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Cardinale Gianfranco Ravasi (Presidente Pontificio Consiglio della Cultura): «Nella solitudine del primo lockdown abbiamo scoperto la meditazione. Con la seconda ondata tutto sembra mutare»

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Dall’immagine simbolica del 27 marzo 2020, in cui papa Francesco parlava in una Piazza San Pietro vuota, è partito il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, in un’intervista al Corriere della Sera. Quell’immagine ha colpito la coscienza dei credenti, ma anche dei non credenti, alle prese con l’impatto del primo lockdown.

«Un elemento positivo del primo lockdown è stato riuscire a rimanere un po’ più fermi. È il tema della meditazione, del ritrovarsi. La solitudine permette lo spazio della riflessione rispetto alla concitazione della vita quotidiana. E si è elaborato il rapporto con la morte, improvvisamente comparsa come elemento fattuale, non come rischio lontano. Il romanzo ‘La peste’ di Albert Camus pone non per caso, mentre tutto sembra precipitare, il problema del senso, del significato della vita. La coscienza degli altri, della loro assenza, della loro necessità. E poi le regole, che gli italiani hanno responsabilmente seguito per mesi. È stato un periodo positivo che faceva sperare in un mutamento».

Un periodo tragico, ma che lasciava presagire l’inizio di un periodo di cambiamento in positivo. Speranza bruciata dai comportamenti di quest’estate, che hanno aperto la strada alla seconda ondata. «Ma ora, con la seconda ondata, tutto sembra mutare. Si avverte un’atmosfera di irrazionalità nelle reazioni, anche nella virulenza delle critiche al governo. Purtroppo non ci sono voci autorevoli che possano far vedere la strada, un disegno di convivenza. Norberto Bobbio non c’è, Norberto Bobbio scriveva l’Elogio della mitezza. La mitezza non è debolezza, semmai la violenza è segno di sconfitta della ragione. Nei momenti più duri si sente il bisogno delle voci più alte. Pensi all’immediato dopoguerra, al coraggio e alla responsabilità di quella generazione di politici divisi anche ideologicamente ma capaci di scrivere la nostra Costituzione».

Una mancanza di voci autorevoli, che risalta la necessità di alcuni “fari” che squarcino il buio. «Si possono distinguere due volti della solitudine, il primo volto è che essa è una sorta di dieta dell’anima. L’abbiamo praticata nel primo lockdown e serviva a ritrovare motivazioni interiori e a sfuggire al rischio di diventare “infoobesi”. L’autore di Lolita, Nabokov, in un’altra sua opera, parla della solitudine come del campo di gioco di Satana. La solitudine, dimensione anche di libertà, è il luogo in cui arrivano, però, anche le pulsioni perverse della persona e può tendere a trasformarsi pericolosamente in isolamento sociale»

«Nell’enciclica “Fratelli tutti” il Papa cita Vinicius de Moraes: “La vita, nonostante abbia tanti scontri, è l’arte dell’incontro”. Questa cultura, la ricerca dell’altro, la sua accoglienza, la comprensione reciproca – conclude il cardinale Ravasi – è sostituita oggi da quella dello scontro. L’egoismo nasce dalla paura soprattutto e quando diviene isolamento può generare disperazione e violenza. La violenza è la cancellazione dell’altro, è ridurti ad essere solo. Bisogna ricostruire un vivere sociale, un’idea di comunità come alternativa alla solitudine e, peggio, all’isolamento. Lo diceva un sociologo americano: da quando i tetti si sono infittiti di parabole si sono moltiplicate le porte blindate. Qui torna il compito delle religioni o comunque della cultura. Oltre il cibo, del fisico o della mente, c’è la relazione diretta, quella umana, quella fatta di pelle e parole. La visita agli ammalati, la lotta tenace contro l’isolamento delle persone è forse il compito delle persone di buona volontà, in questo tempo caotico»

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