esempio che dicevo alle cure, la possibilità di creare una relazione con le altre componenti della rete che hanno la casistica e che devono proporla. Poi la capacità della struttura di adeguare i percorsi e le relazioni alle nuove modalità di cura.

Le CAR-T sicuramente hanno rappresentato un momento di confronto serrato per riuscire a crescere su alcuni aspetti anche legati alla logistica, così come al numero di specialità e di componenti che fanno parte dell’equipe. Ad esempio, la consulenza psicologica è diventata una consulenza fondamentale, così come il supporto delle terapie intensive nel caso degli effetti collaterali previsti per queste terapie.

Ancora una volta penso che il dialogo sia la base della rivoluzione organizzativa che queste nuove terapie richiedono di intraprendere da parte delle organizzazioni. Il Sant’Orsola è un’organizzazione complessa, e come tale deve esserci una capacità di dialogo superiore alle comunità che sono invece di dimensioni più limitate. Non è scontata la comunicazione tra i gruppi specialistici all’interno del Sant’Orsola, nonostante siano all’interno della stessa azienda.

Io credo che un elemento che ci manca ancora, e spero che in questo senso il PNRR ci dia davvero l’impulso finale, è quello di riuscire a inserire in questo difficile percorso organizzativo e comunicativo, il tema del supporto, dell’innovazione attraverso gli strumenti informatici, cosa che dal mio punto di vista in sanità siamo un po’ più indietro rispetto a quello che dovremmo essere, e in modo particolare nella sanità pubblica, è difficile fare investimenti in questo senso, è difficile avere degli strumenti informatici che permettano a Francesca Bonifazi di seguire il destino del paziente sia nella parte anamnestica che nel percorso successivo fino alla terapia.

È tutto fatto ancora troppo su carta, attraverso telefonate, mail, whatsapp. Dobbiamo essere in grado di dare degli strumenti più solidi e in questo modo le organizzazioni avranno lo slancio che, in questo momento, hanno solo grazie alla disponibilità di tempo e di vita di chi ci lavora”.     

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