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Che fine ha fatto il 5G? | L’analisi

L’Italia sta vivendo uno strano paradosso nell’ambito della tecnologia: è sia al primo posto nella tecnologia 5G in Europa, sia all’ultimo posto nella tecnologia 5G in Europa. Non c’è errore di battitura perché sono vere entrambe le affermazioni e questo spiega perfettamente il motivo per cui, a seconda di chi parla del fenomeno, il quadro appare diverso.

Gli operatori telefonici ormai da anni prevedono ingenti esborsi per sviluppare la tecnologia e hanno fatto molto: basti pensare alla sola spesa per le licenze, che in Italia è stata tra le più alte al mondo pesando sui bilanci delle società, come è emerso anche dai conti 2022 di Tim, su cui ha inciso il pagamento dell’ultima rata. Se gli investimenti ci sono, come fa l’Italia a essere prima e ultima allo stesso tempo? Dipende da quale 5G si considera. Per semplificare: ce n’è uno misto (il cosiddetto non-stand-alone) e uno considerabile “puro” (stand alone). Nel primo caso siamo in vetta all’Europa, nel secondo fanalino di coda. Il punto è che il 5G “vero” è il secondo, quello stand-alone.

Quando si è iniziato a parlare di 5G le promesse erano mirabolanti: macchine volanti a guida autonoma, interventi a cuore aperto con il chirurgo che si trova in un altro continente, la possibilità di camminare tra le mura di Atene o Roma come erano all’apice della loro storia. 5G era sinonimo di futuro e di rivoluzione tecnologica e la sensazione è che di tutte quelle promesse non sia rimasto nulla, a parte un bel guadagno per lo Stato italiano, come è emerso dall’analisi del Fabbisogno 2022.

«La tecnologia di cui parliamo oggi non è stand-alone, cioè non è basata su una rete end-to-end 5G, ma su quella esistente 4G», spiega Claudio Campanini, managing director di Kearney in Italia. «Il lavoro fatto implementando l’infrastruttura all’interno di una architettura 4G ha sicuramente reso la performance migliore a quella del 4G preesistente, in molti casi più veloce, ma ad esempio sotto aspetti importanti come la latenza le prestazioni migliorano ma non quanto richiederebbero applicazioni 5G a bassa latenza».

La latenza è la velocità di risposta degli apparati agli input. Se pensiamo a una macchina a guida autonoma che faccia un tragitto anche corto come potrebbe essere quello da Milano a Bergamo, è necessario che le celle cui si aggancia la vettura per ricevere le istruzioni siano tutte 5G, ossia ultraperformanti, dall’inizio alla fine del tragitto. E questo oggi è un obiettivo ancora lontano. Ecco spiegati i dati. Secondo le analisi sul 2022 realizzate da Desi (Digital Economy and Society Index) e Gsma Intelligence (Global System for Mobile Communications), ossia i due principali rilevatori a livello mondiale, se si considera la copertura ottenuta con il cosiddetto Dynamic Spectrum Sharing (ossia il 5G su rete 4G implementata) in Italia siamo tra il 96 il 99,7% della popolazione. Ma se si considera la copertura 5G stand-alone la percentuale scende al 7,3%, ultimi in Europa.

Non è una differenza da poco, perché il 5G puro sarà (o sarebbe) davvero una rivoluzione copernicana rispetto al 4G. «In una rete completamente 5G, dall’inizio alla fine del segnale, si potranno dedicare delle parti, che potremmo definire quasi fette o corsie, di questa rete a servizi dedicati e specifici», spiega Campanini. Tradotto e facendo un esempio: un’azienda di delivery che volesse consegnare pizze a domicilio con droni automatizzati potrebbe godere di un pezzo di rete dedicato e ad altissima performance per garantire il servizio. Il numero di potenziali corsie peraltro non è infinito ma quasi.

Sulla carta tutto perfetto, ma per arrivare fin lì serve quella famosa infrastruttura end-to-end che non c’è. E non mancano gli ostacoli. Lo ha spiegato pochi mesi fa e in maniera chiara l’amministratore delegato di Tim Pietro Labriola. «Il 5G è un’importante piattaforma per quello che diciamo essere il modello B2B2C, ossia business-to-business-to-consumer, con Tim che ad esempio costruisce una rete a disposizione di Stellantis per un servizio di auto a guida autonoma oppure a disposizione di servizi per l’agricoltura». Il problema è quello del cane che si morde la coda.

Se gli operatori non costruiscono le infrastrutture le aziende non investono per costruire nuovi modelli di business, ma non avendo garanzia sul fatto che queste società lancino questi nuovi servizi, gli operatori tlc limitano gli investimenti. «Al tempo stesso abbiamo il vincolo della potenza elettromagnetica più bassa per le antenne, che implica la necessità di molte più antenne per costruire una rete 5G», ha concluso Labriola. Risultato? Allo stato attuale quelli sul 5G stand-alone rischiano di essere investimenti non profittevoli. Quindi quanto tempo ci vorrà perché le reali reti 5G, abilitanti quei fantomatici servizi del futuro di cui si scrive da anni, vengano realizzate? “Anni”, risponde il consulente di Kearney.

«Ma ci vorranno anni un po’ in tutto il mondo, non solo da noi», aggiunge. Certo, spiega Campanini, «in Italia abbiamo avuto peculiarità che altrove non ci sono state, ad esempio le frequenze in banda 700 MHz sono state liberate da poco e poi abbiamo la legge più restrittiva d’Europa sull’inquinamento elettromagnetico». Tutti fattori che non aiutano. In realtà sul fronte del business qualche movimento c’è stato da parte delle aziende. Di recente Lorenzo Fiorina, che in Italia guida Vodafone Business, ha raccontato a ClassCnbc il progetto realizzato in partnership con Porsche in provincia di Lecce.

 All’interno del Nardò Technical Center Porsche Engineering e Vodafone Business hanno realizzato la prima rete privata 5G ibrida, ossia una rete 5G dedicata (quindi privata) integrata nella rete mobile pubblica 5G di Vodafone già esistente per lo sviluppo e il testing dei veicoli intelligenti, connessi e a guida autonoma. In ottobre invece Tim a Pompei grazie a soluzioni basate sulla tecnologia 5G a onde millimetriche (mmWave) ha permesso di creare spazi virtuali in realtà aumentata, basati su simboli e architetture tra i più iconici di Pompei. Sono solo due di tanti esempi del lavoro che stanno facendo gli operatori tlc con le aziende.

«Le prime applicazioni 5G che probabilmente vedremo realizzarsi saranno quelle legate ad aree geografiche limitate», spiega Campanini. Un esempio potrebbe essere il citato Nardò Technical Center di Porsche, ma non è inverosimile pensare che potranno pian piano partire servizi all’interno di parchi di divertimento o degli stadi sfruttando un’infrastruttura localizzata puramente 5G. «Sono già partiti tanti trial che probabilmente proseguiranno e aumenteranno nel corso del 2023», commenta il manager di Kearney, «anche se penso che per passare dai trial a tanti servizi effettivamente funzionanti forse bisognerà attendere il 2024».

Diverso è il discorso per il mass market, che peraltro introduce per gli operatori un tema di arpu (ricavo medio per utente). «La sfida sarà far percepire i servizi 5G come effettivamente diversi da quelli 4G in modo da poter applicare un prezzo più alto», conclude Campanini. «Non è detto ad esempio che il gaming, che pure è un veicolo importante, possa rappresentare la killer application del 5G».

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